I concerti de I Cani
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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I concerti de I Cani

Il cambiamento nei concerti, nel pubblico, nelle location e negli ospiti racconta molto bene e in maniera coerente il percorso verso il mainstream de “l’ennesimo gruppo pop romano”.

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Domenica sera I Cani hanno suonato all’Alcatraz a Milano per presentare il nuovo disco Aurora, stasera suoneranno insieme alla band di accompagnamento a Roma al Pala Atlantico.

Quello di domenica è stato il quinto concerto de I Cani a cui sono stato negli anni: il primo fu nel 2011 al Lanificio con più o meno cento persone e loro che suonavano con le buste in testa; all’Alcatraz c’erano più di tremila persone, file interminabili, un punto ristoro con panini speck e brie a 4 euro e le prime file occupate dalle 8 meno un quarto per avere i posti migliori. È abbastanza scontato dire che in questi cinque anni i concerti de I Cani sono cambiati molto, sia per il successo che hanno avuto sia per l’evoluzione musicale di Niccolò Contessa. Ma il cambiamento nei concerti, nel pubblico, nelle location e negli ospiti racconta molto bene e in maniera coerente il percorso verso il mainstream dell’ennesimo gruppo pop romano.

 

Sul palco

I concerti de I Cani sono asciutti ed essenziali, questa è la caratteristica che meno è cambiata negli anni. Durante i concerti del tour del primo disco, Il sorprendente album d’esordio de I Cani, Contessa non deviava quasi mai dalla scaletta, il massimo che si concedeva era cantare delle cover. Nell’ultimo concerto ha saputo dosare bene le canzoni “vecchie” (Le coppieHipsteriaI pariolini di 18 anniPost punk) armonizzandole con quelle di Aurora, senza però nessun momento «wow!».

Contessa non è un animale da palco: sembra costantemente a disagio, interagisce poco con il pubblico e difficilmente improvvisa. Il suo stile dimesso e distaccato, originato probabilmente dalla sua timidezza, è diventato un tratto distintivo. Ora è una dimensione quasi ricercata, ma non ostentata in maniera fastidiosa (la storia di suonare con le buste in testa per rimanere anonimi, ad esempio, è durata il giusto).

Evidentemente funziona e piace: dal tour di Glamour in poi quasi tutte le date sono andate sold out. Nella maggior parte dei concerti Contessa ha fatto alcune cose ricorrenti come il crowd surfing (che ogni volta sembra costargli una fatica bestiale a livello emotivo), o la finta fine anticipata per fare una pausa o qualche variazione dei testi divertente come nel concerto al Pala Atlantico nel 2013: «Nichilisti con i cocktail in mano che cercano di essere famosi come Matteo Renzi».

Un’altra cosa notevole dei concerti sono i visual proiettati dietro al palco. Quelli del tour di Glamour seguivano il carattere sfacciatamente hipster del disco: i faccioni di Pasolini e Jay-Z sotto a Storia di un’artista, i loghi di social e siti ripetuti in loop durante Come Vera Nabokov e le stelle di San Lorenzo che ricordavano tanto lo screen saver dei windows ’98.

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I visual proiettati all’Alcatraz per le tracce del nuovo disco richiamano le tematiche cosmologiche (non saprei come altro definirle) del disco: immagine di montagne innevate, strane forme geometriche fosforescenti – che ho scoperto essere La varietà di Calabi – Yau, una cosa estremamente complicata che wikipedia spiega bene – e foto del cosmo un po’ vaporwave.

Anche le magliette vendute al concerto sono cambiate allo stesso passo dei dischi: nel primo tour le magliette in vendita c’erano immagini di varie razze di cani; nel secondo c’erano un cane che nuotava tra le “onde” di unknown pleasure dei Joy Divison; nel terzo invece c’è una figura geometrica postinternettiana di un ipercubo e un’altra con una specie di buddha.

 

Il Pubblico

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Una delle parti integranti del fenomeno Cani è il pubblico e il rapporto straniato che c’è fra i testi delle canzoni e chi sta sotto il palco a cantarle. Vedere «i falsi nerd con gli occhiali da nerd» al concerto de I Cani al Circolo degli Artisti nel 2011 o “i pariolini di 18 anni” che pogano sotto al palco diventa parte – e forse motore – di tutto lo spettacolo.

Durante il primo tour era particolarmente evidente a Roma, visti i riferimenti al Pigneto, a Monti e al Fish’n’chips, e l’apoteosi è stato il concerto di chiusura del primo tour al Piper, a due passi da Corso Trieste. Altrettanto interessante la risposta del pubblico non romano, che attraverso i testi ha imparato le coordinate socio-geografiche della capitale e ha permesso ai Cani di fare il salto territoriale fuori dal Raccordo Anulare. Evidentemente il contesto dipinto da Contessa tra Pigneto, Roma Nord e camerieri al centro tocca delle corde comuni a tutti e conferma la teoria che Roma nord sia un non-luogo e un contesto in cui far muovere personaggi e storie, come viene fuori dalla fantastica (se letta attentamente) intervista di Valerio Mattioli a Contessa su Vice.

