La nostalgia si sta prendendo tutto, anche il futuro
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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La nostalgia si sta prendendo tutto, anche il futuro

Ecco che dal passato, al presente, la nostalgia transita verso il futuro imponendosi come via d’accesso agli eventi ancora a venire.

Nella cultura pop ci sono sempre più riferimenti a una nuova forma di nostalgia, rivolta non più solo al passato remoto, ma anche a quello recente e al futuro che inevitabilmente non si è ancora vissuto. Dua Lipa nel 2020 ha intitolato un suo fortunatissimo LP Future Nostalgia; nella strofa del brano Falena Franco 126 cita Giorgio Caproni e la sua poesia Ritorno: Sono tornato là / dove non ero mai stato. / Nulla, da come non fu, è mutato. […] Tutto / è ancora rimasto quale / mai l’avevo lasciato. Anche Cesare Cremonini, in un’intervista al Corriere, ha dichiarato che «la nostalgia più profonda è per quello che non si è vissuto». In fisiologia sperimentale e in informatica si usa il concetto di tempo di latenza per indicare  il tempo che intercorre tra l’applicazione di uno stimolo e la manifestazione della corrispondente reazione. Oggi sembra che il tempo di latenza della nostalgia – cioè la distanza tra un’esperienza e la sua rielaborazione nostalgica – stia diventando via via inferiore, e allo stesso tempo che la nostalgia stia diventando un’emozione sempre più importante per comprendere il presente.

Secondo alcuni la causa della sempre più ampia diffusione del sentimento nostalgico è il progresso, che accelera il ritmo delle esperienze e causa una sorta di scollamento dal presente, sempre più inaccessibile e insufficiente. Già Jorge Luis Borges e Fredric Jameson avevano parlato a questo proposito di “nostalgia del presente” (il primo in una poesia, il secondo nel titolo di un saggio all’interno della monografia che dedicò al postmoderno) perché avevano capito che la nostalgia stava diventando una via d’accesso privilegiata alla contemporaneità, un “sentimento del presente”, come titola un saggio di Vito Teti. La nostalgia del futuro si presenta allora come esito plausibile del processo che vede questo sentimento passare dal passato al presente, e anzi ci sono ottime ragioni per pensare che esista già – non solo in forma teorica. Il futuro in fin dei conti non è un luogo disabitato: l’abbiamo vissuto attraverso le immagini dei film e dei libri, creandoci delle aspettative e depositandovi inevitabilmente dei desideri. In più, è un luogo che appare sempre più incerto per via dei rischi connessi al cambiamento climatico. 

Nostos – viaggio di ritorno – e algos – dolore, patimento: una nobile origine greca per uno dei sentimenti più potenti che siamo capaci di provare? Falso. La parola nostalgia ha poco meno di quattrocento anni di età ed è solo pseudo-greca, coniata nel 1668 da Johannes Hofer nella sua tesi di laurea in medicina per indicare la patologia dalla grave sintomatologia depressiva – con esiti anche letali – che affliggeva i soldati mercenari svizzeri costretti ad anni di lontananza dai loro luoghi d’origine.

Malgrado l’origine relativamente recente, si tratta di un sentimento che coinvolge l’essere umano nel profondo, anche a livello fisiologico. Scansionando un cervello umano mentre prova nostalgia si è notato che sono attive le zone dell’ippocampo e dell’amigdala, aree primitive che governano il sistema nervoso autonomo, quello dedicato alle attività inconsce. L’impatto fisiologico della nostalgia giustifica sia l’effetto che questo sentimento ha sul nostro corpo (sappiamo tutti che la nostalgia può modificare il nostro stato d’animo, indirizzare le nostre azioni o farci precipitare in uno stato di irreversibile inedia), sia la sua potenza (la nostalgia ci muove come una totalità, è un impulso mentale che ci coinvolge interamente). È un sentimento drammatico ma dolce – addirittura desiderabile – che ci fa sentire tutt’uno con noi stessi, ci “coccola”, immersi in un ambiente privo di spigoli, liberi di muoverci a occhi chiusi, prede del languore.

