Robbe-Grillet è completamente dalla parte del linguaggio «denotato» (come dice Barthes) e noi siamo completamente dalla parte del linguaggio che circonda le cose, di ciò che sta sotto, di tutto ciò che le nutre, di tutto ciò che instilliamo in loro… L’impressione che proviamo, scrivendo questa rubrica, è quella di trovarci in un terreno straordinariamente melmoso, una specie di pantano, dove sguazziamo.
cazzolamascherina
Matilde Pietromarchi
Qual è quella cosa che non puoi dimenticare e puntualmente dimentichi?
Qual è quella cosa che all’improvviso è diventata irrimediabilmente presente nelle nostre vite? Quella cosa che esisteva solo lontano da te, in scenari molto specifici, che ti capitava di vedere sì e no una volta l’anno forse, e ora è strano se non la vedi.
Quella cosa che ti sega le orecchie, ti appanna gli occhiali, ti toglie ossigeno, ti fa venire le bolle sulla faccia. Qual è quella cosa che, se un personaggio pubblico si dimentica uscendo è “uno di noi”?
Tutti la patiscono, nessuno può farne a meno.
Quella cosa che è diventata un altro nuovo oggetto da accumulare, da collezionare, da esibire. Perché è anche questa un piccolo e immediato modo per esprimere che persona sei. Semplice, versione pro, tinta unita, decorata brutta, decorata bella, tenuta bene o che cade a pezzi.
Qual è quella cosa che ci ha insegnato a parlare con gli occhi?
Conseguenza immediata di quella faccenda che ci ha tanto unito, ulteriore elemento che nutre quel sentimento di unità.
Quella cosa che sì, toglie ossigeno, ma ci salva al tempo stesso.
Chissà se mai ci lascerà. Chissà se un giorno ci penseremo rabbrividendo.
L’acqua calda
Leonardo Mazzeo
Di recente ho scoperto l’acqua calda. Ok, no, riformulo: di recente ho scoperto quanto sia importante l’acqua calda. L’ho capito sulla mia pelle, percorsa da brividi nei giorni in cui la vecchia caldaia del mio appartamento ha deciso di abbandonarmi, alle porte dell’inverno (sotto le quali, come è normale che sia, passano gelidi spifferi). Insomma, all’improvviso ci siamo ritrovati in casa senza riscaldamenti e senza acqua calda per un paio di giorni. Anche di fronte alla prospettiva di un getto glaciale, ho deciso comunque di affrontare la cabina della doccia, con la consapevolezza che, tipo supereroe, sarei potuto uscirne diverso, precisamente di ghiaccio. E poi oh, mio padre ha fatto il militare, cioè loro si facevano la doccia fredda, no? O sono solo racconti per spaventare i soffioni? Boh, vabbè, in uno slancio di coraggio misto a incoscienza mi sono apprestato ad affrontare quel Polo Nord che era il bagno, entrando in quell’iglù che era la doccia armato solo di una pentola d’acqua bollente. Risultato: prima di trovare un minimo di tiepido equilibrio mi sono in parte ustionato e in parte congelato. Una meraviglia. Ti dicono che l’acqua fredda fa bene, e io ti dico: non crederci, è tremenda.
Quel sabato in cui il tecnico è venuto a installarmi la nuova caldaia è diventato subito il giorno più bello della mia vita. Ricordo con affetto lui, la sua bravura, e la speranza che accompagnava ogni suo gesto: stava inventando l’acqua calda, ed era straordinario. Diffidate da chi vi dice il contrario.
Gli auricolari
Massimo Castiglioni
In maniera vergognosamente convenzionale, lo scorso maggio, per un breve periodo, ho iniziato ad andare a correre in un parco qui vicino, come tantissimi altri in quei mesi. Non ci sono giustificazioni che reggono: il conformismo della situazione, specie per una persona come me, da sempre poco incline all’attività sportiva, era a dir poco evidente. Per fortuna sono tornato presto in me, molto presto in effetti, chiudendo quella strana avventura e riportando tutto alla normalità.
Come dicevo, non sono mai stato molto dedito allo sport, nemmeno da bambino. Tra l’adolescenza e gli anni universitari ogni tanto giocavo a basket o a calcetto trascinato dagli amici, ma si trattava di rare situazioni in netta minoranza rispetto alle innumerevoli volte in cui ho detto di no (e oggi, con fiero cinismo, posso essere tranquillamente catalogato nel gruppo delle “brutte persone” che non vanno a giocare nemmeno se manca uno solo per fare la partita). Ben diverso è il mio atteggiamento quando si tratta di giochi da tavolo, ma questa è un’altra storia.
