In questo listone curato da Filippo D’Asaro, Francesco Martino e Alice Oliveri e troverete il ricordo commosso dei due tormentoni politici del 2016, il referendum del 4 dicembre e le elezioni presidenziali statunitensi. Per finire, un piccolo extra dedicato ai nostri amici cinquantenni su FB.
Speciale referendum
Chi lo doveva dire che il 2016 ci avrebbe lasciato con un tormentone a tema costituzionale? Se il Regno Unito ha avuto lo scandalo della Brexit e gli Stati Uniti la vittoria di Trump, bisogna ammettere che anche noi siamo stati bravi ad inventarci un argomento di conversazione capace di dividere famiglie e amicizie. Ora, sorvolando sul fatto che solo una piccolissima minoranza di persone aveva capito effettivamente cosa stesse votando e le conseguenze che ciò avrebbe portato, il 4 dicembre 2016 e i giorni che lo hanno sia preceduto sia seguito sono stati ricchi di simboli che non svaniranno certo negli anni che ci aspettano. Insomma abbiamo anche noi il nostro capitoletto di storia che possiamo dire di aver vissuto in prima persona. Ma scendiamo nel dettaglio dei temi più gettonati.
Maria Elena Boschi — Sin dal suo esordio come Minstra delle Riforme Costituzionali e dei Rapporti col Parlamento, MEB è stata oggetto di attenzioni contrastanti: chi ha optato per una classica equazione tra bellezza e stupidità (o facilità di costumi, tanto da ipotizzare una liaison tra lei e Renzi), chi invece ha deciso di dedicarsi ad un culto idolatrico. In entrambi i casi, con diversi gradi di raffinatezza, l’obiettivo era quello di screditare il valore politico della Ministra. Durante il periodo del referendum queste tifoserie si sono prevedibilmente moltiplicate e l’effetto virale è stato inevitabile. Chi non si è trovato un meme di MEB in bacheca che sbatte le ciglia dei suoi occhi languidi per convincerti a votare sì?
Piero Pelù e le matite cancellabili — Se anni fa mi avessero detto che Piero Pelù, il cantante dei Litfiba, quel Piero Pelù, sarebbe stato in grado di scatenare una psicosi generale per aver denunciato la gigantesca truffa delle matite cancellabili, avrei stentato a crederci. E invece, Pie(T)ro Pelù, l’Incorruttibile, come chiamavano Robespierre (figura a lui molto vicina, del resto), ha saputo stupire tutti con la sua manifestazione di integrità, supportata anche dall’hashtag #Eutòpia, grido di libertà e ribellione nonché titolo del suo nuovo album. Bravo Pie(T)ro, ti sei ritagliato uno spazio nel mondo dei tormentoni 2016 con una buona causa, ovviamente dimenticata nel momento in cui ha vinto la tua parte.
Il maglione di Agnese — Agnese Landini, moglie di Renzi, è apparsa composta e moderatamente affettuosa nel momento in cui il marito ha annunciato le dimissioni da Presidente del Consiglio. Eppure, il suo atteggiamento sobrio non è bastato a preservarla dall’esigenza sociale di avere un untore su cui sfogare rabbia e moralismo attraverso Facebook. E così, quel fatidico maglione bianco a coste larghe da 700 euro è stato il suo biglietto definitivo per l’inferno (ci era già andata vicina con lo “scandalo” di essere stata assunta come insegnante di ruolo dopo solo 10 anni di precariato e per il solo fatto di avere un naso grosso), il simbolo della rivoluzione che brucia Maria Antonietta con la collana di diamanti addosso.
I monologhi di Alessandro Di Battista — Forte del sentimento che animava la sua lotta, Alessandro ha dato il meglio di sé durante questa campagna per il no. Probabilmente anche grazie all’uscita del suo romanzo capolavoro, che magari lo ha sbloccato definitivamente come artista, Di Battista è stato un fiume che scorre libero nel mondo della passione politica, nonché nuovo meme. I suoi discorsi sono diventati un po’ il simbolo di questi giorni di confusione, la sua dizione curata invece è la musica che ci accompagna nel ricordo di un referendum finito. Non dimenticheremo mai il suo urlo «Io voglio che i cittadini devono votare», che potremmo dire è ormai il marchio di fabbrica del giovane politico romano, oltre che tormentone. Grazie Ale. (Alice Oliveri)
Hillary & Donald
Il tormentone politico del 2016 sono state le elezioni negli Stati Uniti. Alla fine ha vinto Trump, con conseguente scompiglio della parte “buona” del mondo che sosteneva la Clinton “nonostante tutto”.
Ecco questo in realtà è stato il vero tormentone: la porzione di “umani pensosi”, di una certa cultura, con una posizione di potere e uno spiccato senso dell’umorismo ha scoperto che il mondo sta andando in una direzione completamente diversa da quella in cui stavano guardando. Vediamo quali sono state le fasi del meta-fenomeno liberal rispetto alla corsa Trump-Clinton.