Il secondo tour è rimasto, visti anche i temi di Glamour, sulla falsa riga del primo: «Perché a NOI piacciono i dischi, le foto, i registi» è una dichiarazione di poetica generazionale che continua l’ironia descrittiva di sé stesso e della comunità a cui appartiene. Ovviamente i concerti si erano “gentrificati”: avevano più pubblico, soprattutto più vario, compreso in una fascia d’età più ampia, ma con una gran quantità di under 18.

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Nel concerto al Pala Atlantico di Glamour, ad esempio, c’erano delle ragazzine con «Niccolò ti amo» scritto con il pennarello sulle magliette, o qualcosa di simile; ricordo me le ritrovai vicino che cantavano il ritornello di Lexotan: «Non avrò bisogno delle medicine, degli psicofarmaci, del Lexotan / della valeriana, dei rimedi in casa, della psicoanalista junghiana».

Con l’ultimo disco, Aurora, il discorso si fa più complesso per il carattere “cosmico”, scientifico e personale dei testi che abbandona, almeno in parte, il senso “comunitario” dei precedenti. I testi sono più complessi, gli ammiccamenti “hipsterosi” sono pochi, i riferimenti a Roma quasi assenti: il pubblico poteva non riconoscersi più nelle canzoni. Ed effettivamente il trasporto con cui sono state cantate Lexotan o Le Coppie è stato diverso da quello riservato a Non Finirà.

Il successo che per adesso Aurora ha riscosso è però proprio figlio dell’evoluzione de I Cani: ha un pubblico fedele e in espansione che li segue – e impara i testi a memoria – anche se non ci sono più le narrazioni disincantate e le ironie dei vecchi dischi. Non manca un certo straniamento: all’Alcatraz c’era una coppia di ragazzi che si amava molto, si teneva stretta baciandosi ripetutamente e cantava guardandosi negli occhi «Tu immagina i bond di questo nostro grande amore / in base al tuo tasso d’interesse per me».

 

Gli Ospiti

Le special guest si sono evolute nei tre tour, insieme ai dischi e al pubblico: da Max Pezzali a Calcutta il passo è lungo, ma coerente.

Durante i primi concerti del primo disco non c’erano ospiti, Contessa a volte cantava cover degli 883 e dei Baustelle. Non mancarono le incursioni dei Gazebo Penguins – con cui avevano collaborato per l’EP I cani non sono i pinguini e successivamente per Corso Trieste –, poi arrivò la mega ospitata al Piper del pingue Max Pezzali.

Contessa ha detto di essersi più volte ispirato agli 883 e il fatto che si riconoscesse molto nelle descrizioni della provincia di Con un deca o Gli Anni, chiude il cerchio sulla teoria di Roma Nord come categoria dello spirito e non luogo geografico. La presenza di Pezzali sul palco restituiva perfettamente la dimensione adolescenziale del disco, il pubblico apprezzò molto e Max tornò altre volte, per esempio al Traffic di Torino. 

Durante il secondo tour i concerti a Roma furono aperti dai Testaintasca e da I Mostri. Durante il concerto al Pala Atlantico di Glamour nel 2014 ci fu la prima e unica comparsata di Matteo Bordone sul palco, che cantò la ghost track 2033. La canzone immagina la popolazione hipster e creativa raccontata nel primo e nel secondo disco tra vent’anni, appunto nel 2033 con «Cosimo che ancora fa il producer / ma campa con l’affitto della casa de su zia».

Ad aprire il concerto all’Alcatraz e quello a Roma di stasera c’è invece Calcutta, cantate indie che non ha bisogno di tante presentazioni, in hype mediatico dall’uscita di Mainstream a cui lo stesso Contessa ha collaborato nella fase di produzione.

L’Alcatraz è già strapieno quando Calcutta attacca alle 8 e mezza, si cantano tutti i ritornelli sing-alongE il Frosinone in Serie AAAAAA»). Molti hanno comprato i biglietti dopo l’annuncio che Calcutta avrebbe aperto il concerto, una ragazza in metro era venuta apposta da Genova per sentire Calcutta, «I Cani sì ho iniziato ad ascoltarli dopo». In cinque anni Contessa e I Cani sono quindi passati da avere un padre nostalgico come Pezzali sul palco, ad un figlio ambizioso come Calcutta.

Filippo D'Asaro
Nasce a Roma nell’ottobre del 1992. La sua laurea triennale in scienze politiche si è rivelata fondamentale per scrivere articoli, tenere un blog personale e portare hamburger ai tavoli.
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