L’esperienza della primavera passata, tuttavia, ha avuta una conseguenza piccola piccola, che a molti, giustamente, sembrerà sciocca e insulsa: mi ha permesso di riscoprire gli auricolari. Probabilmente la stragrande maggioranza della popolazione li usa tutti i giorni con grande disinvoltura. Dopo averli tirati fuori dal cassetto, mentre mi preparavo per il primo giorno di corsa, mi sono chiesto da quanto tempo non li utilizzassi, e non sono riuscito a darmi una risposta. In effetti è ovvio, ho pensato: non ascolto musica camminando per strada o sui mezzi, non li uso quando sto al pc, non li uso nemmeno al telefono per una chiamata o videochiamata e in generale li ho sempre avvertiti come fastidiosi; perché, quindi, avrei dovuto tenerli a portata di mano o ricordare l’ultima volta che li avevo presi? Ora non me ne stacco più. Sono sistematicamente sulla mia scrivania. Quella scomodità che mi ha sempre tenuto lontano da loro, tranne che per momenti in cui non potevo proprio farne a meno, sembra scomparsa, e ad oggi mi tornano molto utili per quasi tutte quelle attività in cui non li impiegavo. Strano questo cambiamento improvviso. Sospetto che in realtà, inconsciamente, li tengo in bella vista e li adopero per non dimenticare mai la follia di maggio: il correre, la fatica, il sudore; per non farmi tornare in mente sciocche idee che implichino rimettersi la tuta e prendere la strada del parco. La pigrizia, forse, muove leve nascoste e agisce per sentieri sotterranei, pur di tenermi comodamente fermo. Chissà. Certo che gli auricolari ora mi risultano comodi, e considerando che in questo ultimo, insopportabile anno non ho fatto particolari scoperte, tranne che odio stare in casa (ma in fondo lo sapevo già), non è male osservare quel minimo di buono che ho trascinato nel 2021.
Il terrazzo condominiale
Silvia Niro
La riscoperta dei balconi è stata indubbiamente uno dei punti cruciali del 2020, ma la gioia più invidiata in assoluto tra i plebei senza villetta con giardino era un’altra: l’accesso al terrazzo condominiale. Quel rettangolone trascurato, mezzo fatiscente e quasi sempre deserto, il luogo-non-luogo un po’ anonimo ma comunque un po’ poetico che ere geologiche fa usavamo per fare aperitivi di nascosto con Peroni calde da 66 e che ci siamo ritrovati a desiderare più di un contratto a tempo indeterminato.
Grazie al mio leggendario tempismo (e al portiere burbero che pian pianino sono riuscita a farmi amico), una passeggiata sul terrazzo del condominio romano in cui abito l’ho fatta soltanto poche settimane fa. Mettendo da parte la preziosa possibilità di far asciugare le lenzuola matrimoniali in un posto diverso dallo stendino che ingombra mezzo soggiorno, a cosa serve un terrazzo condominiale quando fa freddo e puoi andare ormai (quasi) dove ti pare? La risposta l’ho avuta il giorno in cui ho finalmente ricevuto le chiavi giuste per la serratura nuova della porta di ferro sottile color Merlot: per vedere le montagne, respirare e dimenticare.
PALLAOTTO
Federica Sabelli
L’oggetto pallaotto è un oggetto nero altresì chiamato MAGIC 8 BALL.
Profetico e dunque sferico. Ma di sfera di plastica, biliardica.
Inutile, allorché si cerchi di lanciarla o giocarne, ma utile nel predirne ad esempio il gioco. È l’oggetto fuori dal gioco. Al suo interno un serbatoio cilindrico contenente il dado bianco icosaedrico. Fluttuante (e dunque profetico) nel liquido misticocosmico e cioè alcolico, ma blu scuro. Tutto nella pallaotto, dal nome al colorante disciolto al suo interno, deve rassomigliare a un dio.
Contiene la palla tutte le velocità e le lentezze, i mutamenti di aria, i grani d’Oriente, i chicchi di zen. Dado cavo e galleggiante, dalle aperture continue su risposte estreme come su alveari di cielo.
Dicevo che rassomiglia a un dio. E perciò dotato di venti facce triangolari. Sulle quali tuttavia non vi è organo di senso. Bensì lettere in rilievo, font ignoto, colore nero. Linguaggio certamente oracolare, né caldaico né orfico né delfico, ma pallottico. Fragile perché dicibile, ma consapevole allorché passibile di dire “non so, RITENTA”.
