Festival dei Popoli 52 #1
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Festival dei Popoli 52 #1

Reportage per organi soli.

Mi arriva un msg di Sergio che mi aspetta al festival «Fa un freddo divino, io mi sono portato solo delle felpette, meno male che sono un gran bevitore». Sul treno trovo una donna con dei tappi nelle orecchie. Le arriva una telefonata, attacca, dicendo «Non ti sento bene richiama». Nuova telefonata. La donna urla «Ma tu riesci a sentirmi perché io non ti sento molto bene». Le indico con il dito i tappi. La donna si altera «Cosa vuole»? Mantenendo un’innegabile lucidità le dico «I tappi». Lei se li toglie «Ora ti sento, sarà stato colpa del tunnel». Il festival dei popoli è uno dei più antichi festival italiani. È completamente dedicato al cinema documentario e ospita opere di ogni paese conosciuto. Mi sembra una saggia decisione iniziare con Vol Special di Fernando Melgar. Film svizzero. L’unica cosa che conosco della Svizzera è una battuta di Orson Welles ne Il terzo Uomo. È il caso di rimediare. Il film tratta del problema dei clandestini. Melgar segue varie persone che una mattina si sono svegliate, sono uscite di casa per andare a lavoro o a prendere il figlio all’asilo e si sono ritrovate in un centro detentivo pronti per essere rispediti a casa. Ricorda Il processo di Kafka: essere in balia di una forza più grande che ci punisce senza un apparente motivo. Un signore accanto a me sbadiglia neanche dovesse ingoiare l’atmosfera. Kafka diventa un ricordo e siamo di nuovo dalle parti dell’indignazione civile. Non provo più compassione per chi sta peggio di me, sono consapevole che non muoverò un dito per quelle facce disperate, per i loro pianti. Mi sembra solo di peggiorare la loro condizione. Ne consumo quello che ne rimane: la loro immagine, la loro voce, le loro speranze. Dracula è il personaggio che meglio incarna il cinema e chi lo ama.

Mentre fuggo da un adescatore per ristoranti che tenta di farmi mangiare la miglior pizza di Napoli a Firenze, mi ritrovo allo Spazio Uno. Danno Cravan vs Cravan. Fa parte della retrospettiva dedicata al regista spagnolo Isaki Lacuesta. Il curatore della retrospettiva conclude la presentazione. Il documentario racconta le gesta del pugile-poeta Arthur Cravan, misteriosamente scomparso nel 1918 nel Golfo del Messico. Sulle sue tracce si mette un altro pugile-poeta Frank Nicotra. Il documentario è del 2002 ed è un tipico esperimento di quel periodo (anche gli anni ’00 ormai si possono mettere in soffitta). Si ha sempre la sensazione di stare assistendo ad una ricostruzione ingannevole dei fatti. Tutto è minuziosamente dato attraverso il calco del documentario, ma non siamo mai certi che quello a cui stiamo assistendo sia veramente successo. Si dubita continuamente. Che cosa è reale, che cosa non lo è? Ma le elucubrazioni dei primi venti minuti sono migliori di tutto il film. Un esperimento non riuscito, audace, ma che si disperde anche piuttosto facilmente. Ho fame, ripenso all’adescatore del ristorante e sono pronto a chiedergli scusa se mi vorrà ancora ospitare.

Mangio in fretta e senza amore. Truffaut una volta ha detto che si dovrebbe parlare solo dei film che ci piacciono. Vista la giornata magra, attendo con ansia la prima italiana di Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog. Parlare di Herzog mi comporta una gran fatica. È come parlare della persona che ami ai tuoi amici. Li ubriachi di parole, ti muovi come posseduto, ciarli per ore e ore senza concludere mai. Visto che vorrei evitarvi tutto ciò, vi riporto questo video in cui un cecchino spara ad Herzog. E la frase che forse meglio lo rappresenta «Siamo circondati da immagini consumate, e ce ne meritiamo di nuove». Herzog è questa unione. È il Lancillotto delle immagini, il condottiero dell’immaginario. Mi figuro il suo viso felice quando avrà appreso che nella Grotta Chauvet erano state ritrovate le immagini più antiche realizzate da mano umana. Ad Herzog viene concessa solo un’ora per documentare questa incredibile scoperta. È girato in 3d, perché altrimenti nessuno avrebbe finanziato l’operazione. Non serve stare qui a dire se è bello o brutto. Fare analisi semiotiche, psicoanalitiche o chissà cosa ancora. Uno spettatore arzigogola una domanda al direttore della fotografia Peter Zeitlinger: «Secondo me, c’è una grande attenzione a dare un taglio espressionista alle immagini, affinché si riveli qualcosa di primitivo e allo stesso tempo estenuantemente artistico, perché per fare arte bisogna saper usare le luci». Zeitlinger presente in sala, risponde: «Avevamo così poco tempo che a malapena siamo riusciti a filmare qualcosa. Per fare arte bisogna solo sapere cosa si vuole, Werner solitamente lo sa». Fino alla fine con te Werner, nei secoli dei secoli!

Marco Fagnocchi
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