Mestiere: giostraio
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Mestiere: giostraio

Matteo, un mio amico del Salento, ha ventotto anni e fa questo mestiere da ventidue.

Quando arrivano le giostre è una festa per alcuni, i più piccoli, e una rogna per molti altri. Fanno notizia sui media solo quando succede qualcosa di terribile, come un incidente magari mortale, o quando sono accostati eventi criminali alla loro occasionale presenza nei paraggi. Sono considerati spesso degli “zingari” e sono guardati con un sospetto alimentato da luoghi comuni e vecchie storie. Matteo, un mio amico del Salento, ha ventotto anni e fa questo mestiere da ventidue. Ci vediamo al nostro bar di ritrovo del paese e davanti a un Quarta (caffè a cui sono affezionato), intuisco la sua voglia di comunicare e raccontare un punto di vista diverso, privo di filtri.
Ci sono delle regole non scritte, di rispetto. Non sono usate sempre, ma servono per un quieto vivere nel lavoro, dove ci sono molte rivalità per la concorrenza tra famiglie rivali. Quando si viene meno a queste regole non scritte, in automatico ci sono altri meccanismi che si mettono in moto.
Queste regole ci sono da sempre?
Facciamo questo mestiere da tre generazioni e queste regole ci sono sempre state.
Da quando è diventata un’arte vera e propria?
Dal dopoguerra. Mio nonno aveva le prime macchine da scontro in Puglia ed è stato uno dei primi giostrai del sud Italia. Dopo la Seconda guerra mondiale bisognava inventarsi un mestiere e lui si è buttato in questo campo. Aveva molte sorelle, alcune sposate nel Mantovano, dove ci sono le fabbriche delle giostre, ed è così che comincia la storia della mia famiglia. Alcune derivano da circensi che si sono staccati dal circo optando per un altro tipo di spettacolo viaggiante. A livello di leggi, però, siamo accomunati.
Tra di noi ci sono delle distinzioni, legate alle origini delle famiglie dei giostrai europei: i Sinti, hanno le giostre più costose e belle ma spesso si occupano anche di altre attività; i Dritti, che si occupano solo di questo lavoro e quelli che derivano dagli zingari gitani, nominati dalla Regina d’Inghilterra “cittadini del mondo” che non necessitano di un passaporto.


Come si può parlare di questione territoriale, visto che si tratta di un mestiere itinerante?
La licenza comunale che viene rilasciata dal Comune di residenza è valida su tutto il territorio nazionale. Poi entrano in gioco le regole di cui ti parlavo prima. Se io, per esempio, vengo a Roma dove so che c’è la famiglia dei Sinti De Carlo (nome di fantasia), non vado a pestargli i piedi. Se invece ho una giostra nuova che loro non hanno, prima di chiedere al Comune io chiedo prima a loro, e questo è una forma di rispetto nei confronti dei frequentatori abituali e degli organizzatori di quella “piazza”. Dopodiché presento la documentazione necessaria al Comune.
Noto che la famiglia ha un ruolo molto importante. È un mestiere che si tramanda?
In parte è così. Prima dovevi essere sposato da almeno cinque anni con uno/a del mestiere, o avere dieci anni di lavoro come capo operaio sotto un giostraio. Poi potevi fare la richiesta a Roma per ottenere la licenza. Oggi invece le licenze sono state liberalizzate. Chiunque può fare il giostraio.