La comunicazione avviene tramite finestrella trasparente, finestra albertiana sul mondo interrogativo.
Agitare e porre quesito. Dunque silenzio e interruzione dei movimenti. Lentezza estrema cosicché emerga il dado. La risposta in superficie. Ovvero ciò che si pensa essere la superficie. Ma la magic 8 Ball travalica le superfici, il fuori e il dentro, fonda nuove rigidità.
Le lettere dissiperanno il liquido, e si consegneranno a noi.
Un pericolo restano le bolle d’aria.
Questo Dio sovrasta ormai la mia vita. Lo consulto da quasi un anno e mi affido a lui prima di compiere qualsiasi azione. Io sono certa che, se oggi sono viva, è grazie alla pallaotto.
C’è chi, come mia madre, ha tentato di sottrarmela. È da allora che vi dormo accanto. Chi invece, vedendo il buon giudizio che portava, ha deciso di imitarmi e si è recato presso Modellismo&Giocattoli per acquistarne una propria. Il Dio risponde al prezzo di 14.99 €.
Le facce triangolari e sibilline portano scompiglio furioso tra quanti non comprendono la sottigliezza di una vita guidata da una palla. Per questo, da un po’, non mi si vede più in giro. Ma io sono colma di pace, aperta agli eventi, che tutti si dispiegano affidandosi alla Risposta.
Manubrio da palestra
Stefano Felici
Vincenzo, mio padre, a mia insaputa, mentre ero via per lavoro, in estate, è entrato nel mio appartamento, che in realtà è il suo, e con la scusa di non sopportare il disordine ha preso e buttato una marea di oggetti di cui non sapeva né la storia, né la loro funzione, né il grado di utilizzo: fotografie, fogli, soprammobili, action figures, penne, pennarelli, vecchi telefoni non proprio smart, tablet economicissimi, un netbook, un hard disk esterno, una marea di chiavette usb e addirittura un NES mini. E ogni giorno mi viene in mente qualcos’altro da aggiungere alla lista.
Voglio sperare abbia regalato tutto a un bambino che non conosco, facendolo felice; e che stia tacendo la cosa per paura che io questo bambino lo trovi e mi faccia restituire da lui tutto quello che è mio. Vincenzo dice che ogni cosa è finita nel secchione, perché era ora di fare spazio: la mia è una teoria folle. Ho provato pure a indagare, ma niente. Che vuoi indagare.
Ha salvato solo i libri ‒ perché il libro è sempre il libro, tra i semicolti ‒ e, paraculo che non è altro, alcune cose troppo pesanti e fastidiose da portarsi dietro.
Una di queste cose è un manubrio col suo set di pesi in ghisa. Si tratta di un attrezzo che non uso da dieci anni. E che di suo avrò usato due o tre mesi. Avevo pure dimenticato che fosse in casa.
Al di là del gesto atroce di mio padre, sì: lo spazio in casa è raddoppiato, e c’è effettivamente molto più ordine. In più, ho addirittura ripreso a fare esercizi.
Non facciamola diventare una seduta di psicanalisi, ma insomma, sono un appassionato di bodybuilding.
A vedermi non si direbbe. Negli ultimi anni ho alzato più supplì che ripetizioni. Ma vabbe’. Il mio modello rimane Mishima: vorrei un fisico come il suo ‒ avete presente la foto a torso nudo in cui impugna la katana? Pazzesco ‒, e vorrei ovviamente anche il suo acume, la sua prosa. Non altro.
Ora sono quattro mesi che pompo, e sto tormentando la mia compagna facendole misurare ogni giorno quella che chiamo la pagnotta: e io la amo tanto perché mi asseconda.
Con Vincenzo non ci parlo più. Ho pure cambiato la serratura.
Foto, in ordine di apparizione:
1. Casa per le bambole di Petronella Oortman, anonimo, c. 1686 – c. 1710 — Fonte
2. Maschera, anonimo, 1600 – 1699 — Fonte
3. Veduta della cascate del Niagara, anonimo, 1880 ca. – 1900 ca. — Fonte
4. Studi sulle orecchie, Jusepe de Ribera, 1630 ca. – 1640 ca. — Fonte
5. Terrazza dell’Achilleion a Corfù con tavoli, sedie, colonne e statue di centauri, anonimo, 1895 ca. — Fonte
6. Ritratto di una donna sconosciuta con una sfera di cristallo, Mathilde Weil, 1896 ca. — Fonte
7. Chilogrammo standard, anonimo, 1798 — Fonte