Fase I, lo strano animalo — Trump si è presentato alle primarie Repubblicane completamente impreparato sia da un punto di vista tecnico (staff, spot) sia culturale. All’inizio viene considerato per quello che effettivamente è: un miliardario egocentrico e annoiato passato lì per caso. Si tiene a distanza dalle zuffe tra i suoi inetti competitor (Bush, Carson, Cruz, Rubio) per poi emergere definitivamente sulla distanza, quando il distacco dagli altri era già divenuto irrecuperabile. In questa fase, Trump viene visto dalla sinistra (ma non solo, va detto) come l’idiota funzionale. «Ci stiamo presentando con la Clinton che perderebbe anche contro la figlia di Obama, per fortuna dall’altra parte sono così scemi da aver preso il peggio del peggio», è la posizione più condivisa.
Fase II, Clinton operazione simpatia — Finite le primarie, Clinton deve affrontare il suo “problema di simpatia”. Ha sconfitto Sanders, vecchietto di spirito ma troppo di sinistra, capace di farla apparire ancora più robotica di quanto non fosse. La campagna — nonostante un logo e uno slogan piuttosto deboli — aveva l’obiettivo di umanizzare il personaggio-Clinton, e lì per lì a tutti è sembrata una marcia trionfale a fanfare spiegate: spot televisivi bellissimi, un plotone di star di varia estrazione a supportarla, la coolness infinita degli Obama e soprattutto dei discorsi di Michelle, endorsment di pagine Facebook e del 99 per cento di giornali e siti di news. Nel momento di massimo vantaggio stimato dai sondaggi sembrava fosse addirittura superato l’effetto “voto tappandomi il naso”. I sondaggi la davano avanti in stati storicamente repubblicani, si gridava all’ondata democratica, quella del progressismo contro la parolaccia e l’ignoranza (ci torneremo poi sui sondaggi).
C’erano ragioni legittime per credere a tutto questo e c’era soprattutto la grande mole di disastri della campagna di Donald: quasi nessuno spot televisivo, Melania che copia un vecchio discorso di Michelle alla convention, Donald che insulta la famiglia di un soldato morto, Repubblicani che non si presentano alla convention, tweet senza senso alle cinque di notte, inchieste sulle tasse non pagate dalle società di Trump, registrazioni di Trump che ammette di essere un maniaco sessuale. La campagna è un vero disastro e le teorie complottiste fanno il giro così lungo che finisco per dire che lo stesso Trump sta facendo di tutto per perdere: accellerazionismo dell’accellerazione.
Insomma il mondo liberal sembra aver sgretolato la minaccia mondiale dell’ignoranza e si appresta al mantenimento critico dello status quo.
Fase III, sconfitta-rimozione-analisi — Sono sicuro che per molti il 9 novembre sia stata una di quelle giornate lunghe, quasi infinite, in cui pensi che la tua vita sia cambiata radicalmente e invece fai comunque colazione con gli stessi biscotti del giorno prima. Trump ha vinto le elezioni e l’apocalisse del mondo liberal è iniziata.
I giornalisti e gli editorialisti sbigottititi cercano subito un colpevole facile: i sondaggisti. Come hanno fatto a sbagliare? Anche la scienza è diventata liberal e non capisce più le persone?
Ma poi soprattutto, chi è che ha osato votare l’ignoranza? Chi sono? Be’ chiaro, i bifolchi americani. Tutte questioni che nel giro di qualche mese si risolvono, quando per l’universo liberal vengono fuori dati incredibili:
- Anche gli ignoranti usano internet, e leggono cose diverse dal New York Times, una cosa veramente assurda.
- A molti non interessa che le cose dette siano vere o no.
- La crescita di movimenti politici non progressisti, come quello alt-right che ha supportato Trump, che sembrano l’unica creatura politica ancora possibile.
- Trump non è un genio, non aveva capito nulla neanche lui e sembra che non abbia idea di dove mettere le mani: nomina una squadra di scarti repubblicani ed ex fascisti usciti proprio da quell’universo di siti brutti, cattivi e mentirosi.
È stato tutto molto bello, e soprattutto siamo ancora vivi.
Tuttavia ci troviamo nel listone tormentoni, e non posso lasciarvi con quelli che nella mia piccola e trascurabile opinione sono i video dell’anno:
Cinquantenni su FB
Ogni mattina un 50enne apre il proprio profilo Facebook pronto a dare il “buongiornissimo” ad un suo coetaneo, una bella tazza di “kaffeeee” ed è subito pronto per la sua routine quotidiana: una partita a Candy Crush Sage per i più fantasiosi, una a Crime Case per gli amanti del giallo ed una caterva di amici da infastidire con i loro inviti. Dopo pranzo si condivide una citazione di Pertini, rigorosamente fasulla, per poi darsi alla medicina, oggi il cancro lo curiamo con il dentifricio, dai. Le loro bacheche sono più disordinate della camera da letto di un adolescente, le loro foto profilo rigorosamente sgranate e ritagliate male. L’unica fonte di informazione è un sito dal dominio .altervista.org, il resto è spazzatura. Che bella la vita del 50enne su Facebook, una bolla di sicurezza in cui condividere in santa pace “Le migliori frasi di Maurizio Crozza”. [Francesco Martino]