La canzone di Berryblue
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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La canzone di Berryblue

La notte in cui Berryblue venne al mondo, per la prima volta dopo anni di silenzio e oppressione, le acque chete del Mississippi ringhiarono, scuotendo il sonno degli abitanti della città di Natchez. Il mattino seguente all’inondazione, alcuni schiavi della piantagione di cotone del Signor Turner, in fila per l’angusto sentiero che presto li avrebbe condotti all’anticamera dell’inferno quotidiano, rinvennero accanto a un cespuglio di mirtilli selvatici, un fagottino più nero del carbone.
«Hey Joe, fermati perdio! Finirai per staccarmi la caviglia se continui a strattonarmi così! Guarda là, lo vedi anche tu?» indicò incuriosito il buon vecchio Ed con la mano ridotta a una poltiglia di cicatrici e i piedi cosparsi di ferite millenarie.
«Cazzo, sì che lo vedo Ed! A meno che non abbia ancora in circolo la sbornia di ieri sera, direi che quel coso lì ha tutta l’aria di essere un altro piccolo bastardo!» rise Joe con i polmoni intasati di catarro.
Fu così che il coso nero varcò la soglia dei viventi, senza sapere bene chi fosse né chi lo avesse abbandonato sotto quel groviglio profumato di mirtilli. E proprio per questo motivo, quando Edward quella sera lo portò a casa, sua moglie Rosie lo battezzò soddisfatta Berryblue.
Il piccolo Berryblue crebbe senza mai opporsi ai rimproveri del vecchio Ed, rivelatosi un buon padre, malgrado le massicce bevute serali e i peccatucci dai quali non era immune. Dal canto suo, Rosie aveva sempre desiderato un bambino da coccolare, ma la maternità non era mai sopraggiunta a donarle un po’ di felicità e Ed, attribuendo la colpa al malocchio di qualche invidioso, aveva finito per considerare quel piccoletto una sorta di benedizione.
Pur essendo un bambino ubbidiente, Berryblue era diverso dagli altri coetanei. Silenzioso e poco incline a tessere rapporti umani, sembrava quasi che il fiume lo avesse partorito con il cielo in tempesta. Infatti, quel blue imprigionato dentro il suo nome, ricordava a molti l’atmosfera oscura che avvolgeva la collina di Natchez, colpita dai balli pittoreschi dei temporali estivi. E da quel promontorio incantato, Berry (così era solita chiamarlo la Signora Rosie, accarezzandogli la testolina accoccolata sul grembo), sembrava non voler scendere mai. Che cosa ci trovasse di speciale, nessuno lo sapeva, ma per lui non vi era nulla di più dolce e confortante del salire fin lassù ad osservare il lento scorrere delle acque del fiume.
Si sentiva solo, il piccolo Berry. Senza una reale identità, sputato fuori da un utero che lo aveva ripudiato, adottato da una famiglia di poveri schiavi che, pur amandolo a modo loro, brancolavano in una vita che non si erano scelti. Voleva essere come quel fiume, immenso, in movimento, mai parcheggiato ad aspettare che le cose cambiassero da sé; in viaggio, alla ricerca di avventure, di terre nuove da esplorare, di radici robuste da mettere.
C’era nato, così, il piccolo Berry, con quegli occhi tristi in cui ci potevi cascare dentro, se ti sporgevi troppo, senza sapere da che parte saresti naufragato. C’era nato, solo, e non perché lo avesse desiderato. Che ne poteva sapere lui di come andava il mondo e di quali leggi lo governavano? Che ne poteva sapere del perché le parole gli marcivano in gola ogni volta che si avvicinava a qualcuno? Non era timido, il piccolo Berry, ma aveva la costante sensazione di essere piombato lì per un pessimo scherzo del destino, di non appartenere a nessuna etnia e a nessun luogo. E allora, le emozioni gli si aggrovigliavano nel cuore e ogni volta che tentava di esternarle, gli altri bambini lo schernivano, trattandolo come uno storpio.
All’età di undici anni, Berryblue iniziò a lavorare per conto del Signor Turner, pur essendo ancora gracile di corporatura. Il Signor Turner, a differenza dei padroni bianchi della zona, non era poi così malvagio e se lo sapevi accontentare come voleva lui, potevi anche sperare di fare carriera, diventare per esempio controllore della piantagione. A Berry, di tenere il fucile in spalla e di puntarlo contro gli schiavi, non era mai piaciuto, ma il suo carattere docile e sottomesso, distante da quello protervo degli altri ragazzini, lo fece entrare nelle grazie del Signor Turner, impedendogli di sottrarsi a quella ripugnante mansione.
Fu così che Berryblue si conquistò la sua fiducia, ma di certo, questo servì solo a isolarlo maggiormente: ora, chiunque aveva un motivo in più per detestarlo.
Tuttavia, a turbare quella routine quotidiana, accadde un fatto alquanto inconsueto. Una mattina delle tante, inondata da un’alba rovente, Berry notò un uccello dal piumaggio bianco planare fin quasi a sfiorargli il capo, come se volesse mostrargli qualcosa.
Uccelli così, a Natchez non se ne erano mai visti, e ciò che lo incuriosì particolarmente, fu che la maestosa creatura reggeva nel becco due succosi mirtilli. Se ne accorse, quando gli fu vicina abbastanza da sentirla addirittura respirare. Più che un respiro però, l’uccello ciangottava un messaggio dalle parole incomprensibili.
