0“Avatar” è tornato per farsi dimenticare di nuovo?
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
2022
01 gennaio
Dude Mag
03 marzo
Alessio Giacometti
05 giugno
Simone Vacatello
07 novembre
Marco Montanaro e Gilles Nicoli
09 gennaio
TBA
TBA
10 febbraio
TBA
TBA
11 marzo
TBA
TBA
12 aprile
TBA
TBA
×
×
È arrivato il momento di iscriverti
Segui Dude Mag, dai!
28264
https://www.dudemag.it/2022/avatar-e-tornato-per-farsi-dimenticare-di-nuovo/

“Avatar” è tornato per farsi dimenticare di nuovo?

Sembra proprio che Avatar non abbia lasciato tracce nel nostro immaginario, eppure il film di James Cameron è ancora oggi il campione del box office mondiale

Di seguito i titoli di due articoli pubblicati quest’anno su Avatar: “Avatar” and the Mystery of the Vanishing Blockbuster; Remember “Avatar”? Neither Do We. Catch Up Before the Sequel Arrives (New York Times). Un articolo pubblicato sei anni fa su Avatar: Do You Remember Anything At All About “Avatar”? (Buzzfeed). Un articolo pubblicato otto anni fa su Avatar: Five Years Ago, “Avatar” Grossed $2.7 Billion But Left No Pop Culture Footprint (Forbes). Ehi, sembra proprio che Avatar non abbia lasciato tracce nel nostro immaginario (a parte gli articoli che sostengono che Avatar non abbia lasciato tracce nel nostro immaginario). Se non si indicizzano gli incassi all’inflazione, il film di James Cameron è ancora oggi il campione del box office mondiale: seguono Avengers: Endgame; Titanic; Star Wars: Episode VII – The Force Awakens; Avengers: Infinity War; Spider-Man: No Way Home; Jurassic World; The Lion King; The Avengers. Qual è la differenza tra la prima posizione e tutte le altre? Beh, che a differenza degli altri film entrati in classifica Avatar non ha lasciato tracce nel nostro immaginario.

Va da sé che l’ultima frase non può essere presa alla lettera. Dato il livello mostruosamente pervasivo raggiunto da internet, è praticamente intuitivo che esista una nicchia dedicata a Pandora, ai Na’vi, etc. Gli utenti di un forum chiamato Tree of Souls, ad esempio, speculano quotidianamente su cosa accadrà in The Way of Water. Anche la realtà in effetti si ricorda di Avatar: a Orlando, Florida, esiste un pezzo di Pandora all’interno di un parco divertimenti (il Disney’s Animal Kingdom). In vista dell’uscita del film stanno entrando in azione una serie di forze che spingono in direzione della franchise-izzazione: un action adventure in prima persona, intitolato Avatar: Frontiers of Pandora, è in sviluppo da Ubisoft e uscirà su PlayStation 5, PC, Xbox Series X|S. In Italia è stata girata una parodia dal titolo Anatar (già uscita al cinema) in cui ai Na’vi si sostituiscono paperi colorati di blu che assomigliano per metà a Howard di Howard e il destino del mondo e per metà a Rapidino di La Storia Infinita 2. Nel frattempo, Disney sta concretizzando le idee di giovani impiegati di agenzie di comunicazione che si ritrovano nell’incredibile posizione di giocare a fare dio grazie ai turbo soldi delle multinazionali: qualcuno ha immaginato di illuminare Venezia di blu perché blu è il colore di Avatar e la cosa è successa davvero. Ancora: il primo trailer di Avatar 2 è stato visualizzato su YouTube 40 milioni di volte; il secondo 11 milioni. È tanto? È poco? Quello di Avengers: Endgame ha 153 milioni di visualizzazioni ma è sulla piattaforma da più tempo e lo è stato per tutto il periodo di programmazione del film nelle sale. Una versione rimasterizzata di Avatar è stata proiettata nei cinema a partire dal 23 settembre. Negli Stati Uniti è stato il terzo film più visto del weekend di apertura (in Italia invece il primo), un risultato incoraggiante per gli analisti perché arriva a 13 anni di distanza dalla prima proiezione. Altro aspetto interessante: secondo un sondaggio i 18-24enni, che avevano tra i 5 e gli 11 anni quando il primo film è uscito in sala, vogliono vedere The Way of Water. Non basterà. Per replicare il successo del prequel, Avatar 2 deve portare in sala non solo gli zoomer, ma semplicemente tutti. Sembra infatti sia costato così tanto (cifre ufficiali ancora non ce ne sono) che, solo per andare in pareggio, dovrà essere uno dei film più visti della storia del cinema. 

