Kevin Smith
USA – 2011
Quando vederlo: domenica
Orario: 02:00
Cosa mangiare: bicchierone di latte e orzo
Per una visione senza audio: Death in Vegas – Dirge
Il simpatico Silent Bob cerca sempre di sorprenderci reinventandosi ogni volta. Regista in primis, ma anche attore (o forse più maschera), fumettista e scrittore a tempo perso. Grazie a titoli come il fortunato Clerks, Generazione X, Dogma la sua carriera ha preso a suo modo il volo, cioè con la flemma e la discrezione di questo ragazzotto quarantenne del New Jersey. Il 23 gennaio 2011 al Sundance Film Festival propone nella casa di Robert Redford Red State, film erroneamente definito horror e che negli Stati Uniti viene distribuito direttamente per il mercato dell’home-video. Purtroppo il buon Kevin è stato vittima della stessa macchina promozionale che ha sviluppato una serie di aspettative di fatto tradite. Intendiamoci: il film è più che godibile, ma le tematiche affrontate non hanno nulla a che vedere con il paranormale come invece i soliti addetti stampa volevano far credere. Trattasi infatti di un thriller, di media violenza, infarcito di sparatorie infinite.
Ma andiamo più a fondo: sembra iniziare come un teen movie. Dei liceali spinti dall’ormone scovano in chat una donna della loro città disposta ad incontri erotici di gruppo. I poveretti trovatisi all’appuntamento con la donna misteriosa scoprono a loro spese che quella era una trappola ben architettata, cadendo così prigionieri di una setta radical-cristiana guidata dal pastore Abin Cooper, interpretato da Michael Parks vero mattatore del film, ed ispirato a Fred Phelp, fondatore della Chiesa Battista di Westboro, noto per le sue dichiarazioni d’odio contro gli omosessuali. La setta ingaggia una vera e propria guerra con un gruppo di agenti SWAT, incaricati di stanarli, agli ordini dell’agente speciale e corrotto Joseph Keenan. E qui ho fatto un balzo in avanti perché ad interpretarlo c’era quel faccione di John Goodman che non vedevo in giro da parecchio. Il film si guarda fino alla fine e rimane una delle produzioni più interessanti di Smith. I protagonisti muoiono, non c’è nessun eroe che lancia qualche bel sorriso in camera e ci sono almeno 20 minuti di violenza senza tregua che possono irritare lo stomaco, ma sono davvero ben fatti. Lo spiazzante finale sintetizza tutto il film. Surreale, ironico, profondamente tragico nel rendere reale la miseria umana. Forse la vera protagonista del film.