Dapprima, Berryblue si convinse di soffrire di allucinazioni, poi qualcosa lo spinse a seguire quella creatura, come ipnotizzato.
Camminò per qualche chilometro, svoltò a destra, poi a sinistra, di nuovo a destra, dietro la fattoria della famiglia Bruik. Continuò per il sentiero battuto, fino a quando, circa sei metri più in là, soffocò un grido di stupore: la guida alata era entrata volteggiando dentro la chiesa battista di Rose Hill, all’incrocio tra Madison Street e Martin Luther King Jr. Street. Impiegò qualche istante per riprendersi dallo stato di trance in cui era sprofondato, mentre contemplava la facciata spoglia della chiesa che si erigeva davanti a lui.
Edward e Rosie erano credenti e spesso li aveva sentiti pregare e ringraziare il buon Dio per la loro umile esistenza, ma a differenza degli altri genitori, non avevano mai imposto nessun credo al piccolo Berryblue, lasciandolo libero di seguire le proprie inclinazioni. Berry, dal canto suo, conosceva la storia di Gesù e del diavolo, ma non aveva mai osato avvicinarsi a una chiesa, per quell’inspiegabile timore reverenziale che si avverte quando si fiuta un mistero.
«Figlio mio», lo rassicurava la dolce Rosie prima di addormentarsi, «Dio è grande e misericordioso, non avere paura. Parteciperai alle funzioni della domenica quando sentirai il suo richiamo dentro di te, fino ad allora potrai pregarlo anche qui, nella tua stanza».
Quel pomeriggio però, aleggiava nell’aria un profumo diverso. Berry questo lo percepiva in ogni sua molecola, ma non riusciva a identificarne la causa. Sospinse lentamente il portone della chiesa, quando una folata di vento improvvisa, lo risucchiò all’interno. Guardandosi attorno un poco smarrito, notò che l’uccello dal candore abbagliante era scomparso nel nulla. D’istinto alzò gli occhi, i suoi passi divennero pesanti, avvertì una puntura al petto e lo vide, triste e dolorante, inchiodato alla croce di legno, solo, nella tenue luce di quel pomeriggio: Gesù.
Fu allora che le ginocchia gli cedettero contro la sua volontà e un pianto profondo e inarrestabile lo pervase, risuonando come un’eco lontana in ogni fibra di quelle pareti. Berry esaminò il corpo martoriato e ne sentì il dolore, inconsolabile ed estenuante. Sfiorò le piaghe con le dita: Gesù era lì, immobile, sofferente, ma soprattutto, abbandonato.
Quella parola “abbandonato” spaventava Berryblue più di qualunque altro flagello. Conosceva bene la solitudine, sua compagna fedele sin dalle primissime ore di vita; conosceva il desiderio ardente di voler comunicare e di non riuscire a farlo; il bisogno umano d’incontrare qualcuno simile a lui, che sentisse come lui, che gli spiegasse perché fosse venuto al mondo così, senza amore.
In fondo, le persone non erano cattive – gli rammentava spesso Ed – ma avevano cose più urgenti da sbrigare, che ascoltare un ragazzino. Quello che il caro Ed non aveva mai avuto il coraggio di confessargli però, era quanto tutto ciò lo ritenesse ingiusto.
Ora, Berryblue fissava Gesù con insistenza, in cerca di risposte; rivedeva in lui, il volto del suo stesso tormento.
«Non sei stanco di essere solo?» gli domandò singhiozzando, esprimendosi per la prima volta senza timore alcuno. «Non sei arrabbiato con quelli che ti hanno crocifisso? Rosie dice che così ci hai salvati tutti, perché? Da cosa? Il diavolo non si può sconfiggere, non vedi quello che succede agli schiavi? A cosa è servito? Ti hanno lasciato qui, senza curarsi di te», ma mentre continuava ad assillarlo con una rabbia che non credeva gli sarebbe mai potuta appartenere, gli sfuggì: «Mi sento come te Gesù! Ma tu sei fortunato, perché io sono qui ora, non so neanche bene il perché e se almeno tu volessi essere mio amico, per me… ecco, sarebbe bellissimo. Potrei aiutarti a scendere da quella croce, medicarti, parlare con te».
Ci fu silenzio. Un silenzio insolito per quell’ora del giorno. Un silenzio gravido di elettricità. Le foglie cessarono di ondeggiare sospinte dal vento, il cielo s’incupì quasi partecipasse al pianto, il fiume s’increspò, perfino gli schiavi al di là della collina udirono un indecifrabile lamento. Berryblue era animato da una forza che non aveva mai percepito prima di allora, come un boato di parole incontenibili che si arrampicavano attraverso i suoi capillari e imploravano di tracimare.
Poi, accadde l’imprevedibile: Gesù pianse.
Caddero una dopo l’altra, lacrime nere dalle dimensioni pantagrueliche e dall’odore putrescente. Inzupparono il legno della croce e inondarono il pavimento dell’umile chiesa, travolgendo a poco a poco, sedie e canti: Gesù spalancò gli occhi, si strappò i chiodi dal palmo delle mani e dai piedi, soffocò un grido di dolore e, a brandelli, scese dalla croce. Berry respirava appena, incapace di muoversi, qualcosa lo ancorava al terreno, qualcosa d’incandescente.
