Come si sceglie il linguaggio di una campagna elettorale? Mentre Roma si appresta a tornare al voto per il ballottaggio, abbiamo voluto approfondire la campagna web e cartellonistica di Virginia Raggi e Roberto Giachetti. Con noi Paolo Di Maio, autore di campagne pubblicitarie crossmediali per Rai, Bnl, Intralot, Istat, Udisens, Assogenerici e American Express.
Prima di entrare nel dettaglio vorrei farti una domanda “tecnica”: secondo te, al fine dell’elezione, quanto influisce il corretto uso del linguaggio pubblicitario nelle campagne? Entrambi i candidati hanno utilizzato un vero e proprio payoff per accompagnare le loro campagne, “#Coraggio” per la candidata del M5S e “Roma torna Roma” per Giachetti; quanto influisce una scelta del genere?
La campagna elettorale sposta sicuramente, ma non so se ad oggi quella cartellonistica sposti quanto tutto quello che succede sul web. Il termine “campagna” ormai è più ampio, con i canali istituzionali che sono diventati meno forti e meno importanti di quelli meno istituzionali. Questo perché in alcuni ambiti la gente vede quell’approccio come filtrato, quindi arriva, ma deve superare diverse barriere di preconcetti. Per questo, ad oggi, della campagna pubblicitaria fa parte anche una corretta gestione dei social. Non sembrano parte di un disegno pubblicario, anche se poi lo sono, e per questo arrivano di più. Ad esempio la parodia nata dal discorso di Virginia Raggi nel confronto di Sky ha spostato qualche voto dalla parte di Giachetti.
Prima di entrare nel dettaglio volevo sottolineare una cosa che mi è balzata agli occhi. Visto tutto quello che c’era stato prima, da questa campagna elettorale mi aspettavo l’esatto opposto di quello che è stato fatto. Pensavo che si sarebbe puntato molto sui contenuti, invece sono state campagne totalmente astratte, sembravano quelle degli anni ‘80.
Potrebbe essere una conseguenza del fatto che in pochi sono davvero interessati alle proposte e che molti votano “il nome”?
Esatto, mi è già capitato di parlarne prima di oggi. Alla fine si vota per sensazione, è sempre stato così probabilmente, però ad esempio dalla Raggi mi aspettavo qualcosa di più. Quella di Giachetti mi è sembrata una campagna in cui lui era costretto a non dire nulla, visto quanto fatto in passato dal suo partito, puntando esclusivamente su una campagna valoriale come “Roma torna Roma”, che infatti ha portato voti solo al centro, dove quello slogan ricorda solo cose come “La Dolce Vita” e non hanno idea di quali siano i problemi della periferia. È una campagna alta che ha fatto effetto solo su un determinato tipo di persone.
La Raggi invece sembra aver puntato su frasi più concrete, di cui la più famosa è il payoff #Coraggio, che mi permetto di giudicare come un gioco di parole abbastanza brutto.
È terribile, ed è stato anche copiato da una campagna dell’Enel di due anni fa, quella con i volti di cittadini comuni accompagnati dall’hashtag #Guerrieri. Dopo che era uscita tutti i clienti volevano cose di quel tipo, anche se poi era stata un flop sui social. Ma ringraziando Dio lì non c’era nessun gioco di parole.
Ho visto che hanno fatto anche delle cose più da social network, ad esempio queste molto dirette e frontali verso gli avversari. Sono cose rimaste sui social però, per le affissioni hanno usato solo la prima.
Questa è roba un po’ alla “blog di Beppe Grillo”. Che poi nella seconda Giachetti ha una faccia normalissima, sembra quasi una persona degna.
La più interessante rimane però quella con i monumenti mangiati e lo slogan “Avete finito di mangiarvi Roma”. Secondo me era la migliore, non capisco perché non l’abbiano utilizzata per le affissioni.