Senza fare dei corsi?
Si, ed è questo che ha portato tanti problemi e tanti incidenti, che spesso riguardano nuove famiglie delle giostre che non c’entrano niente con la “cultura giostraia”. Nella manutenzione non hanno l’occhio che può avere il figlio di un giostraio, perché è un’arte che si tramanda. La tecnologia e la meccanica ti aiutano, ma se un cancello magari è aperto e il sensore non lo segnala, io giostraio metto un operaio per aprirlo e chiuderlo manualmente, perché so che rischi si corrono anche per uno stupido cancello. Per non parlare della non conoscenza delle regole non scritte, sempre loro, che creano disagi alle varie feste a cui partecipiamo, perché magari non tengono conto del rispetto e di tanti movimenti che per noi sono scontati.
Non sarebbe, quindi, il caso di istituire dei corsi di specializzazione per chi voglia prendere la licenza? Quelli per i circensi ci sono già… è una cosa fattibile?
Secondo me è impossibile. La legge dice che se compri una giostra devi fare un corso di perfetto montaggio della stessa presso la ditta che l’ha costruita, ma se compro una giostra usata o una costruita oltre oceano il corso chi me lo fa? A parte la tecnica, non potrebbero comunque insegnarmi a fare il giostraio.
E come ti poni verso i “divertimentifici”, come li ha chiamati Marc Augè, tipo i parchi a tema?
Non sono un problema, anche se alcune feste patronali nelle zone limitrofe possono risentirne. Il luna park itinerante invece fa parte di una tradizione di festa, e spesso si dice che se non c’è, non è una vera festa.