Il XXI secolo rappresenta un punto di svolta per gli studi sul sentimento nostalgico. Svetlana Boym nel suo The future of nostalgia, uno dei testi più approfonditi sul tema, si spinge ad affermare che è in corso una vera e propria “epidemia di nostalgia” e comincia constatando che «il XXI secolo è iniziato con un’utopia futuristica ed è finito con la nostalgia. […] Il progresso, non si sa come, ma non ha curato la nostalgia, anzi l’ha esacerbata».

Nostalgia del futuro, Mariasilvia Chiappini

I social Network sono certamente uno dei luoghi in cui questa esplosione è più evidente:  Instagram è nato offrendo filtri vintage da applicare sulle proprie fotografie, su TikTok l’hashtag #2000sthrowback ha un miliardo e mezzo di visualizzazioni, Facebook si sta lentamente trasformando in un archivio dei ricordi di gioventù dei suoi utenti e quest’ultima funzione potrebbe, secondo il prof. Tama Leaver, diventare presto il suo core-business, nella forma di una rivendita ai privati dei dati inseriti in passato da loro stessi. 

Per Boym ad allargare la nostalgia ben oltre i suoi consueti confini temporali è stata l’ossessione per il progresso, perché quest’ultimo è «il primo concetto genuinamente storico che riduce la differenza temporale tra esperienza e aspettativa a un singolo concetto», cioè che inserisce fattivamente il presente all’interno di una corrente in cui si mescola sia con il passato sia, in particolare, con il futuro. Questo effetto ha una conseguenza importante: se andiamo alla ricerca del futuro seguendo un ideale di progresso non troveremo nulla di veramente diverso dal presente. È questa la più profonda contraddizione di ogni progressismo. 

Il saggio di Svetlana Boym contribuisce a comporre il ritratto di una nostalgia pervasiva e capillare, dai media, al cinema, ai prodotti di consumo. Esquire qualche tempo fa ha dedicato alla nostalgia nel costume un lungo articolo; Vincenzo Marino in questo pezzo su Vice ha raccolto i feticci nostalgici più recenti, dando un’immagine concreta del tempo di latenza di cui prima; Riccardo Benassi, in Morestalgia, ha cercato di cogliere la radicale novità del sentimento nostalgico oggi. Nel mondo del marketing la nostalgia ha un ruolo fondamentale nel fidelizzare il cliente e nel generare il bisogno che conduce all’acquisto. Arjun Appadurai dedica due capitoli del suo saggio sulla condizione postmoderna Modernità in polvere a dimostrare come in un mondo dove i continui spostamenti delle persone indeboliscono i tradizionali vincoli emotivi sui quali si fondava una volta la catena del bisogno e dell’acquisto, si fa spesso più leva sul passato – recente o remoto, reale o fittizio – per incanalare il consumatore verso un’identità fittizia dotata di bisogni e desideri da esaudire facilmente, e creando di conseguenza un sentimento di mancanza verso cose che non si sono mai avute.

Una prima caratteristica della nostalgia oggi è che non viene più suscitata solo da ciò che abbiamo vissuto, ma anche da esperienze con le quali siamo stati in contatto solo attraverso lo schermo di un dispositivo elettronico. È possibile fare leva sulla nostalgia degli anni ’70 anche se ci si rivolge a un’audience composta da millenials, grazie al fatto che oggi registriamo come esperienza vissuta anche gli stimoli che riceviamo sul web o attraverso i media, e non sono pochi. L’identità stessa è composta da una mistura di vissuto “reale” e “virtuale”, o meglio “cronistico” (cioè vissuto nel nostro tempo) e “anacronistico” (cioè proveniente da tempi in cui noi biologicamente non eravamo presenti). L’esperienza digitale ha delle somiglianze con quella nostalgica, perché i nostri sensi non sono coinvolti direttamente ma solo attraverso una rievocazione mediata dall’immaginazione. È come guardare uno show di cucina alla tv: ci si trova con l’acquolina in bocca, immaginiamo il sapore del piatto, il profumo e la consistenza, senza che nulla di tutto questo sia realmente presente. Riportare alla mente un’ottima cena ha un effetto paragonabile. La mole di esperienze simili che facciamo oggi, fa sì che esse diventino qualcosa di più di occasioni marginali, cioè veri e propri elementi di vissuto. Riccardo Benassi la chiama Morestalgia perché è una nostalgia “aumentata”, che si genera dalla combinazione di questi due tipi di vissuto: come la realtà aumentata, «la nostalgia aumentata, “morestalgia”, è basata sul fatto che “le nostre menti sembrano indotte a processare eventi offerti da schermi di dispositivi portatili come vita vissuta e, facendo così, a usurpare l’abilità del corpo di attuare cicli regolari di ispezione sensoriale». 