«Lo sai tu chi sono io, Berry?» e quando pronunciò il suo nome con voce tonante, il Mississippi infuriò.
«Sei un uomo, tu. Un uomo solo, come me» sussurrò Berryblue con un filo di voce.
Gesù gli tese le mani e lo abbracciò. Mai nessuno gli aveva risposto con una tale sincerità, trattandolo alla pari. E provò una punta d’invidia per quel ragazzino che nonostante tutto continuava, instancabile, a rovistare nei grandi perché. Gesù lo sapeva di cos’erano capaci gli uomini, di come godevano nel crocifiggersi l’un l’altro. Lo aveva compreso il giorno in cui non avevano esitato a massacrarlo, inventandosi storie sul suo conto, sull’esistenza di un Dio padre, sui presunti miracoli che egli stesso, sostenevano, avesse compiuto. Ma quell’uomo conosceva la verità (forse), quella menzogna infame che era stato costretto a raccontare per secoli, pur di sopravvivere alla follia umana. E Berry era il prescelto.
«Vorrei che mi aiutassi Berryblue, vorrei che fossimo amici. Dicono che non ci sia niente di più bello al mondo del poter vedere lo splendore o di poter ascoltare la musica soave della natura, attraverso gli occhi e le orecchie di un buon amico. Lo faresti per me?» supplicò Gesù.
«È questo che vorresti davvero?» domandò stupefatto Berry.
«Sì, vorrei vedere solo per un istante attraverso te. Non te ne accorgerai neppure» mentì Gesù.
«Oh! Se bastasse ciò per alleviarti un po’ le pene, te lo concederei più che volentieri. Ma tu, rimarresti poi mio amico?»
«Certo Berry! E per dimostrarti tutta la mia gratitudine, c’è qualcosa che potrei fare io per te?»
«Gli amici non hanno bisogno di sdebitarsi Gesù, ma in verità, qualcosa ci sarebbe: vorrei che gli altri mi ascoltassero, che udissero il suono della mia anima. Vorrei che questa solitudine opprimente se ne andasse via!»
Non fece in tempo a terminare i suoi pensieri, che la voce si spezzò. Quel Cristo che era apparso fino a qualche istante prima, afflitto e in cerca di consolazione, si fece improvvisamente scuro. La pelle candida si macchiò di nero, si crepò in centinaia di minuscole fessure, si udì lo schianto di ossa frantumate e Gesù, come un fascio di energia impalpabile, s’infilò nella bocca di Berry e sparì.
Berryblue non poteva sapere della magia che operava nel mondo. Il suo corpicino iniziò a espandersi ritmicamente, come se dentro di lui si fosse annidata una sanguisuga gigante. Sentì il pulsare frenetico di un muscolo più grande, un cuore diverso che schiacciava il suo e prendeva possesso dei tessuti organici. Poi, qualcosa lo colpì alle orecchie, come un veleno mortale che si ramificava dall’interno. Si portò le mani alla testa, ma l’udito schizzò via prima ancora che riuscisse a gridare. Si voltò terrorizzato verso la croce, ma non c’era più nessun Gesù a tendergli la mano.
Forse il Cristo di cui gli avevano sempre raccontato non era mai esistito davvero, forse quell’uomo era una creatura infernale, forse le cose non erano come apparivano. Mentre una strana consapevolezza instillava il dubbio, una fitta lancinante lo disarmò: Berry non vedeva più.
Urlò, si strappò i capelli, ruzzolò a terra: quell’essere lo aveva ingannato. Che fosse il diavolo? Il Mississippi era sempre stato una landa densa di sparizioni, riti e leggende. Qualunque cosa fosse, comprese che si era servito di lui, della sua ingenuità.
I giorni che seguirono quell’episodio, rimasero impressi in maniera indelebile nella memoria storica di Natchez. Alcune donne, recandosi in chiesa la domenica seguente, ritrovarono Berryblue disteso a terra, privo di conoscenza. Lo stato in cui era ridotto il corpo fece uscire di senno Rosie e il vecchio Ed: piagato e sporco di mirtilli. Nessuno riusciva a capire che cosa fosse accaduto e dove fosse finito il Cristo in croce.
La notizia corse rapida per le campagne, si colorì di bocca in bocca di supposizioni e non ci volle molto perché si pensasse che il ragazzino fosse posseduto dal male. Ma Berryblue, in quella lenta agonia, privato della vista e dell’udito e incapace di raccontare cosa era successo, si avvicinava sempre più alla verità. E quando infine, si decisero a portarlo dallo sciamano di Natchez, non oppose resistenza, lasciando che il suo destino si compisse.
Nessuno era mai riuscito a vedere lo sciamano negli occhi. Di lui poco si sapeva. Dimorava lì, sulla riva del fiume, in quella sorta di rifugio impastato di rami e foglie secche, in cui nessuno osava mai addentrarsi più di tanto. Era lì da sempre, da prima che la terra fosse plasmata e avesse l’aspetto attuale, così almeno tramandavano le leggende dei Nativi d’America. Di generazione in generazione, il suo nome aveva riempito l’etere di stupore e meraviglia; si credeva che nulla avesse a che fare col demonio, dal momento che a lui si rivolgevano gli antichi spiriti della natura. Lo sciamano era l’unico in grado di tatuare l’anima delle persone, anziché la carne, restituendole eterno vigore.
