Lacan che il calcio – Dialettica del desiderio di pallone in TV
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Lacan che il calcio – Dialettica del desiderio di pallone in TV

Hanno invitato Crampi Sportivi alla presentazione della nuova edizione di Quelli Che Il Calcio.  “Pochi programmi possono vantare un numero di comici pari a Quelli che il calcio. Penso a Max Giusti; a Ubaldo Pantani, che è nel pieno della sua maturità artistica; Edoardo Ferrario; e Fabio Rovazzi, che arriva da noi come artista completo, non […]

Hanno invitato Crampi Sportivi alla presentazione della nuova edizione di Quelli Che Il Calcio. 

“Pochi programmi possono vantare un numero di comici pari a Quelli che il calcio. Penso a Max Giusti; a Ubaldo Pantani, che è nel pieno della sua maturità artistica; Edoardo Ferrario; e Fabio Rovazzi, che arriva da noi come artista completo, non solo come l’autore del tormentone estivo”.

Fabio Di Iorio, capostruttura Rai 2

 

La storia del complesso che chiamiamo “televisione italiana” l’hanno scritta i partiti della prima repubblica, fino a un certo punto, e poi Silvio Berlusconi: due tra i più fulgidi esempi della tenacia nel restare sulla scena ben più a lungo di quanto la decenza avrebbe imposto. La progressiva perdita di slancio delle loro parabole non ha potuto che trasmettersi ad alcuni prodotti delle aziende televisive che a loro facevano capo. Oggi sono entrambi fuori dai giochi, ma è possibile che quella sciagurata tendenza a persistere sia loro sopravvissuta? Soprattutto nel caso dell’intrattenimento calcistico, al centro oggi più che mai di un’esigenza di rinnovamento linguistico e narrativo sia in rete che in libreria. In altre parole, il pallone ha ancora bisogno di un contenitore come (la ventiquattresima edizione di) Quelli che il calcio?

La domanda è meno retorica di quel che sembra, anche se questo – lo avevate già capito – è proprio il tipo di articolo in cui un ragazzino che non appartiene al target di riferimento di un dato prodotto si interroga sulla legittimità di quel prodotto. Una differenza rispetto al format di base è che i miei dubbi sono sinceri, perché sulla televisione non credo di aver mai riflettuto abbastanza. Mi sono trovato a farlo proprio durante la conferenza stampa che ha presentato la nuova stagione di Quelli che, e soprattutto durante i venti minuti successivi alla conferenza, quando mi sono perso come un bambino nei corridoi della sede RAI di corso Sempione. Lasciata la presentazione, una ragazza in uniforme mi ha scortato lungo un dedalo che portava a una seconda ragazza in uniforme; quella mi ha detto “dritto fino in fondo, poi le scale, poi sinistra”. Dovevo arrivare all’uscita, mi sono ritrovato al secondo piano.

Mentre vagavo, mi passavano davanti agli occhi le due ore precedenti: il delirio di un secondo quando ho scambiato due lampioni coi pali in legno, parte della scenografia, per due croci enormi (e già immaginavo Nicola Savino immolare ogni settimana un ospite sul Golgota del palco); lo stupore di sapere che gli ascolti di Quelli che il calciol’anno scorso sono stati i migliori dal 2012 e che i prepartita più seguiti sono stati quelli della scorsa primavera, durante il testa a testa tra Juve e Napoli; la curiosa insistenza dei giornalisti nel voler conoscere le vicende contrattuali della Gialappa’s Band. Ma gli appassionati di calcio in Italia non erano interessati all’approfondimento tecnico specialistico e alla ritrattistica postmoderna dei protagonisti del campionato? Frequentando l’internet che frequento io e la televisione che frequento io, avevo avuto questa impressione.

“A me non piace la televisione a comparti stagni, a me piace la televisione mescolata!” Qualche mese fa mi è capitato di sentire un navigato direttore di telegiornali che diceva questa cosa qui, e ne sono rimasto molto, molto colpito. Perché per me “mescolato” può anche essere sinonimo di bordello, di disordinato trambusto. Mescolato è il negozio dove trovi plasticame assortito e impolverato con cui rifornire la tua cucina da studente fuori sede. Come si può, a.d. 2016, volere una televisione diversa da quella chirurgica dei canali tematici? Ci si può davvero opporre alla specializzazione dell’offerta, movimento ineluttabile dello Spirito che soffia nella Storia?

Temo di sì. Io che scrivo qua e noi che leggiamo qua e altrove, dove cerchiamo narrazioni sportive inedite – ma che ne sappiamo, noi che siamo la coda lunga di pulviscolo dell’informazione…? Oddio, che mi ritrovo a pensare. Noi lo sappiamo benissimo. Le partite le vediamo anche noi in compagnia, magari con amici che di calcio non capiscono nulla. (Se non sono loro, sei tu). E il posto di Quelli che il calcio è proprio quello di tenere compagnia, al punto da oscurare il calcio stesso; non è un format sorpassato, è piuttosto un format tanto assurdo che potrebbe non esaurirsi mai. È desiderio di calcio continuamente rimandato, e rimandare il desiderio è un mestiere intramontabile quanto soddisfarlo – è l’altra faccia del servizio pubblico. Il pubblico, infatti, lo premia. E quindi.

D’altra parte, questo nodo irrisolvibile aveva bisogno di essere protetto: hanno scelto di avvolgerlo nell’ironia della Gialappa’s Band, e probabilmente non potevano fare scelta migliore. Le loro battute rinforzano proprio l’illusione che Quelli che il calcio sia un salotto, con questi tre amici che tutti odiano perché si intromettono in qualunque discorso per fare i brillanti, ma tutti amano perché comunque non si stava dicendo nulla di importante. Ecco: anche ricordare la vacuità delle nostre parole e delle nostre vite, tanto più l’insensatezza di ogni posa, mi sembra un discreto esempio di servizio pubblico. (Scontato il quale, si torna alle parole vuote e alle pose proprio in virtùdell’impossibilità di giustificare quelle come il loro contrario). La televisione è sempre e comunque troppo costruita, tanto più quando vuole divertire, e solo inserendo un filtro ironico tra il programma e il pubblico si può giustificare quella ipercostruzione.

Dovrebbero inserire un filtro ironico anche lungo i corridoi dell’ipercostruzione che è la sede RAI di corso Sempione. Dopo molto vagare, riconosco dei giornalisti che ho visto durante la conferenza e li seguo fino all’uscita. Nel lasciare l’edificio ripenso a Rovazzi, che in studio fumava una sigaretta elettronica, e a una giornalista, che brandiva un microfono marchiato Gazzetta TV. E mi sorprendo nel pensare che, tutto sommato, la televisione generalista sarà la tecnologia più vecchia ma non è quella invecchiata peggio.

 

Daniele Zinni per Crampi Sportivi, pubblicato la prima volta qui.

Crampi Sportivi
È una rivista online di approfondimento sportivo fondata nel maggio 2013. Ripudia la retorica, il buonismo, l’ingiustizia, la discriminazione razziale e la difesa a tre. Ripudia gli scarpini troppo colorati, i nostalgici dei bei tempi andati, i centrocampisti che non tirano mai e i tennisti che non scendono a rete. Ama uno sport raccontato dal divano, ma anche analizzato dalla scrivania. Il tentativo è quello di portare Zinedine Zidane e Dennis Rodman a cena dal professor Heidegger. www.crampisportivi.com
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