E il pubblico? C’è diffidenza?
Sono famiglie, nelle feste di paese, ma anche giovani, in quelle di città. Non c’è diffidenza nel far andare i bambini alle giostre, c’è diffidenza nel frequentare quelli delle giostre. Io ho passato una infanzia burrascosa per questo, persino la maestra mi chiamava “barbaro” e “zingaro”. La scuola si fa spesso in giro, come ci si spostava col caravan cambiava anche la classe e la comitiva, se riuscivi ad entrarci. In genere ero quello da non inserire nelle comitive, perché ero di passaggio, fuori dal loro mondo.
Però potevi suscitare interesse nei panni del viaggiatore.
Se si ragiona non con dei ragazzini allora forse si. Da piccolo è difficile, ma anche dopo relazionarsi non è semplicissimo. Io sono cresciuto spostandomi da un paese all’altro, è una cosa radicata in me come fosse una allergia ad una fissa dimora, i giostrai circensi dicono “una vita su ruota”. L’unica cosa limitante è che alcuni giostrai si ghettizzano, sposandosi solo tra giostrai per paura, forse, di non riuscire a fare a meno di questo stile di vita. Io ora ho una casa normale, ma tra una casa ed un caravan, io sceglierei quest’ultimo!
Come hai vissuto questo mestiere di famiglia? Oltre alla passione, hai sentito il peso della responsabilità?
Io ho iniziato a dare una mano a mio padre a sei anni, dopo la scuola. È una cosa che è entrata a far parte di me naturalmente. Da bambino avevo il coprifuoco prolungato, ed all’interno del luna park, quindi mi divertivo più io di tanti altri bambini. Ero anche invidiato perché andavo su tutte le giostre. Poi con l’aumentare dell’età sono aumentate le ore di lavoro, adesso è diventato un lavoro full time dove c’è anche tanta manutenzione. É entrata nel mio quotidiano tanto che il post lavoro con i colleghi, magari mangiando un panino accompagnato da una birra vicino al mare, è il momento che preferisco.
In quanto “nomade”, quanto hai viaggiato?
Abbastanza. Ricordo il viaggio in Arabia, in nave: ventotto giorni di navigazione, quarantasei giostrai con uan cinquantina di attrazioni al seguito. Avevamo messo su una cooperativa, ma lì senza uno sponsor arabo non lavori, quindi trovammo anche quello. Era il 1997 e ricordo che in alcuni paesini fummo le prime giostre ad arrivare, molti non sapevano neanche cosa fosse un luna park. Ho passato il primo mese a Salalah, nell’Oman, un posto circondato da 1400 km di deserto dove la gente ci ha accolto in maniera veramente amichevole e dove, a quanto pare, gli italiani avevano fatto tanto, in passato. Alla fine siamo rimasti un anno in giro, girando per fiere tra U.A.E., Arabia Saudita, Qatar e Oman! Il bello di questo lavoro itinerante è la gente che incontri e le culture con cui ti confronti, si impara tanto.
E lì, in una società diversa, hai avuto sentore di pregiudizi su di voi?
Lì no, anche se l’arabo è mercante dentro, quindi ha sempre interesse a mostrarsi amichevole. In Italia c’è l’idea dello zingaro, non del nomade. Lì è diverso, nel deserto l’essere nomadi è una cosa normale, culturale. Ora è dal 2003 che giro solo in Puglia, a parte qualche giretto in Grecia.
E la scelta di fermarti qui a casa, in Salento, da cosa è dipesa?
Per la mia famiglia è dipesa dal tipo di giostre che abbiamo. Non ho giostre che mi farebbero guadagnare molto all’estero adesso; ho giostre per bambini. Spostarsi poi ha un costo altissimo, le giostre sono assicurate, poi ci sono assicurazioni speciali che possono richiedere i Comuni, più le tasse sui permessi. Noi vogliamo essere sempre in regola, e questo costa. Abbiamo rispetto per le leggi, sono le leggi che non hanno rispetto per il nostro stile di vita.
Com’è fare un mestiere come il tuo oggi, alla tua età?
Un po’ particolare. Bisogna confrontarsi con tante realtà che prima non c’erano, il sindaco di Gallipoli, per esempio, ha dichiarato che non voleva le giostre in città. Lo scorso anno siamo riusciti ad avere i permessi per aprire, quest’anno non avevamo il politico che ci accompagnava a parlare col sindaco e senza spinta non abbiamo avuto l’autorizzazione. Ora su quello stesso terreno ritenuto non idoneo, c’è un circo con animali. Lui l’autorizzazione per lavorare ce l’ha, anche se le leggi per noi e loro sono le stesse, come avevo detto. Oggi ci sono queste problematiche, dal Comune all’ingegnere. Sul lungomare invece ci hanno fatto aprire, in attesa di autorizzazione. In genere ce la danno il primo settembre, passata la stagione estiva, specialmente se non succede nulla e non ci sono denunce. Il Comune non vuole prendersi nessuna responsabilità di cui invece dovrebbe farsi carico.
E a livello sociale come la vivi?
A parte i miei amici, in genere sono considerato straniero anche a casa mia. La mia famiglia è di questo paese da generazioni, eppure c’è ancora chi pensa che siamo “zingari”. Ma io sono tranquillo, ho un lavoro in tempo di crisi, e so che è una vita come un’altra. A parte gli orari particolari, è un lavoro. È il giudizio degli altri solo per il lavoro che faccio che mi può cambiare le cose.
Il futuro di questo lavoro come lo vedi?
Verranno perse molte tradizioni di sicuro, per il discorso delle nuove famiglie. Ci saranno quelli di categoria e quelli nuovi, i cosiddetti “gaggi”. Siamo sempre meno quelli di categoria a fare questo lavoro, per via della crisi, ma credo che per l’attrattiva insita nel luna park chiuderanno prima i circhi, ed una giostrina, magari anche piccola, in qualche festa ci sarà sempre.
Foto di Emiliano Picciolo.

Mattia Coluccia
Mattia è un “romano de Roma”, ma ha origini salentine che rivendica sempre. Essendo un classe 1985, si porta appresso tutti gli acronimi generazionali dagli anni 90 in su. Non contento della laurea, prende anche un master in Scienze del Turismo, convinto di fare della sua passione un mestiere. Si sbaglia.
Tutto nella sua vita ha doppi sensi e doppie valenze, convive con la duplicità delle cose. Scrive per delle riviste e fa un sacco di altre cose che gli pesa il culo elencare. Se fosse per lui, viaggiare è l’unica cosa che farebbe. Ama i libri, il mare, e le birre artigianali.
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