Kohei Yoshiyuki • The Park
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Kohei Yoshiyuki • The Park

Fotografie di amanti immersi nella loro intimità nei parchi di Tokyo.

Kohei Yoshiyuki negli anni ‘70 attirò l’attenzione con un progetto fotografico nominato The Park (K?en) il cui l’obiettivo era quello di mostrare al pubblico fotografie di amanti immersi nella loro intimità nei parchi di Tokyo. Utilizzò una camera 35mm e un flash Kodak ad infrarossi per spiarli nella notte. Questi incontri notturni però, nella maggior parte dei casi, non erano condivisi solamente da due persone, ma anche da una schiera di uomini pronti tra cespugli e ombre a godere dello spettacolo. Kohei decise così di fare un passo indietro con la sua camera e riprendere la scena bizzarra al completo. Tra baci e carezze anche occhi pronti a godere di questa stessa intimità senza invito. Insomma un pieno atto voyeuristico immortalato negli scatti di un fotografo giapponese negli anni ‘70.

Le foto furono realizzate precisamente a Chuo Koen, il parco centrale di Tokyo, adiacente al quartiere Shinjuku. Sul finire degli anni ‘60 questo luogo era il focolaio dell’attivismo politico giapponese del nuovo movimento di sinistra, impegnato anche nella liberazione sessuale in Giappone. Kohei infatti non fu l’unico fotografo giapponese desideroso di immortalare i cambiamenti che stavano coinvolgendo la sua generazione e che si mostravano fragorosamente in questa zona della città. Accanto a lui Sh?mei T?matsu, Daid? Moriyama e Nobuyoshi Araki produssero progetti fotografici nella zona di Shinjuku.

Considerando anche geograficamente la posizione di Chuo Koen, si arriva facilmente a comprendere perché proprio quel parco fosse la culla di tanti desideri: Shinjuku è un importante nodo di trasporto per le linee ferroviarie di Tokyo e tutt’ora la sua stazione è punto di incontro per molte coppie pendolari che vivono distanti. Il tabù culturale del bacio in pubblico non si è mai affievolito in Giappone: i viaggiatori innamorati della stazione di Shinjuku cercavano un contatto fisico nell’adiacente parco, anche se costretti per questo a condividere il momento con chi è da solo. Soluzione logistica, per chi vive in una grande metropoli, a quanto pare molto utilizzata negli anni ‘70.


I giapponesi, a differenza di noi italiani, non usano il contatto fisico nel rapportarsi agli altri: niente dimostrazioni di affetto in pubblico. Questo non vale per i bambini piccoli ma da quando si diventa adolescenti, durante la scuola media, cambia il modo di rapportarsi agli altri: non ci si stringe la mano quando ci si presenta, niente bacini sulle guance tra amici, i fidanzati non si baciano né abbracciano in pubblico, magari si tengono per mano, ma niente di più. 

Se per noi un abbraccio tra due amiche in un luogo pubblico è considerato normale, dal punto di vista di un giapponese questo sarebbe considerato imbarazzante. 

C’è una netta distinzione tra lo spazio pubblico e lo spazio privato.

Il primo corrisponde alla società, alla collettività: il giudizio degli altri conta molto e nessuno terrebbe mai un comportamento imbarazzante per gli altri. 

A mio avviso alla base di questo c’è un forte spirito patriottico che si ritrova in tanti atteggiamenti dei giapponesi, un forte nazionalismo che per i giapponesi significa appartenenza a un gruppo. L’individuo non è al centro, ma lo è il gruppo, non si rischia così che l’individuo pensando solo a sé si comporti male. Si ha paura, in un certo senso, dell’opinione che gli altri si potrebbero fare.

In privato è un’altra cosa, molto diffusi sono i love hotel, dove fidanzati o amanti possono passare anche solo qualche ora.

Sotto la spinta di un crescente individualismo, nelle nuove generazioni tutto questo sta iniziando a cambiare.

Daniela Barilaro • Laureata in Lingue e Civiltà Orientali presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha frequentato la Human Academy Japanese Language School a Tokyo.


