Maurizio Ceccato racconta  B comics • Fucilate a strisce •
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Maurizio Ceccato racconta  B comics • Fucilate a strisce •

«La mia sfida era quella di prendere dei disegnatori italiani poco conosciuti, spesso alla loro prima esperienza di pubblicazione, trovati attraverso una ricerca continua che va avanti da anni.»

Basta prendere in mano una copia del primo numero di B comics, la nuova creatura di Maurizio Ceccato, per rendersi conto di come questa sia qualcosa di più di un semplice fumetto. Le sue dimensioni, insolite per il contenuto, e la qualità del prodotto, lo rendono un oggetto da collezione, degno di essere letto e poi riposto con cura nella propria libreria per essere ammirato. Ed è proprio sulla qualità e sulla cura dei materiali che Maurizio si è voluto concentrare nella prima parte della nostra chiacchierata.

«Sono tanti anni che lavoro nelleditoria, cartacea e digitale, e la cosa che mi interessa nelle mie produzioni è di esaltare al meglio quello che può fare la carta. Per tanti anni c’è stato uno spreco del materiale, che veniva usato perché era lunico mezzo di comunicazione. Se prendiamo le pubblicazioni fatte tra gli anni 80 e 90 troviamo della sciatteria assoluta, insieme però a tante cose ottime e spettacolari.

Per quello che riguarda le mie produzioni, e quindi IFIX, quando ci mettiamo al lavoro su un nuovo progetto voglio che questo sia fatto al meglio delle possibilità offerte dalla carta. Allo stesso modo, chi produce sul web e in digitale, dovrebbe usare il mezzo nel miglior modo possibile; mi riferisco agli e-book e a tutta questa smania febbrile da strumento digitale che poi nessuno conosce bene. Si finisce per avere uno spreco di risorse ed energie, mandando fuori prodotti che vengono gettati in pasto agli occhi dei fruitori in maniera inguardabile, alla fine sono dei semplici PDF da sfogliare. Ho un altra idea di e-book, ma me la tengo per me e la userò per quando sarà il momento.»

In Crack!, lonomatopea che da il titolo al primo numero di B comics, si susseguono undici storie raccontate da altrettanti artisti. La loro ricerca, come spiega Maurizio, rientra in un percorso da sempre attivo, uno scouting che scava nei meandri nella rete e nelle fiere del fumetto:

«La mia sfida era quella di prendere dei disegnatori italiani poco conosciuti, spesso alla loro prima esperienza di pubblicazione, trovati attraverso una ricerca continua che va avanti da anni. Sono da sempre in contatto con tantissime persone, e per questo mi arrivano continuamente delle nuove proposte sia nel campo del fumetto che dellillustrazione. Quando ritengo che questi segni coincidono con le mie idee alzo il telefono o mando una mail, in caso laltra persona sia fuori da Roma. Alla fine abbiamo la tecnologia, e internet è un pozzo senza fondo per chi vuole scoprire qualcosa di nuovo.

Mi interessa poco se questi hanno delle potenzialità inespresse, se hanno vinto dei premi o se sono stati scelti da qualche giornale; la cosa importante è che abbiano un segno deciso con una personalità, e soprattutto qualcosa da raccontare. Perché il fumetto non è solamente quello che scorre sotto i nostri occhi, ma è anche una sottotraccia che non viene raccontata e che viene dedotta dal lettore.»

Ovviamente lavorare con così tanti artisti esordienti richiede un grandissimo lavoro di mediazione per smussare gli angoli. Sul suo ruolo, che lui stesso ha definito di avvocato del diavolo, e su quello delle undici firme di B comics, Maurizio ci ha detto:

«Quando qualcuno non era ancora in grado di raccontare una storia siamo intervenuti noi, ovviamente con l’unico interesse di fare il bene del prodotto. Per ogni autore ho cancellato il suo ego, è stato un punto di discussione sul quale mi sono dovuto imporre, ma spesso molti editori diventano schiavi dell’autore proprio per questo motivo, mentre invece bisognerebbe asservirsi solamente alla storia che si sta raccontando. In questo modo il prodotto finale non diventa più una cosa tua, che tieni nascosta sottobraccio, ma va tutto a favore della storia, spesso anche a costo di un’abnegazione totale. Quando l’alchimia non ha funzionato ho preferito tenere fuori quegli autori da B comics, anche se sicuramente rientreranno nelle prossime produzioni.»

