Morandi, l’antieroe
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Morandi, l’antieroe

La quotidianità dimessa delle nature morte di Giorgio, in mostra a Piazza Venezia.

Giorgio Morandi - copertina

Sin da quando frequentavo la scuola media nacque in me il presentimento che noi italiani certe cose non le conosceremo mai, perché non le vogliamo conoscere, o non le ricorderemo mai, perché siamo vittime di una memoria ingiustificatamente selettiva.

La mia scuola media si chiamava Morandi, Giorgio ovviamente. Ma spesso capitava che qualcuno la appellasse come Gianni Morandi.

“Ah, vai alla Gianni Morandi!”.

Non c’era niente da fare. Proprio niente. E mica erano battute.

La tranquilla esistenza di Giorgio Morandi non è mai interessata a molti, perché questi molti, dico io, non colgono la tragedia della quotidianità.

Così mi chiedo in quanti inizieranno a leggere questo articolo credendo di trovare qualche informazione sull’altro bolognese, il cantante dalle mani grandi che ogni giorno intasa allegramente le nostre home di Facebook con le foto scattategli dalla moglie Anna.

Eppure anche il caro Gianni, al quale ormai sono affezionata anche io, ci parla di quotidianità. È vero, forse lo fa secondo quel voyeurismo tipico dei social network, ma gli va riconosciuta un’educazione ed una compostezza alle quali purtroppo non siamo più abituati.

Ma la quotidianità di Gianni dalle mani grandi è amena, anche un po’ edulcorata. Che poi è quello che ci piace tanto e che ci fa sentire italiani. I colori accesi di una mattinata trascorsa nel giardino di casa a potare le piante.

Attira meno invece la quotidianità dimessa delle nature morte di Giorgio, pittore di piccole tragedie metafisiche. Artista, ma pittore prima di tutto, perché quelle pastose pennellate ad olio provengono dalle sue mani, ma anche gli evanescenti veli di acquerello che scandiscono con ritmo essenziale ed elegante i volumi di una realtà indagata fin nelle viscere.

A chi interessa la tragedia di queste tele?

Giorgio Morandi - Natura morta - 1960

Giorgio Morandi, Natura morta, 1960

Giorgio Morandi - Natura morta - 1951

Giorgio Morandi, Natura morta, 1951

 

Mancano circa due settimane alla conclusione della retrospettiva ospitata nel Complesso del Vittoriano, a Roma. Sono poche le persone che percorrono gli spazi del museo, e sono per lo più anziani. Vecchi signori dalla buona memoria, o che sono tornati appunto per ricordare.

Ai giovani forse non piace Morandi perché non c’è nulla di titanico nelle sue vicissitudini, non ci sono slanci iperbolici né verso il superomismo e tantomeno verso l’autodistruzione.

Ma l’eleganza non ha bisogno di alcun rumore.

Così il silenzio della polvere posata su quei piccoli vasi di vetro e quelle brocche di ceramica, su quelle scultoree conchiglie che riportano di colpo ad una realtà antica, viene frainteso da chi superficialmente intravede nell’animo del pittore un’altera misantropia.

Perché come giustamente ci ricorda Roberto Longhi, critico sopraffino e devoto esegeta dell’amico pittore: “Il monaco Morandi nella sua cella è dunque il contrario dell’esteta nella sua torre d’avorio”.

Non c’è superbia nella necessità di aggirare l’ostacolo della figura; Morandi si insinua nel reale attraverso la cosalità del quotidiano, modulandolo secondo infinite soluzioni.

I colori tenui, ma soprattutto la pulizia e l’essenzialità di quelle forme ‘pure’ tradiscono l’ammirazione che il pittore nutriva per i grandi maestri del passato: Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Bellini, fino ad arrivare all’amato Cézanne.

Tutti artisti che hanno indagato la realtà partendo dal fenomeno per poi astrarlo con misura, scomponendolo non solo attraverso la linea, ma anche attraverso la luce.

Piero della Francesca - Pala di Brera - 1472 ca

Piero della Francesca, Pala di Brera, 1472 ca.

 

Essenza e apparenza trovano il loro perfetto incontro nella pacatezza delle tele morandiane, nella stabile e diafana presenza di quei piccoli oggetti che nei primi anni Novanta affascinarono anche il fotografo Luigi Ghirri, del quale ricordiamo le commoventi fotografie raccolte in Atelier Morandi.

Luigi Ghirri - Senza titolo (foto tratta da Atelier Morandi) - 1990

Luigi Ghirri, Senza titolo (foto tratta da Atelier Morandi), 1990

 

Lo stesso Ghirri che negli ultimi anni è tornato di moda tra i giovani per il suo linguaggio fresco, spoglio da inutili fronzoli, ma anche e soprattutto per l’impalpabilità dei suoi soggetti, spesso immersi nelle atmosfere sospese di tutti i giorni.

Allora penso che se queste piccole cose ci piacciono tanto, se questo melanconico attaccamento al quotidiano nel quale ci crogioliamo riesce a renderci tanto soddisfatti, forse dovremmo accettare il fatto di essere anche noi degli antieroi.

Andate a vedere la mostra di Giorgio Morandi.

 

Giorgio Morandi. 1890 – 1964

28 febbraio – 21 giugno 2015

lunedì – giovedì 9.30 – 19.30

venerdì e sabato 9.30 – 22

domenica 9.30 – 20.30

Complesso del Vittoriano – Piazza Venezia, 00186, Roma

In mancanza del sito ufficiale: www.comunicareorganizzando.it/mostra/giorgio-morandi/

Giulia Pergola
Sono nata a Roma nel 1989. Laureata in Storia dell’Arte, prediligo le espressioni più contemporanee, sebbene il mio animo oscilli tra il razionalismo modernista e il perturbante postmoderno. Nutro un’insana passione per David Bowie da quando avevo otto anni. So alternare sarcasmo e demenzialità con estrema nonchalance.
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