E ancora, sul tempo di latenza: «È possibile già avere nostalgia del 2016?» si chiede Vincenzo Marino. Evidentemente sì, perché «un terzo dei soggetti tra i 18 e i 34 anni presi in considerazione da uno studio inglese, dichiara di provare nostalgia di un periodo vicino al 2020». L’articolo di Marino fa intendere che la nostalgia è molto più vicina alle nostre spalle di quanto immaginiamo. È come se l’esperienza del presente si fosse scollata dalla sua qualità immediata, che da un lato ne garantiva la bontà e dall’altro esprimeva in pieno il nostro essere senzienti.

Se seguendo l’indicazione di Borges e Jameson possiamo dire che la nostalgia sta diventando una chiave d’accesso al presente, questo è un presente distaccato, fantasmatico, che “lagga”. Per motivi di cui abbiamo già parlato: la crescente rapidità del ritmo di vita, l’onnipresenza di dispositivi elettronici, la dipendenza da immagini e la scarsa propensione alla cura della nostra ricettività sensoriale. Rimaniamo voltati verso il frame precedente che è sparito troppo in fretta o di cui ci è sfuggito qualcosa perché era troppo pieno (e allora la nostalgia fa da filtro) o troppo vuoto (e allora fa da integrazione, coinvolgendo l’immaginazione per ricomporre uno scenario sostenibile e gratificante). 

Ecco che dal passato, al presente, la nostalgia transita verso il futuro imponendosi come via d’accesso agli eventi ancora a venire. Sembra controintuitivo, ma non è irragionevole per tre motivi:

Per prima cosa la nostalgia ha la capacità di convertire in positivo il negativo, rimodula le nostre esperienze, smussando il vissuto e integrandolo con elementi immaginari per conciliare la nostra resilienza rispetto ad esso. La nostalgia rende più conciliante un vissuto che contiene elementi di angoscia e paura. Il futuro oggi si sta colorando di tinte simili, quindi c’è la possibilità concreta che nei suoi confronti si attivino le stesse strategie compensatorie che sperimentiamo rispetto al passato e al presente.

In secondo luogo se l’espansione della nostalgia è legata al progresso, e se il progresso ha la peculiarità di generare un tempo storico in cui il passato, il presente e il futuro stanno sotto lo stesso concetto, allora è logico pensare che essa si rivolgerà anche al tempo a venire come naturale processo di osmosi interno al progresso stesso.

Infine il futuro è un luogo che abitiamo da tempo, quindi non è così difficile pensare di averne nostalgia. Nel corso del secondo Novecento, come mostra bene Svetlana Boym mescolando ricordi d’infanzia all’indagine filosofica, il futuro era pieno di proiezioni realistiche. Dai media più rudimentali e dalla letteratura arrivavano immagini di un futuro già abitato dall’uomo, che chiedeva a ogni cittadino un passo avanti rispetto al proprio presente per prendere posto all’interno del mondo a venire. Il cinema e la letteratura hanno avuto un ruolo fondamentale per popolare il futuro, futuro che in molti casi corrisponde agli anni in cui viviamo ora. Molti romanzi di fantascienza del secolo scorso erano ambientati proprio oggi, alle porte del ventunesimo secolo, e anche se le loro descrizioni del nostro presente ci appaiono errate e anacronistiche, hanno contribuito a formare lo spirito – spesso ottimista – con cui è stato affrontato il nostro secolo. Oggi dell’ottimismo che ha segnato la visione del futuro nel secolo scorso non c’è più traccia.

Quel futuro, però, è ancora l’unico che conosciamo e che siamo in grado di vedere. Ci rimane allora la nostalgia. Nostalgia per un tempo che sappiamo già che ci scorrerà addosso senza fare attrito. Nostalgia per una “forma del tempo”, la progressività, che più inizia a mostrare segni di cedimento, più appare sotto il velo di una patina nostalgica.