La sera in cui Berryblue, quasi delirante, fu portato dallo sciamano per essere guarito – da cosa e come, non era ben chiaro a nessuno – dalla chiesa battista di Rose Hill si levò un lamento. Alcuni erano affascinati dal dono dello sciamano; altri lo consideravano una sorta di tradimento nei confronti della loro fede in Cristo; Ed e Rosie invece, erano disposti a tutto: volevano indietro quel piccino che aveva regalato loro un barlume di speranza.
Berryblue, adagiato sopra a una tavola di legno, fu lasciato davanti all’ingresso del rifugio: così voleva la tradizione. Quando lo sciamano uscì, ricoperto di stracci e vestiti logori fin sul capo, Berry sentì nuovamente quell’inspiegabile forza a scuotergli l’anima. Si accorse di non riuscire a camminare, una febbre alta lo imprigionò. Capì allora di essere stato trasportato all’interno e di essere rimasto solo con lui.
«Chi sei?» ringhiò debole, ma non poteva udire nulla.
Ci fu un istante di silenzio. Poi, una voce ancestrale parve sussurrargli da dentro lo stomaco.
«Berry, il piccolo Berryblue» rispose calma la voce.
Il ragazzino tremò. Allungò la mano nel buio davanti a sé, svelando la morbidezza di un piumaggio soffice. Non poteva vederlo, ma la sensazione tattile era inconfondibile: qualunque cosa fosse, aveva più l’aspetto di un grosso uccello anziché di un essere umano. Continuò a tastarlo, riconobbe i segni dei chiodi nelle mani piumate e un becco che stringeva con forza due mirtilli selvatici.
«Gesù!» esclamò Berry. «Eri tu l’uccello bianco! Sei tu lo sciamano! Che cosa mi hai fatto?», ma non c’era paura né tensione, solo il desiderio di comprendere ciò che la mente umana nascondeva.
«Mi dispiace Berry per averti fatto del male. Sono addolorato, ma tu eri l’unico che avrebbe potuto aiutarmi» e mentre parlava, Berry riusciva a distinguere dettagliatamente ogni singola parola. Le sentiva dentro di sé e non tramite il canale uditivo.
«Avevi detto che eri mio amico, ti prego, aiutami…» lo implorava.
«Mi crederesti se ti dicessi che il demonio non è mai esistito?». Berry ascoltava in religioso silenzio, senza fiatare. «Non c’è nessun Dio, ragazzo mio. Tutto il male che fluisce in questa terra è frutto degli uomini. Mi hanno crocifisso, ma io non conosco il motivo, non ricordo nulla. Non so chi sono, non so chi mi ha voluto così. Ho vagato per secoli in cerca di una risposta, idolatrato in alcune circostanze, detestato in altre. Avevo sete di verità, mi sentivo solo. Quando sei nato tu, mi accorsi che i nostri destini erano intrecciati. Comprendevi la mia sofferenza, perché anche tu respiravi gli stessi tormenti. Ho cercato di capire il perché, ma non ci sono riuscito Berry, allora ti ho derubato dei tuoi occhi e delle tue orecchie… volevo vedere e sentire come te, attraverso te».
«E che cosa hai visto? Che cosa hai udito?» chiese con insistenza Berryblue.
«Nulla, solo una gran solitudine e la volontà di sgretolarla. Noi due siamo più simili di quello che pensi: non sappiamo chi ci ha generato, né perché ci sentiamo inadeguati al mondo e agli altri. È per questo dono che abbiamo di percepire l’essenza in tutte le sue piccole sfaccettature, d’interrogarci. Ma ti avevo promesso che ti sarei stato amico e voglio mantenere quello che mi avevi chiesto, rimediare al dolore che ti ho causato. Non sarai più solo Berryblue, mi prenderò la tua anima e la inciderò, così tutti ascolteranno il suono del tuo cuore».
Accadde. E Berry intuì. Era sempre stato un ragazzino sensibile, dotato di empatia e acuta intelligenza. Non fu il diavolo a rubare l’anima al piccolo Berryblue ma Gesù. Gli squarciò il petto, una fiamma azzurra divampò bruciando la sua carne. Non sentì alcuno strazio e quando Gesù raccolse l’anima tra le mani, Berry si librò leggero nell’aria. Scomparve dalla terra così come era venuto al mondo: in un battito d’ali. Le sue emozioni si tramutarono in note, una canzone dolce e malinconica, che consolò per molti anni le notti insonni degli schiavi e si alimentò delle loro sensazioni, continuando a vivere dentro ogni battito.
Berry aveva compreso che Dio e Mefistofele erano frutto di fervide fantasie; che Gesù era un uomo solo, in cerca di una verità inaccessibile, che aveva sperato di trovare in lui. Come Berry aveva il dono di tuffarsi dentro le cose, Gesù aveva il dono di tatuare le anime. Tuttavia, il suo era un dono egoista, perché con quella canzone, pur non avendo scoperto la chiave del cosmo, Gesù aveva comunque trovato un antidoto alla sua tristezza.
La magia e i misteri sono sempre esistiti, ma nessuno riesce ad afferrarne la reale sostanza. E come i sogni, sbocciano, ci sfuggono, sfioriscono, mutano sembianze.
L’unica verità è che, semplicemente, non è mai esistita una verità; la bellezza come la sofferenza non affonda radici nel raziocinio. Entrambe appartengono ai segreti inconfessabili degli spiriti della natura.
A noi esseri umani restano le leggende e le storie che, facendoci sentire gocce di un’immensità inafferrabile ma condivisa, disintegrano la nostra solitudine.
A volte, a lenire le ferite profonde dell’intimità, restano anche le canzoni, come quella di Berryblue: il ragazzino piovuto dal fiume, che inventò il primo blues.