Qui sopra ho elencato i segnali positivi e le forze che lavorano a favore del successo di Avatar 2 perché i segnali negativi e le forze che invece remano contro sono stati ampiamente discussi e risultano in parte anche ovvi. Vorrei solo ricordare che Avatar 2 durerà 3 ore e 12 minuti, quindi a Cameron è stato chiesto (giustamente) quando, agli spettatori, convenga andare a fare pipì: ha risposto che non conta, tanto torneranno al cinema di nuovo. Ecco, Cameron crede o sembra credere tantissimo nel suo film. Nelle interviste si comporta come un entusiasta (lo è sicuramente), uno che sa il fatto suo (d’altra parte ha vinto una scommessa con Titanic e poi con ancora con Avatar), uno sprovveduto (forse è stato solo fortunato – due volte?), oppure un politico (che in campagna elettorale non ammetterà mai che è pronto a perdere le elezioni). Qualsiasi sia la verità, The Way of Water è in sala e noi ne misureremo presto il riscontro di pubblico e avremo almeno qualche elemento concreto di cui discutere. Nel frattempo, potrebbe essere utile spiegarsi il successo del primo film, quantomeno per provare ad assimilare assunzioni e non speculazioni, alla luce delle quali interpretare gli incassi del sequel (interpretare gli incassi è esattamente quello che faremo aggiornando questo articolo, quando i dati verranno divulgati, quindi ricordate di passare un’altra volta di qui, se vi va. n.d.a)

Il 18 dicembre 2009 Avatar è nei cinema di quasi tutto il mondo ma non in quelli italiani, dove arriva il 15 gennaio 2010 per la concomitanza nelle sale di Natale a Beverly Hills, con Christian De Sica e Michelle Hunziker, Io & Marilyn, diretto e interpretato da Leonardo Pieraccioni e A Christmas Carol di Robert Zemeckis, che tra l’altro avrebbe tenuta occupata una parte delle sale attrezzate per il 3-D. Nell’attesa, il tam tam parte dai giornali. Il 4 dicembre 2009 James Cameron racconta a La Repubblica quale esperienza meravigliosamente inedita sia assistere alla proiezione di Avatar in 3-D. Si verifica un allineamento di intenti comunicativi: il regista decide di puntare sull’aspetto tecnologico per convincere gli eventuali spettatori ad andare al cinema e La Repubblica considera la ventilata svolta tecnologica esattamente “la notizia”, cioè il concetto, tra gli altri presenti nell’intervista, da mettere in evidenza per titillare l’interesse dei lettori. Ne viene fuori un titolo dai toni rivoluzionari, l’enunciazione di un imminente cambiamento per la Settima Arte: “Cameron: Avatar è il futuro. Il cinema sarà salvato dal 3-D”. L’11 dicembre su La Repubblica compare un’altra intervista, questa volta a Sigourney Weaver (il volto più riconoscibile in un cast che comprende anche Sam Worthington, Zoe Saldaña, Michelle Rodriguez e Stephen Lang). Il titolo ha toni simili al precedente: Sigourney l’eroina: Avatar vi sorprenderà, è un’esperienza dei sensi. Nelle scuole di giornalismo si insegna che, piuttosto che raccontare la realtà, la cui complessità è inesauribile, i quotidiani veicolano la propria interpretazione della realtà. Tale interpretazione può avere carattere sistemico, per il fatto che il settore dei media, soprattutto dopo la diffusione di internet, è più integrato di quanto ci piacerebbe immaginare: capita così che, insieme alle notizie, si propaghi anche la loro interpretazione. Di conseguenza il frame narrativo si ritrova uguale all’interno di articoli scritti in tempi e su testate diverse. Il frame narrativo di Avatar diventa quello di una rivoluzione tecnologica al cinema ed è all’interno di questa cornice che lettori e spettatori fruiscono prima le anticipazioni su Avatar, poi le notizie sul suo imminente arrivo all’estero e in Italia, e infine quelle su un successo senza precedenti: è il 2009, il futuro del cinema è adesso e ciascuno di noi può prendere parte alla celebrazione di una nuova epoca cinematografica.