Questa è molto pubblicitaria, ha un approccio di livello ed un bel lavoro grafico. Hanno lavorato sulle diverse declinazioni di un concept e alla fine non è sofisticata – in senso positivo – e risulta molto semplice. La migliore. C’è da dire che sono stati costretti ad usare la campagna semplice con il volto della Raggi, perché fino a qualche mese fa nessuno la conosceva. All’inizio si parlava di Di Battista come sindaco, e lì avresti potuto fare una campagna più sui contenuti, visto che lo conoscono tutti. Mentre qui c’era il rischio che qualcuno si chiedesse “Ma chi è questa?”
Quindi secondo te la scelta di una persona come Virginia Raggi non è casuale?
È stata una scelta intelligente. È una donna con il viso pulito e sveglio, e soprattutto è giovane. Sarebbe il primo sindaco donna di Roma, per questo hanno fatto bene. È stata una scelta diversa che vuole comunicare implicitamente che “con noi si cambia pagina”. Una decisione strategica che vuole andare anche oltre le varie Boschi e Serracchiani di Renzi. Loro la portano in Campidoglio.
Una delle ultime è questa, che è più un’iniziativa sul territorio, spinta però con degli slogan pubblicitari. La Raggi andava a fare la cameriera in un ristorante, e loro utilizzavano “Il Sindaco che ti serve”; organizzavano un evento musicale, “Un Sindaco per cambiare musica”.
No, questa è roba di basso livello. Andiamo avanti.
Ho notato anche un grande lavoro sui video caricati online, in cui c’è sempre un grande dualismo nei titoli: “Noi rappresentiamo… “, “Noi continuiamo… “, “Si sono mangiati… “.
Qui è semplice, c’è un grande lavoro di SEO. Nel senso che non mettono dei titoli a caso, ma ne mettono uno da prodotto pubblicitario. Il video che caricano non ti dice “Virginia Raggi incontra ecc ecc”, ma ha subito lo slogan, così da venir portato in alto da Google.
Prima di arrivare a Giachetti volevo passare per un “anello di congiunzione” tra le due campagne: lo spot in romano del candidato PD e il finto endorsement di personaggi storici di Roma realizzato per la Raggi. Li hai visti entrambi?
Si, e quello di Giachetti non l’ho trovato così criticabile. Si vede che dietro c’è un lavoro di un certo tipo, con delle frasi studiate a tavolino, scritte per colpire ogni candidato. Quelle del M5S sono cose da agenzia pubblicitaria, il cosiddetto “pubblicitese”. Lo fece anche una mia vecchia agenzia in una campagna per i Verdi, una cosa piena di giochi di parole. Però è strana come cosa per i Cinque Stelle, mi sembra che abbiano dimostrato di non essere poi così bravi a maneggiare le campagne 2.0 come in realtà millantano. Mentre quello di Giachetti rientra nel loro linguaggio.
C’è uno spot dei Radicali (che appoggiano Giachetti a Roma ndr ) in cui vengono citati Lo Chiamavano Jeeg Robot e Game of Thrones, con il candidato del PD che viene paragonato a Jon Snow.
Strizzano d’occhio alla gioventù, anche con la parlata in romano. Ma continuo a preferire la veracità di quello di Giachetti alle zozzerie con i personaggi storici viste prima. Se poi a qualcuno dà fastidio la parlata in romano, perché fa poco capitale europea, si deve ricordare dell’elettorato a cui si rivolge lo spot. Il romano è comunque quello del derby e dello stadio. Roma è Roma.
Quindi le vedi inserite in un contesto di idee preciso?
Guarda, secondo me bisogna fare un discorso molto teorico sulla coerenza. Così come il tono sarcastico e dissacrante che potresti usare per Pepsi non lo puoi utilizzare per un prodotto tradizionale come la Coca-Cola, allo stesso modo non puoi fare una campagna così priva di coerenza. Mi sembra di vedere un grande mischione da entrambe le parti: dalla Raggi mi sarei aspettato qualcosa più vicina al linguaggio 2.0 invece gli ultimi spot che abbiamo visto sembrano di una persona che non ha idea di cosa funzioni sul web, ma vuole far credere il contrario. Una cosa da agenzia pubblicitaria classica. Anche quella del “mangiarsi Roma”, che rimane la migliore, è comunque una roba di vent’anni fa.