La notte in cui Berryblue venne al mondo, per la prima volta dopo anni di silenzio e oppressione, le acque chete del Mississippi ringhiarono, scuotendo il sonno degli abitanti della città di Natchez. Il mattino seguente all’inondazione, alcuni schiavi della piantagione di cotone del Signor Turner, in fila per l’angusto sentiero che presto li avrebbe condotti all’anticamera dell’inferno quotidiano, rinvennero accanto a un cespuglio di mirtilli selvatici, un fagottino più nero del carbone.

«Hey Joe, fermati perdio! Finirai per staccarmi la caviglia se continui a strattonarmi così! Guarda là, lo vedi anche tu?» indicò incuriosito il buon vecchio Ed con la mano ridotta a una poltiglia di cicatrici e i piedi cosparsi di ferite millenarie.

«Cazzo, sì che lo vedo Ed! A meno che non abbia ancora in circolo la sbornia di ieri sera, direi che quel coso lì ha tutta l’aria di essere un altro piccolo bastardo!» rise Joe con i polmoni intasati di catarro.

Fu così che il coso nero varcò la soglia dei viventi, senza sapere bene chi fosse né chi lo avesse abbandonato sotto quel groviglio profumato di mirtilli. E proprio per questo motivo, quando Edward quella sera lo portò a casa, sua moglie Rosie lo battezzò soddisfatta Berryblue.

Il piccolo Berryblue crebbe senza mai opporsi ai rimproveri del vecchio Ed, rivelatosi un buon padre, malgrado le massicce bevute serali e i peccatucci dai quali non era immune. Dal canto suo, Rosie aveva sempre desiderato un bambino da coccolare, ma la maternità non era mai sopraggiunta a donarle un po’ di felicità e Ed, attribuendo la colpa al malocchio di qualche invidioso, aveva finito per considerare quel piccoletto una sorta di benedizione.

Pur essendo un bambino ubbidiente, Berryblue era diverso dagli altri coetanei. Silenzioso e poco incline a tessere rapporti umani, sembrava quasi che il fiume lo avesse partorito con il cielo in tempesta. Infatti, quel blue imprigionato dentro il suo nome, ricordava a molti l’atmosfera oscura che avvolgeva la collina di Natchez, colpita dai balli pittoreschi dei temporali estivi. E da quel promontorio incantato, Berry (così era solita chiamarlo la Signora Rosie, accarezzandogli la testolina accoccolata sul grembo), sembrava non voler scendere mai. Che cosa ci trovasse di speciale, nessuno lo sapeva, ma per lui non vi era nulla di più dolce e confortante del salire fin lassù ad osservare il lento scorrere delle acque del fiume.

Si sentiva solo, il piccolo Berry. Senza una reale identità, sputato fuori da un utero che lo aveva ripudiato, adottato da una famiglia di poveri schiavi che, pur amandolo a modo loro, brancolavano in una vita che non si erano scelti. Voleva essere come quel fiume, immenso, in movimento, mai parcheggiato ad aspettare che le cose cambiassero da sé; in viaggio, alla ricerca di avventure, di terre nuove da esplorare, di radici robuste da mettere.

C’era nato, così, il piccolo Berry, con quegli occhi tristi in cui ci potevi cascare dentro, se ti sporgevi troppo, senza sapere da che parte saresti naufragato. C’era nato, solo, e non perché lo avesse desiderato. Che ne poteva sapere lui di come andava il mondo e di quali leggi lo governavano? Che ne poteva sapere del perché le parole gli marcivano in gola ogni volta che si avvicinava a qualcuno? Non era timido, il piccolo Berry, ma aveva la costante sensazione di essere piombato lì per un pessimo scherzo del destino, di non appartenere a nessuna etnia e a nessun luogo. E allora, le emozioni gli si aggrovigliavano nel cuore e ogni volta che tentava di esternarle, gli altri bambini lo schernivano, trattandolo come uno storpio.

All’età di undici anni, Berryblue iniziò a lavorare per conto del Signor Turner, pur essendo ancora gracile di corporatura. Il Signor Turner, a differenza dei padroni bianchi della zona, non era poi così malvagio e se lo sapevi accontentare come voleva lui, potevi anche sperare di fare carriera, diventare per esempio controllore della piantagione. A Berry, di tenere il fucile in spalla e di puntarlo contro gli schiavi, non era mai piaciuto, ma il suo carattere docile e sottomesso, distante da quello protervo degli altri ragazzini, lo fece entrare nelle grazie del Signor Turner, impedendogli di sottrarsi a quella ripugnante mansione.

Fu così che Berryblue si conquistò la sua fiducia, ma di certo, questo servì solo a isolarlo maggiormente: ora, chiunque aveva un motivo in più per detestarlo.

Tuttavia, a turbare quella routine quotidiana, accadde un fatto alquanto inconsueto. Una mattina delle tante, inondata da un’alba rovente, Berry notò un uccello dal piumaggio bianco planare fin quasi a sfiorargli il capo, come se volesse mostrargli qualcosa.

Uccelli così, a Natchez non se ne erano mai visti, e ciò che lo incuriosì particolarmente, fu che la maestosa creatura reggeva nel becco due succosi mirtilli. Se ne accorse, quando gli fu vicina abbastanza da sentirla addirittura respirare. Più che un respiro però, l’uccello ciangottava un messaggio dalle parole incomprensibili.

