Di internet non si muore — Sulla morte di Tiziana Cantone
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Di internet non si muore — Sulla morte di Tiziana Cantone

Ad uccidere Tiziana Cantone, in sostanza, non è stata la viralità.

Con la morte di Tiziana Cantone ci troviamo per la prima volta davanti al caso di una persona che sceglie il suicidio come soluzione ad un fenomeno virale italiano. Prevedibilmente, pochi si sono lasciati sfuggire questa succulenta occasione di poter utilizzare i social come tribunale di inquisizione o cabaret di pessimo gusto. Tralasciando le ricostruzioni morbose della vicenda di come una ragazza abbia preferito la morte alla pubblica piazza, il fatto in sé ci pone davanti ad una questione che va ben oltre il semplice stupore che possiamo manifestare davanti ad un episodio così moderno e spaventosamente reale. Il bullismo virtuale esiste ed è concretamente responsabile di molte storie con tragici epiloghi, ma pensare di poter arginare un fenomeno del genere è decisamente velleitario. Ciò che invece andrebbe analizzato con un po’ più di attenzione è il motivo che spinge ad un accanimento violento e variegato nei confronti di una donna per aver reso noto pubblicamente, volente o nolente, di essere sessualmente attiva.

Ogni tentativo di regolamentazione del web è già di per sé un fallimento e l’idea di poter arginare la viralità di un fenomeno online dimostra la scarsa comprensione della sua natura. Tempo fa circolava un meme, “Be like Bill”: il suo scopo era fondamentalmente quello di innestare il buonsenso nella testa dell’utente medio di social, promosso da coloro i quali invece si ritenevano osservatori sopraelevati che dall’alto della loro illuminata prospettiva riuscivano con pacata eleganza aggressivo-passiva ad indirizzare meglio i meno saggi. «Bill non posta mille foto con la sua fidanzata», «Bill non si arrabbia e va avanti», «Bill è intelligente», e così via: un inutile tentativo di dare un argine a quanto di più spontaneo possiamo apprezzare nelle nostre home, allo stesso tempo una critica sterile promossa da menti infastidite dalla eccessiva mediocrità di internet. La viralità, così come tutte quelle scoccianti piccole azioni quotidiane che infastidiscono Bill, è assolutamente incontrollabile e inspiegabile nel suo propagarsi.

Di questa viralità sono state vittime tante persone, chi si è trovato ad essere un meme, chi ha visto la propria immagine diventare fenomeno d’attrazione e derisione, e chi, come Tiziana Cantone, ha trasformato la propria esistenza in una fuga da questa attenzione non sempre benvoluta. Tra tutti i modi in cui ci si può ritrovare oggetto di una qualsiasi forma di viralità nel web, di sicuro non c’è niente che possa superare l’impatto di un contesto pornografico. Il revenge porn, pratica ormai più che sdoganata, ha fatto sì che l’intimità di molti, donne per lo più, diventasse un’occasione per eleggersi a paladini di moralità e pudore, condannando la persona coinvolta e vittima di tale burla, piuttosto che deridendo l’idiozia di chi ha messo in circolo il materiale, o semplicemente per fare della goliardica comunella con tutta la comunità maschile mondiale. Quando le foto di Jennifer Lawrence, insieme a quelle di molte altre donne dello spettacolo, hanno cominciato a circolare in rete, la reazione della comunità di internet è stato un urlo di liberazione da un lato e un’invettiva alla poca decenza dell’attrice dall’altro: finalmente posso arrivare dove non potrei mai arrivare con le mie forze, il luogo più intimo di un’attrice che non sa nemmeno che io esista, che sporcacciona però che si fa le foto nuda. Poco importa cosa possa significare per una donna, e per una persona, vedere violato in modo così invadente un lato privato della propria esistenza. Eppure, questo è internet, e questo è senza dubbio il suo lato più incontrollabile e spietato.

 

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Il problema è un altro. Non è tanto la viralità e l’invasione che si pratica nel momento in cui si decide di entrare in una dimensione che dovrebbe essere privata (ad esclusione ovviamente di chi decide di renderlo pubblico col proprio consenso o per chi lo esercita come mestiere), che è di per sé fastidiosamente irrefrenabile. Il vero problema della vicenda di Tiziana Cantone — e di tutte quelle altre storie di ragazze che si sono trovate ad essere linciate dalla comunità del web — è che ancora, nel 2016, la donna che compie un atto sessuale pubblicamente (anche se in principio destinato al privato) è un bersaglio per qualsiasi tipo di derisione. La donna che fa sesso in una macchina, al di là della comicità di una parola pronunciata con eccessiva enfasi, è una donna che ha poco valore, che si svende, che non merita addirittura la vita secondo alcuni. Il “se l’è cercata” è sempre a portata di mano di tutti quelli che condannano l’atto “impuro” di una donna che non nasconde, seppur non sempre per sua volontà, di essere sessualmente attiva, esattamente come tutti gli altri sulla terra, uomini o donne che siano.

 

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Ciò che mi inquieta di più della storia di Tiziana Cantone è esattamente questo. Una donna di 31 anni si è suicidata non perché fosse un meme, un video virale, uno scherzo del web, ma perché ancora oggi è legittimo che una donna colta in flagrante nello scandalosissimo atto di praticare del sesso orale si veda piovere addosso migliaia e migliaia di insulti perché “troia”. Perché ancora nel 2016 è un pensiero automatico quello di etichettare la libertà sessuale di una donna come sintomo di qualcosa di sporco, negativo, usurato. Non è un automatismo che si innesca esclusivamente in categorie di persone di mentalità ristretta, poiché viene a galla anche in tutte quelle battute che travestono il bigottismo di patetica satira. Ad uccidere Tiziana Cantone, in sostanza, non è stata la viralità. È stata la mente bacata di tutti coloro i quali hanno preferito esercitare un bigottismo medievale nei confronti di una donna che, come tutte le persone in questo pianeta, ha una vita sessuale.

Alice Oliveri
Nata a Catania nel 1992, studentessa a Roma dal 2011. Scrivere, leggere, suonare tanti strumenti e guardare molti film sono le sue passioni.
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