Rimanendo sulla campagna con “i morsi”, non vedi un uso accorto del verbo “mangiare”? Rimanda sia al romanaccio, ma anche a quella volontà di usare verbi forti, come il famoso “asfaltare”.
Rientra tutto nell’insieme della campagna, di basso livello e senza contenuti. Se ci pensi è strano, c’è riuscito addirittura Iorio, con una campagna becera ma diretta. Quello secondo me era un linguaggio da M5S, che forse si sono voluti e dovuti adattare ad una grande piazza come Roma. Nasci come blog, porti avanti il tema del “popolo del web” per anni e poi ti fai scrivere lo spot da gente che vorrebbe rivolgersi ai giovani con contenuti adatti a loro, ma in realtà non conosce né il loro linguaggio né il web. Paradossalmente lo spot di Ghiachetti, che è una cosa abbastanza da elettore PD, è molto più coerente, soprattutto con la finta giovinezza di Renzi, per cui essere giovane significa fare la presentazione con Power Point.
Passiamo appunto al candidato del PD. Se per la Raggi dicevamo che ha puntato poco sui contenuti, dall’altra parte Giachetti ha fatto delle immagini in cui spiegava e riassumeva i punti del programma. Sempre roba rimasta sul web però. Mentre per le affissioni ha puntato sul classico, con il suo hashtag #RomatornaRoma.
Non ho capito il senso dell’hashtag, rimaniamo sempre sul discorso dell’elettorato del centro come target. A me del Trullo cosa rappresenta? Che torna la Banda della Magliana? Dal punto di vista grafico non sono adatti al web, con le scritte troppo piccole e senza alcuna parola chiave. E poi la fascetta… È una cosa da agenzia veramente molto classica, che se lo dico ai grafici con cui lavoro si sentono male.
Però devo dire che hanno puntato molto anche sulla periferia. La pagina facebook è piena di foto di incontri e strette di mano con la gente. In generale, ho notato che hanno provato molto a normalizzarlo, mettendo anche foto di “vita quotidiana”: da lui che legge La Provincia dell’Uomo di Canetti, alla diretta facebook in cui spiega il programma mentre cucina la pasta.
Secondo me ha funzionato l’immagine di Giachetti, anche perché hanno fatto un miracolo prendendo il 25%. È importante notare come nelle affissioni abbiano enfatizzato sul volto, mettendo i loghi dei partiti in piccolo. Mentre in quelle di Virginia Raggi il simbolo del M5S era grande quanto la faccia della candidata. Con il primo hanno tentato di slegare l’uomo dal partito, mentre nell’altro caso hanno dovuto portare la gente ad associare un viso sconosciuto al logo del movimento.
In generale, come riassumeresti le due campagne?
Come un grande “vorrei ma non posso” in cui entrambi hanno avuto il ruolo del cliente burocratico-istituzionale che ti viene a chiedere una campagna. Quelli che provano a svecchiarsi, perché sanno che se non dicono la parola hashtag oggi non sono nessuno, ma che in realtà non ce l’hanno nel sangue e quindi ti fanno inserire accenni di gioventù che alla fine ti si ritorcono contro. Chi ne esce peggio è comunque il M5S, che in teoria dovrebbe avere più dimestichezza con il 2.0.
Un’ultima domanda per chiudere: un giudizio sugli altri candidati?
Tutti hanno puntato sul classico, con quelle frasi scontate in cui se cambi il candidato non se ne accorge nessuno. Il cuore di Marchini non era brutto, specialmente quello delle prime elezioni, con sfondo bianco ed immagine e devo dire che la sua è stata la campagna più spinta, quasi 5 Stelle. Quel “Liberi di… “ era il loro, peccato se la siano fatta sotto.