Dapprima, Berryblue si convinse di soffrire di allucinazioni, poi qualcosa lo spinse a seguire quella creatura, come ipnotizzato.

Camminò per qualche chilometro, svoltò a destra, poi a sinistra, di nuovo a destra, dietro la fattoria della famiglia Bruik. Continuò per il sentiero battuto, fino a quando, circa sei metri più in là, soffocò un grido di stupore: la guida alata era entrata volteggiando dentro la chiesa battista di Rose Hill, all’incrocio tra Madison Street e Martin Luther King Jr. Street. Impiegò qualche istante per riprendersi dallo stato di trance in cui era sprofondato, mentre contemplava la facciata spoglia della chiesa che si erigeva davanti a lui.

Edward e Rosie erano credenti e spesso li aveva sentiti pregare e ringraziare il buon Dio per la loro umile esistenza, ma a differenza degli altri genitori, non avevano mai imposto nessun credo al piccolo Berryblue, lasciandolo libero di seguire le proprie inclinazioni. Berry, dal canto suo, conosceva la storia di Gesù e del diavolo, ma non aveva mai osato avvicinarsi a una chiesa, per quell’inspiegabile timore reverenziale che si avverte quando si fiuta un mistero.

«Figlio mio», lo rassicurava la dolce Rosie prima di addormentarsi, «Dio è grande e misericordioso, non avere paura. Parteciperai alle funzioni della domenica quando sentirai il suo richiamo dentro di te, fino ad allora potrai pregarlo anche qui, nella tua stanza».

Quel pomeriggio però, aleggiava nell’aria un profumo diverso. Berry questo lo percepiva in ogni sua molecola, ma non riusciva a identificarne la causa. Sospinse lentamente il portone della chiesa, quando una folata di vento improvvisa, lo risucchiò all’interno. Guardandosi attorno un poco smarrito, notò che l’uccello dal candore abbagliante era scomparso nel nulla. D’istinto alzò gli occhi, i suoi passi divennero pesanti, avvertì una puntura al petto e lo vide, triste e dolorante, inchiodato alla croce di legno, solo, nella tenue luce di quel pomeriggio: Gesù.

Fu allora che le ginocchia gli cedettero contro la sua volontà e un pianto profondo e inarrestabile lo pervase, risuonando come un’eco lontana in ogni fibra di quelle pareti. Berry esaminò il corpo martoriato e ne sentì il dolore, inconsolabile ed estenuante. Sfiorò le piaghe con le dita: Gesù era lì, immobile, sofferente, ma soprattutto, abbandonato.

Quella parola “abbandonato” spaventava Berryblue più di qualunque altro flagello. Conosceva bene la solitudine, sua compagna fedele sin dalle primissime ore di vita; conosceva il desiderio ardente di voler comunicare e di non riuscire a farlo; il bisogno umano d’incontrare qualcuno simile a lui, che sentisse come lui, che gli spiegasse perché fosse venuto al mondo così, senza amore.

In fondo, le persone non erano cattive – gli rammentava spesso Ed – ma avevano cose più urgenti da sbrigare, che ascoltare un ragazzino. Quello che il caro Ed non aveva mai avuto il coraggio di confessargli però, era quanto tutto ciò lo ritenesse ingiusto.

Ora, Berryblue fissava Gesù con insistenza, in cerca di risposte; rivedeva in lui, il volto del suo stesso tormento.

«Non sei stanco di essere solo?» gli domandò singhiozzando, esprimendosi per la prima volta senza timore alcuno. «Non sei arrabbiato con quelli che ti hanno crocifisso? Rosie dice che così ci hai salvati tutti, perché? Da cosa? Il diavolo non si può sconfiggere, non vedi quello che succede agli schiavi? A cosa è servito? Ti hanno lasciato qui, senza curarsi di te», ma mentre continuava ad assillarlo con una rabbia che non credeva gli sarebbe mai potuta appartenere, gli sfuggì: «Mi sento come te Gesù! Ma tu sei fortunato, perché io sono qui ora, non so neanche bene il perché e se almeno tu volessi essere mio amico, per me… ecco, sarebbe bellissimo. Potrei aiutarti a scendere da quella croce, medicarti, parlare con te».

Ci fu silenzio. Un silenzio insolito per quell’ora del giorno. Un silenzio gravido di elettricità. Le foglie cessarono di ondeggiare sospinte dal vento, il cielo s’incupì quasi partecipasse al pianto, il fiume s’increspò, perfino gli schiavi al di là della collina udirono un indecifrabile lamento. Berryblue era animato da una forza che non aveva mai percepito prima di allora, come un boato di parole incontenibili che si arrampicavano attraverso i suoi capillari e imploravano di tracimare.

Poi, accadde l’imprevedibile: Gesù pianse.

Caddero una dopo l’altra, lacrime nere dalle dimensioni pantagrueliche e dall’odore putrescente. Inzupparono il legno della croce e inondarono il pavimento dell’umile chiesa, travolgendo a poco a poco, sedie e canti: Gesù spalancò gli occhi, si strappò i chiodi dal palmo delle mani e dai piedi, soffocò un grido di dolore e, a brandelli, scese dalla croce. Berry respirava appena, incapace di muoversi, qualcosa lo ancorava al terreno, qualcosa d’incandescente.

«Lo sai tu chi sono io, Berry?» e quando pronunciò il suo nome con voce tonante, il Mississippi infuriò.

«Sei un uomo, tu. Un uomo solo, come me» sussurrò Berryblue con un filo di voce.