Avatar diventa “la favola hi-tech” in un articolo di Michele Serra, mentre alle voci preoccupate di alcuni protagonisti del cinema italiano («Film come Avatar uccidono gli attori e il nostro cinema», scrive Roberto Faenza) si aggiunge quella di Paolo Virzì, che, nel tentativo di rovesciarla, dimostra di aver assimilato la narrazione di Avatar da persone che hanno a loro volta assimilato la narrazione su Avatar: «Mi dicono – precisa ai giornalisti – che (Avatar, ndr) non è solo tecnologia». Nel 2009 Avatar quindi non è cinema, ma è più del cinema. In particolare, si può fare esperienza di quel gradino in più, di quel valore aggiunto, attraverso i sensi, con un atteggiamento passivo, cioè con il cervello spento (e questo è molto allettante). L’esperienza dei sensi è più trasversale di quella intellettuale, cioè meno dipendente da gusti e inclinazioni della persona: uno spettacolo visivo resta uno spettacolo visivo anche se, ad esempio, non vi piace la fantascienza. Nel 2009 lo streaming legale non esiste ma è molto diffusa la pratica di scaricare i film. C’è chi dice vada a vantaggio dell’industria cinematografica, alimentando l’interesse per i film e i registi. Comunque stiano le cose, per accedere all’esperienza di Avatar nella sua interezza è necessario pagare un biglietto dal costo maggiorato (perché la proiezione è in 3-D, la qual cosa sicuramente contribuisce ad aumentare l’incasso finale). Vedere Avatar sullo schermo di un laptop non garantisce la stessa «esperienza dei sensi» (cit.) della sala: così anche le centinaia di migliaia di spettatori che questo efficacissimo spot non è riuscito a redimere hanno un buon motivo per acquistare un ingresso al cinema dal costo compreso tra gli 8 e i 10 euro. Gli echi di futuro che emanavano dalle immagini di Avatar sono ancora ricordati in panel come questo così come la sensazione di star assistendo ed eventualmente partecipando a un evento che, per la prima volta, avviene tra le quattro pareti di una sala. Ma tredici anni sono tanti e il ricordo collettivo di quelle mitologiche proiezioni si è progressivamente affievolito. Cosa succede a ri-guardare oggi il film di Cameron? Altre esperienze visive (ad esempio la realtà virtuale) hanno, nel frattempo, alzato l’asticella delle nostre pretese quando si tratta dell’accuratezza e dell’immersività di mondi costruiti dall’immaginazione? Jamie Lauren Keiles confessa sul New York Times di aver visto Avatar solo di recente e descrive come appare il 3-D di Cameron a un occhio vergine al film, ma non, presumibilmente, ad altre esperienze visuali che sono divenute fruibili nei 13 anni che ci separano dal 2009: «Mentre Jake e Neytiri sfrecciavano nella foresta, gli effetti speciali mi hanno portato nel loro mondo. L’azione non si è presentata solo come un frame, ma mi ha legato al movimento sullo schermo, ai viticci delle piante e alle gocce d’acqua che cadevano, ognuna delle quali proveniva da una direzione diversa nello spazio. I corpi dei Na’vi sembravano avere una massa. Era difficile discernere cosa fosse reale o in CGI, il che mi ha portato a chiedermi: “Perché distinguere?” Questo, a sua volta, ha prodotto una contorta ondata di gioia alla prospettiva che l’uomo potesse diventare Dio».

