Uno, collocate normalmente i pedoni nella seconda traversa. Due, posizionate gli altri pezzi nella prima traversa secondo questo ordine: Re fra le due torri (avete a disposizione 20 diverse soluzioni), alfieri su caselle di colore opposto (in tal caso potete scegliere fra 16 alternative), cavalli e Regina nelle tre case restanti (3 possibilità), pezzi avversari in modo diametralmente opposto. Potete arroccare ma, se Re e torre non sono equidistanti, il Re muove la distanza più corta. Configurazioni iniziali possibili: 960.
Signore e signori, state giocando al Fischer-Random Chess. Non avete bisogno di memorizzare le aperture, non servirebbe a nulla. Vi toccherebbe moltiplicare lo sforzo per 960. Dunque muovete e improvvisate. Robert James “Bobby” Fischer vi guarda. E se anche il vostro gioco risultasse scadente, non vi accuserebbe di aver preparato a tavolino la partita, di averla pensata a casa anziché sulla scacchiera.
«La grande sfida fra Karpov e Kasparov? Nient’altro che l’espressione di uno studio a tavolino». Parola di Robert Fischer, campione del mondo di scacchi del ’72, artista. E come tutti gli artisti spaccone, cialtrone, arrogante, petulante, capriccioso. E misogino. Certe volte anche un po’ antisemita. «Sono tutte deboli, tutte le donne. Sono stupide se paragonate agli uomini» (Harper’s Magazine, 1962). Infatti rifiuta categoricamente di partecipare a tornei che ammettono giocatrici.
Un atteggiamento a dir poco irriguardoso nei confronti della madre. È stata lei, Regina Wender (Regina, capite?) — ebrea, operaia ma poi insegnante, poi infermiera, poi medico — a regalare al piccolo Bobby una scacchiera. Lui ha sei anni. Scarta il regalo. «Wow! I soldatini! Ci sono anche i cavalli! E le torri!». «Come si gioca?» chiede la sorella. «Non lo so, risponde Bobby, aspetta, leggo le istruzioni».
Le istruzioni devono essere scritte molto bene visto che Bobby impara a giocare magnificamente. A 13 anni, nel ’56, vince il campionato juniores statunitense. A 15 anni trionfa nel campionato maggiore, si qualifica alle interzonali, diventa “grande maestro”, conclude il torneo quinto.
Ma le donne, se paragonate agli uomini, restano delle stupide. Con buona pace della madre operaia poi insegnante poi infermiera poi medico… ed ebrea. «Ci sono troppi ebrei negli scacchi. Sembra che abbiano portato via la classe del gioco. Capisci, non mi sembra che si vestano molto bene» (Harper’s Magazine, 1962). Non bastassero gli insulti del figlio, ci si mette anche l’FBI. Regina Wender è sospettata di aver lavorato per i sovietici. I sovietici?
I sovietici. I dominatori assoluti del campionato mondiale di scacchi. L’FBI indaga anche su Bobby. Gioca troppo bene. All’interzonale del ’69 ottiene una sfilza di vittorie che non ha eguali. Addirittura 11-0 contro Bisguier. Cappotto. Solo l’ex campione del mondo Petrosian gli tiene testa. Ma Fischer si qualifica comunque. È finalmente pronto a sfidare il Campione del Mondo russo, Boris Spassky.
I sospetti dell’FBI aumentano.
La sfida avviene nel settembre 1972. Fischer, l’artista, ne combina una dopo l’altra. A cominciare dal luogo in cui deve svolgersi l’incontro.
«E se lo facessimo a Roma?» gli chiedono.
«Buenos Aires».
«Parigi?».
«Buenos Aires».
«Berlino?».
«Buenos Aires».
«Tokyo?».
«Buenos Aires».
«Pechino?».
«Buenos Aires».
«Lima?».
«Buenos Aires».
«Il Cairo?».
«Buenos Aires».
«Belgrado?».
«Reykjavík».
«Vada per Reykjavík».
