Il processo di smaterializzazione dell’arte iniziato negli anni ’60 ha portato cambiamenti che hanno coinvolto anche gli aspetti della sua condivisione. Si è iniziato a dibattere sul suo ruolo ma anche sul “suo luogo”. Le quattro mura bianche della galleria e del museo non sembravano più poter contenere tutto, così gli artisti uscirono dal magico cubo bianco e con loro le opere, ormai non più strette all’interno di una cornice. Con la facile riproducibilità poi, l’arte è diventata a portata di tutti su cartoline, desktop e souvenir e il contatto con essa si è modificato così radicalmente da mettere in discussione la funzione del museo.
Ma un nuovo studio pubblicato da Christian Jarret sulla rivista Acta Psychologia ha cercato di capire quanto può cambiare la percezione dell’opera all’interno di un museo e fuori le sue mura tramite una replica o lo schermo di un pc. Il team che ha seguito la ricerca è stato guidato da David Brieber dell’Università di Vienna e ha coinvolto circa 130 studenti della facoltà di psicologia invitati a osservare alcuni capolavori sia di persona all’interno del MUSA di Vienna sia virtualmente. Scrive Jarrett che la valutazione delle opere da parte degli studenti all’interno dell’istituzione museale è stata molto più positiva, perché legata a un’esperienza attiva stimolante e interessante. Oltretutto, il percorso affrontato per visitare la mostra ha aiutato la mente a ricordare meglio i lavori visionati e la loro posizione.
L’esperienza del museo rimane tutt’ora di notevole importanza per l’apprendimento e per il piacere di osservarla e ciò sembra legato allo spazio fisico che ci circonda e che agisce sulla nostra fruizione.
Il contesto in cui ci troviamo influenza molto la percezione: a differenza delle teorie promosse negli ultimi cinquant’anni tempo e luogo non sono agenti esterni al piacere di guardare un’opera d’arte. Di fatto l’importanza del contesto nel vivere un’esperienza non coinvolge solo la vista, ma anche gli altri sensi.
Perché forse, come scrisse Walter Benjamin in un lontano 1936, «anche nel caso della riproduzione più perfetta, manca un elemento: l’hic et nunc dell’opera d’arte – la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova. Ma proprio su questa esistenza unica, e in null’altro, si è attuata la storia a cui essa è stata sottoposta nel corso del suo durare».