Le conseguenze di questo processo sono molte, e di alcune possiamo già avere un’idea osservando alcune forme d’ansia legate proprio alla difficoltà di rapportarsi al futuro in modo attivo e propositivo: eco-ansia, angoscia climatica, ansia climatica, sono alcuni dei nomi che vengono dati a una serie di sintomatologie soprattutto psicologiche anche gravi, legate alla percezione che i giovani hanno del loro futuro. Il primo studio analitico dedicato a questo tema titola Young People’s Voices on Climate Anxiety, Government Betrayal and Moral Injury: A Global Phenomenon e ha coinvolto un campione di 10.000 volontari tra i 16 e i 25 anni. Il risultato è che, a causa di sentimenti anche intensi di «rabbia, dolore, vergogna e sensazione di vulnerabilità», si nota come le persone siano portate «a reagire all’ansia modificando non solo il proprio comportamento quotidiano, ma anche la loro visione del mondo e le loro aspettative verso il futuro.»

Se queste argomentazioni sembrano astratte – si tratta pur sempre di proiezioni, interpretazioni e supposizioni – c’è un fatto che aiuta a concepire con estrema concretezza l’idea di nostalgia del futuro.

La nostalgia spesso viene evocata da fotografie: tornare indietro nella galleria del cellulare, vedere i compleanni scorrere, gli affetti vicini cambiare, le persone più giovani e anche noi stessi; tutto questo risveglia i nostri sentimenti nostalgici. Lo stesso vale per una sera passata a scorrere vecchi album di foto. Proviamo nostalgia guardando vecchie foto perché in un batter d’occhio siamo di nuovo lì, dove eravamo anni prima, anche se non ci possiamo davvero andare.

Presto questi riti individuali e collettivi non saranno riservati alle memorie passate, ma anche alle memorie future. Google, per citare l’attore più noto, ha già brevettato strumenti che usano l’intelligenza artificiale per creare immagini fotografiche a partire da keywords. In altre parole è del tutto plausibile che tra non molto avremo la possibilità di dare forma fotografica al futuro, come se al suo tempo nostro padre avesse potuto fotografare se stesso a bordo di una navicella spaziale tipo Star Trek. Il futuro che abitiamo potrà essere fotografato e sarà un grosso problema distinguerlo dalla “realtà” o dalle fotografie della “realtà”. Un problema non solo estetico, che riguarda il cuore della nozione di verità.

Tra qualche anno sfogliando il nostro album di fotografie potremo trovare i punti salienti della nostra infanzia accanto a un campionario dei futuri che abbiamo abitato e che ora non ci sono più. E ci verrà lo stesso magone.

Il problema più grande che i soldati affetti da nostalgia rappresentavano per l’esercito svizzero era l’altissimo tasso di defezione. I soldati nostalgici facevano di tutto per abbandonare il campo di battaglia e, quando non ci riuscivano, combattevano con mollezza, finendo per lasciare gioco facile alla fazione opposta.

È possibile che si ripresenterà lo stesso paradosso: chiamati a schierarsi per costruire progetti privi di attrattiva o eccessivamente lontani dai desideri e dai bisogni del presente, i giovani soldati del nostro tempo – cioè chi, oggi, è chiamato a fare scelte in prospettiva per la propria vita – potrebbero essere coinvolti in una grande defezione motivata dalla nostalgia di una reale prospettiva futura, perduta e rivissuta oggi in forma nostalgica. Si tratterà di una defezione dal progresso – che non significa ritorno al passato – per ritornare ad abitare il futuro.

 

In copertina: Portret van Vido, anonymous, 1924 – Fonte Rijks Museum.

Paolo Bosca
È nato ad Asti nel 1996. Ha studiato filosofia a Venezia e dal 2018 vive e lavora a Milano presso la casa editrice nottetempo. Ha lavorato e scritto per diversi progetti, per ultimo il Lab For New Imaginations del Museo MACRO. Si occupa di temi relativi alla geografia, all’ecologia e alla filosofia pratica.
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