Gesù gli tese le mani e lo abbracciò. Mai nessuno gli aveva risposto con una tale sincerità, trattandolo alla pari. E provò una punta d’invidia per quel ragazzino che nonostante tutto continuava, instancabile, a rovistare nei grandi perché. Gesù lo sapeva di cos’erano capaci gli uomini, di come godevano nel crocifiggersi l’un l’altro. Lo aveva compreso il giorno in cui non avevano esitato a massacrarlo, inventandosi storie sul suo conto, sull’esistenza di un Dio padre, sui presunti miracoli che egli stesso, sostenevano, avesse compiuto. Ma quell’uomo conosceva la verità (forse), quella menzogna infame che era stato costretto a raccontare per secoli, pur di sopravvivere alla follia umana. E Berry era il prescelto.

«Vorrei che mi aiutassi Berryblue, vorrei che fossimo amici. Dicono che non ci sia niente di più bello al mondo del poter vedere lo splendore o di poter ascoltare la musica soave della natura, attraverso gli occhi e le orecchie di un buon amico. Lo faresti per me?» supplicò Gesù.

«È questo che vorresti davvero?» domandò stupefatto Berry.

«Sì, vorrei vedere solo per un istante attraverso te. Non te ne accorgerai neppure» mentì Gesù.

«Oh! Se bastasse ciò per alleviarti un po’ le pene, te lo concederei più che volentieri. Ma tu, rimarresti poi mio amico?»

«Certo Berry! E per dimostrarti tutta la mia gratitudine, c’è qualcosa che potrei fare io per te?»

«Gli amici non hanno bisogno di sdebitarsi Gesù, ma in verità, qualcosa ci sarebbe: vorrei che gli altri mi ascoltassero, che udissero il suono della mia anima. Vorrei che questa solitudine opprimente se ne andasse via!»

Non fece in tempo a terminare i suoi pensieri, che la voce si spezzò. Quel Cristo che era apparso fino a qualche istante prima, afflitto e in cerca di consolazione, si fece improvvisamente scuro. La pelle candida si macchiò di nero, si crepò in centinaia di minuscole fessure, si udì lo schianto di ossa frantumate e Gesù, come un fascio di energia impalpabile, s’infilò nella bocca di Berry e sparì.

Berryblue non poteva sapere della magia che operava nel mondo. Il suo corpicino iniziò a espandersi ritmicamente, come se dentro di lui si fosse annidata una sanguisuga gigante. Sentì il pulsare frenetico di un muscolo più grande, un cuore diverso che schiacciava il suo e prendeva possesso dei tessuti organici. Poi, qualcosa lo colpì alle orecchie, come un veleno mortale che si ramificava dall’interno. Si portò le mani alla testa, ma l’udito schizzò via prima ancora che riuscisse a gridare. Si voltò terrorizzato verso la croce, ma non c’era più nessun Gesù a tendergli la mano.

Forse il Cristo di cui gli avevano sempre raccontato non era mai esistito davvero, forse quell’uomo era una creatura infernale, forse le cose non erano come apparivano. Mentre una strana consapevolezza instillava il dubbio, una fitta lancinante lo disarmò: Berry non vedeva più.

Urlò, si strappò i capelli, ruzzolò a terra: quell’essere lo aveva ingannato. Che fosse il diavolo? Il Mississippi era sempre stato una landa densa di sparizioni, riti e leggende. Qualunque cosa fosse, comprese che si era servito di lui, della sua ingenuità.

I giorni che seguirono quell’episodio, rimasero impressi in maniera indelebile nella memoria storica di Natchez. Alcune donne, recandosi in chiesa la domenica seguente, ritrovarono Berryblue disteso a terra, privo di conoscenza. Lo stato in cui era ridotto il corpo fece uscire di senno Rosie e il vecchio Ed: piagato e sporco di mirtilli. Nessuno riusciva a capire che cosa fosse accaduto e dove fosse finito il Cristo in croce.

La notizia corse rapida per le campagne, si colorì di bocca in bocca di supposizioni e non ci volle molto perché si pensasse che il ragazzino fosse posseduto dal male. Ma Berryblue, in quella lenta agonia, privato della vista e dell’udito e incapace di raccontare cosa era successo, si avvicinava sempre più alla verità. E quando infine, si decisero a portarlo dallo sciamano di Natchez, non oppose resistenza, lasciando che il suo destino si compisse.

Nessuno era mai riuscito a vedere lo sciamano negli occhi. Di lui poco si sapeva. Dimorava lì, sulla riva del fiume, in quella sorta di rifugio impastato di rami e foglie secche, in cui nessuno osava mai addentrarsi più di tanto. Era lì da sempre, da prima che la terra fosse plasmata e avesse l’aspetto attuale, così almeno tramandavano le leggende dei Nativi d’America. Di generazione in generazione, il suo nome aveva riempito l’etere di stupore e meraviglia; si credeva che nulla avesse a che fare col demonio, dal momento che a lui si rivolgevano gli antichi spiriti della natura. Lo sciamano era l’unico in grado di tatuare l’anima delle persone, anziché la carne, restituendole eterno vigore.

La sera in cui Berryblue, quasi delirante, fu portato dallo sciamano per essere guarito – da cosa e come, non era ben chiaro a nessuno – dalla chiesa battista di Rose Hill si levò un lamento. Alcuni erano affascinati dal dono dello sciamano; altri lo consideravano una sorta di tradimento nei confronti della loro fede in Cristo; Ed e Rosie invece, erano disposti a tutto: volevano indietro quel piccino che aveva regalato loro un barlume di speranza.