Il prodotto finale venne esposto nella Komai Gallery a Tokyo nel 1979. Durante questa prima esposizione l’artista tentò di ricreare le medesime condizioni in cui il progetto fu realizzato. Le stampe delle foto furono stampate in grossi formati, le luci della galleria furono spente e ad ogni visitatore fu affidata una torcia con la quale aggirarsi nell’oscurità alla ricerca degli amanti. Un anno dopo fu realizzata la prima edizione del libro che avrebbe raccolto tutta la serie di scatti in bianco e nero e che verrà ristampato nel 2007, quasi trent’anni dopo, a cura di Hatje Cantz e dalla Yossi Milo Gallery.

Nelle interviste rilasciate, Kohei descrive il processo creativo che lo portò alla realizzazione di queste foto. Visitò il parco per sei mesi prima di iniziare a portare con sé la camera. Il suo intento era prima di tutto quello di entrare in amicizia con i voyeur. Per aver il permesso di immortalare la scena, egli doveva prima di tutto conquistare la loro fiducia, esser considerato uno di loro. E infondo cos’è un fotografo se non un voyeur pronto a spiare scene che non appartengono alla sua vita? Un po’ come Brassi tra le prostitute di Parigi degli anni ‘20, un po’ come Merry Alpern nei recenti anni ‘90 pronta ad utilizzare la propria fotocamera per entrare negli appartamenti new yorkesi specialmente quando essi ospitano prostitute.

C’era tra i guardoni una tattica di approccio nei confronti della coppia. Essi iniziavano con uno sguardo in lontananza, per poi avvicinarsi lentamente usufruendo dei punti ciechi nei quali intrufolarsi, come i cespugli, e rendere così nulla la distanza. A volte il disagio aumentava quando tra i guardoni vi era anche chi era disposto a rischiare l’anonimato per toccare le forme della donna coinvolta nel tête-à-tête.


Il voyeurismo viene annoverato dal DSM IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tra le parafilie. Per descrivere i comportamenti devianti si preferisce parlare di parafilia (ciò che  è intorno all’amore) piuttosto che di  perversione, per evitare una terminologia giudicante, restringendo l’uso del termine solo a quelle condizioni in cui, l’unica modalità di ottenere l’eccitazione sessuale è l’utilizzazione di oggetti non umani con cui vengono inflitti a sé, o ad altri, dolore, umiliazione, sofferenza, e/o in cui vengono coinvolti adulti non consenzienti.

Il voyeurismo può, sulla base di quanto detto, essere considerato una parafilia solo quando rappresenta l’unica forma di attività sessuale che una persona mette in atto.

Il voyeur è chi trae soddisfazione dall’osservazione furtiva di una persona o di una coppia in intimità o impegnata in attività erotiche. L’atto di osservare ha il fine di procurare a chi guarda un’intensa eccitazione sessuale che sfocia solo raramente in una reale attività erotica con la persona, o con la coppia sbirciata. Infatti, la scarica sessuale derivante dall’osservazione viene agita attraverso la masturbazione durante l’attività voyeuristica o successivamente, in relazione al ricordo di ciò di cui il soggetto è stato spettatore.

Ciò che accompagna l’azione del voyeurista è un’idea di furto,  di illecito, di intrufolarsi nella vita degli altri, senza tenere in considerazione le loro esigenze e senza chiedere il loro permesso.

Francesca Aglitti • laureanda in psicologia della devianza e sessuologia, Università degli Studi dell’Aquila.


Ma questo atto voyeuristico fotografico trova il suo culmine con la nostra partecipazione. Kohei rende concreto un complesso quanto semplice processo dinamico: egli realizza la fotografia di un rendez-vous romantico tra due amanti permettendoci di guardare la coppia che è guardata da guardoni che sono guardati da lui, così da diventare noi stessi, con questa elementare azione, quasi involontaria di fronte ad un’immagine, voyeur.

Elena Fortunati
Nasce in un paesino della provincia romana nel 1988. Laureata alla magistrale in Storia dell'Arte contemporanea all'Università di Roma La Sapienza, ha collaborato con Collater.al, Dude Mag, Vice e Inside Art. Sotto lo pseudonimo aupres de toi, lascia dal 2011 nel web immagini fotografiche. Fonda nel 2016 contemporary.rome.
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