Oltre al segno c’è la parola al centro del progetto, che sia lonomatopea che dà il nome al numero o la cifra linguistica che fa da comune denominatore in B comics:

«Abbiamo lavorato molto anche sulle parole! Se vai alla storia di Alberto Fiocco (che tra le altre cose illustra da dio la nostra rubrica Materiale d’importazione  n.d.r.), composta interamente in quartine e lavorata come se fosse una filastrocca, vedi come ha un impatto che quasi annulla il fumetto. In questo caso il nostro compito non è stato solo quello di incentivarlo, ma anche di correggerlo, raddrizzando dove le parole non funzionano e le assonanze non c’erano. Ma questo è successo anche nel caso di chi ha raccontato storie senza parole, come nel caso di Manfredi Ciminale, 0,99 al Kg. Alla fine speriamo che questo lavoro di costruzione sia servito a far scorrere la storia sotto gli occhi del lettore, visto che è lui l’aspetto più importante. Non mi interessa il giudizio dei giornalisti o di chi veicola pseudo informazioni, preferisco avere quello dei librai, di chi maneggia e veicola lettori dalla mattina alla sera.»

B comics è “fucilate a striscedove le pallottole sono però delle atipiche forme di comunicazione. Parte della nostra discussione ha toccato anche il discorso dellappiattimento del linguaggio editoriale, e di come leditoria sia ormai incapace di veicolare qualsiasi tipo di messaggio.

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«Il comunicato stampa che abbiamo progettato per lanciare B comics è stato un “non comunicato”, ed è stato l’unico fatto per i giornalisti. Con “trova la parola” volevamo evitare di seguire qualsiasi tipo di aggettivismo, una malattia ormai comune tra chi fa editoria, ma portare avanti delle idee, spronare il lettore e farlo divertire.

La comunicazione non ha soltanto un binario, ne ha infiniti e l’unico limite è la fantasia. Purtroppo chi riceve è ormai abituato a leggere il comunicatese con cose come “questo libro parla di… è un libro bellissimo, ha venduto centomila copie in Francia”, dando prova di un appiattimento linguistico pauroso. Altro che i ragazzi nelle scuole, lì si triturano linguaggi che sono ben superiori a quelli dell’editoria attuale, ed ecco perché c’è stato un distacco forte tra chi è un neo lettore e l’editoria. Questa va a picco perché c’è mancanza di accaparramento di lettori e una mancanza di appeal. Se vado sul sito della Nike o di MTV il linguaggio è completamente diverso, mentre sui libri e sulla comunicazione dell’editoria si parla una lingua vetusta e con ottant’anni di ragnatele. Deve cambiare qualcosa. C’è una nuova fascia, ormai più consapevole dei mezzi, che vuole andare subito al dunque, sapere subito di cosa si sta parlando, e per questo si è divaricata la comunicazione tra chi consiglia dei prodotti e chi li riceve. Parlo soprattutto di una fascia under 30, che non è più attirata dai giornali musicali e dalle recensioni di un certo tipo.»

Ma come si dovrebbe tradurre concretamente questa idea di cambiamento?

«Vorrei essere sfidato, e trovare sempre qualcuno che abbia delle intenzioni fastidiose come le nostre. Purtroppo ne vedo sempre meno, anzi sempre poche. In Italia, e nel resto dell’Europa mediterranea, è così, mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti ci si fa la guerra. Ci deve essere il desiderio di non rimanere fermi, è un po’ come la ricerca: se scopriamo i neutrini mica ci fermiamo a giocare con i neutrini, andiamo avanti. Deve essere la stessa cosa in comunicazione, serve concorrenza per continuare ad avere uno stimolo a far meglio e questo purtroppo non accade. Prima non era mica così. Se torniamo in dietro di vent’anni, sulle quarte di copertina di Zagor e di Mister No troviamo una pubblicità completamente virata in rosso con un campanello che suona, e quella era la pubblicità dei primi Dylan Dog. Rimasi completamente affascinato… E ancora oggi Bonelli non ha fatto una pubblicità in grado di superarla, o almeno di pareggiarla.»

B comics è un progetto che cerca di riportare la voglia di cambiamento allinterno del fumetto, puntando a stupire continuamente il lettore:

«Il fumetto è un linguaggio convenzionale, ed è assodato, e mi piace lavorare con dei linguaggi che siano convenzionali. Poi, ovviamente, sta a noi fare da portavoce ai nostri lettori con una forma cartacea che abbia prima di tutto un appeal. Poi tocca agli autori essere all’altezza e intrattenere a loro volta.

È ovvio che non mi sognerei mai di produrre qualcosa che non sia volta all’intrattenimento ed è per questo che in B comics ho voluto inserire dieci storie diverse: partiamo dalle storie salgariane, di avventura pura, per andare verso la fantascienza, fino ad arrivare alla storia intimista. C’è tutto quello che cerca il lettore.»

Il primo numero ha richiesto dieci mesi di lavoro, mentre un secondo arriverà – con una nuova onomatopea – quando il tutto sarà pronto. Per adesso potete aggiudicarvi la vostra copia da Scripta Manent (Via Pietro Federe 54, Roma) o tramite il sito www.b-comics.com

Francesco Martino
Nato nel 1989 è studente di Giornalismo a Roma Tre. Vive di cultura pop e musica. Collabora con DUDE MAG, Serial Minds e Prismo. Suona la batteria conservando sogni di gloria.
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