«Non lo so perché ho detto Reykjavík. Non c’è il bowling, le telecamere sono del tutto inadeguate, l’illuminazione è pietosa, il tavolo è troppo basso, le sedie troppo alte, c’è troppo rumore. Sentite? Anche il telefono che squilla! Voglio essere lasciato in pace!»
All’altro capo del telefono c’è Henry Kissinger. I rapporti dell’FBI sono allarmanti. Bobby Fischer deve dimostrare di essere un buon americano. Deve giocare e vincere quella partita. Arriva anche una donazione di 125.000 $ che fa salire il premio a 250.000 $. Bobby, da buon americano, si lascia convincere. Nixon cancella tutti gli impegni per seguire la partita. Brežnev fa montare alla parete una scacchiera gigante per gustare ogni mossa. Fischer siede di fronte alla scacchiera. Perde la prima. Perde anche la seconda. Brežnev fa suonare la sinfonia n. 7 di Šostakovič: Difesa di Leningrado. Poi però l’americano inizia a vincere. L’FBI si mette buona. Il KGB si mette in moto: coordina gli sforzi delle organizzazioni scacchistiche sovietiche contro l’americano. Ma è inutile. Risultato finale: 12,5 per Fischer, 8,5 per Spassky.
Bobby, in piena guerra fredda, batte i russi nella loro specialità e diventa un eroe nazionale. Ma dura poco. Squilla di nuovo il telefono.
«Ciao Bobby, sono il presidente Nixon. Volevo congratularmi per la tua vittoria in Islanda».
«La faccia breve, risponde Bobby, sono molto stanco».
Nel ’75, quando deve difendere il titolo contro Karpov, è ancora molto stanco. Perde a tavolino per abbandono, dopodiché scompare per vent’anni. Poi, nel 1992, la Jugoslavia – che è sotto embargo ONU – indice una competizione mondiale di scacchi. C’è anche Spassky. Fischer non resiste. Si ripresenta. Siede al tavolo. Muove. Vince. L’eroe nazionale è tornato? Nemmeno per sogno. Durante un’intervista pubblica sputa su un documento del Dipartimento di Stato americano che gli proibisce di giocare in Jugoslavia (causa embargo). Gli Stati Uniti emettono un mandato di cattura e Fischer scompare di nuovo. Qualche anno dopo il suo patrimonio viene confiscato e venduto all’asta. In un’intervista telefonica ad una radio ungherese Fischer dice di essere vittima di una cospirazione internazionale di matrice giudaica. La stazione di Budapest taglia il collegamento. All’indomani dell’11 settembre 2001 partecipa ad un’altra trasmissione radiofonica, questa volta nelle Filippine: «This is all wonderful news. I applaud the act. The U.S. and Israel have been slaughtering the Palestinians, just slaughtering them for years. Robbing them and slaughtering them. Nobody gave a shit. Now it’s coming back to the U.S. Fuck the U.S. I want to see the U.S. wiped out». Può fare anche di meglio. Intervistato da un giornalista dichiara «Cosa mi piace? Le ragazze con le tette grandi, i kamikaze, Hitler».
Signore e signori avete ascoltato Bobby Fischer, campione del mondo di scacchi del ’72, artista fulminato, genio anarcoide a piede libero. Almeno fino al 2004, quando viene arrestato all’aeroporto di Tokyo per aver mostrato un passaporto irregolare. Le autorità americane, che non dimenticano, gliel’hanno revocato l’anno prima. I Giapponesi vorrebbero addirittura estradarlo e ciò significherebbe una sicura condanna a 10 anni di prigione. Per scampare alla vendetta degli USA bisognerebbe convincere qualcuno a rilasciargli un regolare passaporto.
«Va bene l’Italia?» gli chiedono.
«Argentina».
«Francia?».
«Argentina».
«Germania?».
«Argentina».
«Giappone?».
«Argentina».
«Cina?».
«Argentina».
«Perù?».
«Argentina».
«Egitto?».
«Argentina».
«Jugoslavia?».
«Islanda».
«Vada per l’Islanda».
«Non lo so perché ho detto Islanda. Non c’è il bowling…»