Si potrebbe a questo punto immaginare che, per replicare il successo del primo film, Avatar 2 debba alimentare nello spettatore la stessa FOMO da rivoluzione tecnologica fruibile soltanto al cinema. Per il momento, l’underwater motion capture non sembra avere la stessa potenza evocativa dell’annunciata svolta in 3-D del capostipite della saga ed è quindi comprensibile che Cameron, in questi giorni onnipresente sui media per promuovere il sequel, abbia scelto argomentazioni differenti: «L’obiettivo – dice di Avatar 2 – è raccontare una storia estremamente avvincente che poggia su basi emotive. Direi che l’enfasi nel nuovo film è più sul personaggio, più sulla storia, più sulle relazioni, più sulle emozioni. Non abbiamo dedicato tanto tempo alle relazioni e alle emozioni nel primo film quanto nel secondo film, ed è un film più lungo perché ci sono più personaggi da servire. C’è più storia da servire». Quando Avatar uscì al cinema ero uno studente universitario al terzo anno e ricordo di aver ascoltato più volte, da persone differenti, questa critica: la storia di Avatar sembra quella di Pocahontas. In effetti la trama di Avatar ricorda quella di Pocahontas, certo, ma anche quella di Balla coi Lupi, L’ultimo dei Mohicani, Lawrence di Arabia. Trattandosi di giovani universitari, il riferimento a Pocahontas (un film con il quale la mia generazione è cresciuta) è magari risultato più ovvio, ma l’incontro-scontro di culture e la fascinazione di un protagonista per una cultura diversa da quella dalla quale proviene (in particolare, una cultura più spirituale e meno corrotta) è un archetipo capace di sopravvivere per decenni passando da racconto in racconto. Però non solo il clash culturale, ma anche i temi sviscerati dalla fantascienza in diversi decenni trovano una sintesi in Avatar. John Carter di Marte, di Edgar Rice Burroughs, che è l’autore anche di Tarzan, viene citato continuamente, a volte anche alla lettera, ad esempio nella scena in cui Jake viene braccato dai Na’vi a cavallo di animali simili ai nostri equini ma con un numero maggiore di arti. L’intera vicenda di John Carter, pubblicata 111 anni fa, ha a che fare con un soldato che finisce su Marte e subisce il fascino della popolazione locale, innamorandosi di un’aliena. Cameron ha poi esplicitato l’influenza che ha avuto su di lui 2001: Odissea nello Spazio, nella parte in cui l’umanità sperimenta un balzo nell’evoluzione dopo essere entrata in contatto con una forma di vita aliena. A ben pensarci, anche l’idea dell’avatar, cioè del corpo vuoto che diventa il contenitore della coscienza sviluppatasi in un altro corpo, era già presente nel capolavoro dell’animazione giapponese Ghost in The Shell. Nella prima sequenza, a Cameron bastano un’inquadratura e una frase per evocare la distopia cyberpunk che opprime la società umana nel futuro: quando Jake viene buttato fuori dal bar, intravediamo sullo sfondo i neon e i grattacieli che caratterizzano l’estetica di un preciso sotto genere della science fiction mentre già ci è stato detto, dalla voce fuori campo, che la tecnologia necessaria all’ex marine paraplegico per tornare a camminare esiste ma non è alla portata (economica) del protagonista. Questo mix di progresso e ineguale ripartizione delle sue conquiste  evoca un filone letterario che muove da Neuromante di William Gibson e un filone cinematografico che parte da Blade Runner ed è tornato più forte di prima negli ultimi anni grazie a un videogioco, un anime e il sequel del film di Scott, praticamente già asceso al ruolo di cult per la Generazione Zeta. Tagliando corto, Avatar non è soltanto Pocahontas, ma una miriade di altre opere facilmente riconoscibili le cui idee, spunti, situazioni, estetiche ritornano in una sceneggiatura con poche deviazioni rispetto a ciò che si trova scritto nei manuali di scrittura per il cinema. Il modo di raccontare una storia proprio di Avatar è lo stesso perfezionato dagli americani nei quarant’anni del cinema classico hollywoodiano (Venti-Sessanta). In questa struttura, tematiche a volte appannaggio degli appassionati hanno raggiunto un livello di accessibilità superiore, che non avevano mai avuto prima. Certo, lo spettatore scafato può restare interdetto dal senso di deja vù, ma forse Avatar guarda più chi va al cinema occasionalmente, al quale tenta di spiegare in maniera familiare e con efficacia provata un immaginario vagamente periferico. Insomma, il fatto che assomigli a Pocahontas, il generale livello medio della sceneggiatura e la superficialità dell’approccio alle fonti di ispirazione potrebbero aver rappresentato proprio le ragioni del successo di Avatar, che funziona anche sul piano della storia. E chissà se James Cameron tutto questo non lo abbia messo in conto da subito, immaginando che il target della sua opera-evento sarebbe dovuto essere… praticamente tutti.

Giuseppe Giordano
Giuseppe Giordano è un giornalista professionista. Si interessa di cinema, serie tv e videogiochi.
Segui Dude Mag, dai!
Dude Mag è un progetto promosso da Dude