L’unica volta che ho visto qualcuno rompere una chitarra sul palco è stato nel 2001: Brian Molko scandalizzava la platea di dinosauri adagiati sulle poltroncine del Teatro Ariston e mia nonna per poco non mi metteva una mano davanti agli occhi, manco fosse un porno o un horror.
Non serve scomodare l’Olimpo della musica per richiamare alla mente tutte le divinità che hanno fracassato una chitarra durante un concerto. Si tratterebbe di attingere a un immaginario che sta diventando forse un po’ stantio, buono per Rolling Stone Magazine o Classic Rock Lifestyle o per gli sproloqui di Ringo su Virgin Radio.
Rompere una chitarra non è più come una volta, potremmo dire.
Qualche giorno fa Alberto Ferrari dei Verdena ha sfasciato la sua Fender Jaguar ‘62 American Vintage durante il concerto di Asolo (in provincia di Treviso). Alla terza canzone in scaletta (Loniterp) il cantante e chitarrista ha perso la pazienza a causa di imprecisati problemi tecnici e ha scagliato a terra la Fender. Pare che il resto del concerto sia stato condito da imprecazioni contro il fonico, il roadie e il resto della band. In realtà non sarebbe una novità: Alberto è un perfezionista (sì, se non vi sta molto simpatico potete leggere anche “cacacazzi” e la sostanza non cambia) e bisogna ammettere che questa sua attitudine non è aiutata dagli ultimi tre album, ricchi di sonorità difficilmente replicabili live (ma questa è una mia opinione). Sono stato a tre concerti dei Verdena e ci sono sempre stati dei momenti di tensione e di insoddisfazione di Alberto: la tappa di Torino del tour di Endkadenz Vol. 1 è stata abbastanza esplicativa della difficoltà nel suonare dal vivo pezzi come Sci desertico o Rossella roll over.
Ogni volta che ci sono di mezzo i Verdena è facile che parta subito il polemicotto. La scintilla è stata la richiesta, sulla pagina Facebook della band, di una chitarra da prestare ad Alberto per il concerto di Torino, il 29 agosto, con tanto di foto della Fender Jaguar rotta e dell’occhio nero effetto collaterale.
Una delle colpe di Ferrari sarebbe lo scarso rispetto nei confronti dello strumento: un chitarrista non maltratterebbe mai la sua creatura. Un accusa mossa soprattutto da guitar hero integralisti, che magari però prima di andare a dormire dicono la preghierina a Jimi Hendrix. Sempre i puristi del ruock, rimproverano Alberto perché ha spaccato la sua Jaguar dopo solo tre canzoni e non al culmine di una performance, come «gesto ultimo e definitivo, per strappare alla chitarra quell’unico gemito mancante che dita magiche, ispirate e divine non erano ancora riuscite a farle emettere». E torna di nuovo quell’immaginario che puzza di muffa e Virgin Radio.
Non poteva mancare poi l’accusa di divismo: i musicisti veri vanno sul palco e suonano zitti e muti, si guadagnano la pagnotta senza spaccare le chitarre e senza smadonnare «per due problemi di volumi sul palco». Strettamente connesso a questo, c’è il solito “figli di papà”, l’insulto buono per ogni occasione: spacchi gli strumenti in spregio ai poveri che non possono permettersi di comprare a ripetizione Fender come se fossero lattine di birra del Eurospin.
Non tutti, però, sono stati così critici nei confronti dei Verdena. A qualcuno il concerto di Asolo è piaciuto: il fan comprensivo non biasima Ferrari per il nervosismo, perché sa «cosa vuol dire gestire tanti strumenti sul palco».
Il fan comprensivo capisce anche il perché della richiesta di una chitarra in prestito: chiaro che Ferrari può comprarsi anche tre Fender Jaguar subito, ma si sa che una chitarra è come una moka, ha bisogno di un po’ di rodaggio prima di fare un caffè decente o suonare come Cristo comanda. E il fan comprensivo sarebbe ben felice di vedere il suo strumento tra le braccia del suo idolo. Gli haters, invece, non lascerebbero Ferrari da solo in una stanza con la loro chitarra nemmeno pagati: se uno il giorno prima ha sfasciato la sua Fender, chiaramente potrebbe rifarlo subito con una Fender non sua, scherziamo?
Alla fine, comunque, la Jaguar è stata trovata e il concerto di Torino è andato liscio.
Al di là degli schiaramenti e dell’eterna lotta fra haters e fan adoranti, resta il fatto che Alberto Ferrari è un musicista esigente (come sopra: se vi sta antipatico, potete leggere cacacazzo) che ci ha abituati a spettacoli del genere. Questo non lo giustifica, anzi. Non basta chiedere scusa al pubblico un paio di volte e passa tutto. Ma lo capisco, la gestione della rabbia non è mica facile: da quando mi sono trasferito nella casa nuova con la mia ragazza, ho già rotto una porta e una sedia e probabilmente avrei rotto anche una Fender Jaguar se l’avessi avuta sotto mano.
Un’altra cosa da tenere in considerazione è che i Verdena sono uno dei pochi gruppi italiani capaci di polarizzare in modo così netto i giudizi: odio o amore, senza mezze misure. A ogni disco o dopo ogni concerto, il ritornello è sempre il solito: i Verdena fanno cacare/i Verdena sono fantastici.
È vero, Alberto Ferrari un po’ esagera. Ma non è l’unico.