Berryblue, adagiato sopra a una tavola di legno, fu lasciato davanti all’ingresso del rifugio: così voleva la tradizione. Quando lo sciamano uscì, ricoperto di stracci e vestiti logori fin sul capo, Berry sentì nuovamente quell’inspiegabile forza a scuotergli l’anima. Si accorse di non riuscire a camminare, una febbre alta lo imprigionò. Capì allora di essere stato trasportato all’interno e di essere rimasto solo con lui.

«Chi sei?» ringhiò debole, ma non poteva udire nulla.

Ci fu un istante di silenzio. Poi, una voce ancestrale parve sussurrargli da dentro lo stomaco.

«Berry, il piccolo Berryblue» rispose calma la voce.

Il ragazzino tremò. Allungò la mano nel buio davanti a sé, svelando la morbidezza di un piumaggio soffice. Non poteva vederlo, ma la sensazione tattile era inconfondibile: qualunque cosa fosse, aveva più l’aspetto di un grosso uccello anziché di un essere umano. Continuò a tastarlo, riconobbe i segni dei chiodi nelle mani piumate e un becco che stringeva con forza due mirtilli selvatici.

«Gesù!» esclamò Berry. «Eri tu l’uccello bianco! Sei tu lo sciamano! Che cosa mi hai fatto?», ma non c’era paura né tensione, solo il desiderio di comprendere ciò che la mente umana nascondeva.

«Mi dispiace Berry per averti fatto del male. Sono addolorato, ma tu eri l’unico che avrebbe potuto aiutarmi» e mentre parlava, Berry riusciva a distinguere dettagliatamente ogni singola parola. Le sentiva dentro di sé e non tramite il canale uditivo.

«Avevi detto che eri mio amico, ti prego, aiutami…» lo implorava.

«Mi crederesti se ti dicessi che il demonio non è mai esistito?». Berry ascoltava in religioso silenzio, senza fiatare. «Non c’è nessun Dio, ragazzo mio. Tutto il male che fluisce in questa terra è frutto degli uomini. Mi hanno crocifisso, ma io non conosco il motivo, non ricordo nulla. Non so chi sono, non so chi mi ha voluto così. Ho vagato per secoli in cerca di una risposta, idolatrato in alcune circostanze, detestato in altre. Avevo sete di verità, mi sentivo solo. Quando sei nato tu, mi accorsi che i nostri destini erano intrecciati. Comprendevi la mia sofferenza, perché anche tu respiravi gli stessi tormenti. Ho cercato di capire il perché, ma non ci sono riuscito Berry, allora ti ho derubato dei tuoi occhi e delle tue orecchie… volevo vedere e sentire come te, attraverso te».

«E che cosa hai visto? Che cosa hai udito?» chiese con insistenza Berryblue.

«Nulla, solo una gran solitudine e la volontà di sgretolarla. Noi due siamo più simili di quello che pensi: non sappiamo chi ci ha generato, né perché ci sentiamo inadeguati al mondo e agli altri. È per questo dono che abbiamo di percepire l’essenza in tutte le sue piccole sfaccettature, d’interrogarci. Ma ti avevo promesso che ti sarei stato amico e voglio mantenere quello che mi avevi chiesto, rimediare al dolore che ti ho causato. Non sarai più solo Berryblue, mi prenderò la tua anima e la inciderò, così tutti ascolteranno il suono del tuo cuore».

Accadde. E Berry intuì. Era sempre stato un ragazzino sensibile, dotato di empatia e acuta intelligenza. Non fu il diavolo a rubare l’anima al piccolo Berryblue ma Gesù. Gli squarciò il petto, una fiamma azzurra divampò bruciando la sua carne. Non sentì alcuno strazio e quando Gesù raccolse l’anima tra le mani, Berry si librò leggero nell’aria. Scomparve dalla terra così come era venuto al mondo: in un battito d’ali. Le sue emozioni si tramutarono in note, una canzone dolce e malinconica, che consolò per molti anni le notti insonni degli schiavi e si alimentò delle loro sensazioni, continuando a vivere dentro ogni battito.

Berry aveva compreso che Dio e Mefistofele erano frutto di fervide fantasie; che Gesù era un uomo solo, in cerca di una verità inaccessibile, che aveva sperato di trovare in lui. Come Berry aveva il dono di tuffarsi dentro le cose, Gesù aveva il dono di tatuare le anime. Tuttavia, il suo era un dono egoista, perché con quella canzone, pur non avendo scoperto la chiave del cosmo, Gesù aveva comunque trovato un antidoto alla sua tristezza.

La magia e i misteri sono sempre esistiti, ma nessuno riesce ad afferrarne la reale sostanza. E come i sogni, sbocciano, ci sfuggono, sfioriscono, mutano sembianze.

L’unica verità è che, semplicemente, non è mai esistita una verità; la bellezza come la sofferenza non affonda radici nel raziocinio. Entrambe appartengono ai segreti inconfessabili degli spiriti della natura.

A noi esseri umani restano le leggende e le storie che, facendoci sentire gocce di un’immensità inafferrabile ma condivisa, disintegrano la nostra solitudine.

A volte, a lenire le ferite profonde dell’intimità, restano anche le canzoni, come quella di Berryblue: il ragazzino piovuto dal fiume, che inventò il primo blues.

serenarossi
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