Assenza, ignoto, scoperta, silenzio.
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Assenza, ignoto, scoperta, silenzio.

[…] sospesa in quel campo minato da vuoti e pieni che è il nostro vissuto, un tessuto sbiadito, intensamente evocativo e un po’ magico.

Assenza, ignoto, scoperta, silenzio: quattro parole da cui far partire un itinerario tra alcuni dei lavori di Enrico Tealdi. La scelta di suggerire delle parole che funzionassero come insiemi tematici nasce dalla volontà di creare un percorso libero che non limitasse il campo visivo a uno, due, tre lavori dell’autore, ma che procedesse per libere associazioni, tentando di accostare organicamente lavori eterogenei la cui matrice comune è sospesa in quel campo minato da vuoti e pieni che è il nostro vissuto, un tessuto sbiadito, intensamente evocativo e un po’ magico.
Come la memoria, nella quale realtà vissuta e immaginazione si confondono a tal punto da dover sospendere ogni giudizio e lasciare che sia il caso a mettere ordine tra i nostri ricordi, creando tanti frammenti di Storia inedita, privata e collettiva, allo stesso tempo. Nei lavori di Tealdi ogni immagine ne è una parte. Ogni parte un’epifania e nelle sue figure solitarie appese ad un filo o stampate su un passaporto riconosciamo una familiarità che comincia e finisce in questo territorio comune che è il nostro Immaginario collettivo. (Alice Bendia)
1. Assenza.

Fermiamoci un momento—disse Bernard—prima di andar via. Ora che siamo rimasti soli, passeggiamo sulla terrazza lungo il fiume. È quasi ora di dormire. La gente è andata a casa. Com’è confortante ora osservare le luci che si accendono nelle stanze da letto dei piccoli bottegai sulla riva del fiume. Eccone una – un’altra. Quali saranno oggi i loro guadagni? Abbastanza da pagare l’affitto, la luce, il vitto e i vestiti per i figli? Appena appena. Ma che senso di sopportabilità della vita ci regalano le luci accese nelle stanze da letto dei bottegai? Viene il sabato, e forse c’è appena quel che basta per andare al cinema. Forse prima di spegnere la luce escono nel loro giardinetto e vanno a guardare il grosso coniglio sdraiato nella gabbia di legno. Lo mangeranno a pranzo domenica. Poi spengono la luce. Si addormentano. Per migliaia di persone il sonno non è che calore e silenzio e il divertimento di un attimo, grazie a un qualche fantastico sogno. “Ho spedito la lettera”, pensa il fruttivendolo, «al giornale della domenica. E se vincessi cinquecento sterline al totocalcio? Sì, ammazzeremo il coniglio. La vita è piacevole. La vita è bella. Ho spedito la lettera. Ammazzeremo il coniglio». E si addormenta.

Virginia Woolf, Le Onde, traduzione di Nadia Fusini, Giulio Einaudi editore.

Ignoto.

Ascolta più sovente
le cose che gli esseri.
La voce del fuoco si ode,
ascolta la voce dell’acqua
ascolta nel vento
il cespuglio in singhiozzi.
È il sospiro degli antenati.

Birago Diop, Sospiri, I racconti di amadou koumba, Patron, Bologna, 1979.


Silenzio.

«Anni e anni dopo la guerra, dopo i matrimoni, i figli, i divorzi, i libri, era venuto a Parigi con la moglie. Le aveva telefonato. Sono io. Lei l’aveva riconosciuto alla voce. Le aveva detto: volevo solo sentire la tua voce. Lei aveva detto, ciao, sono io. Era intimidito, aveva paura come prima, la voce improvvisamente gli tremava e in quel tremito, improvvisamente lei aveva ritrovato il suo accento cinese. Lui sapeva che lei aveva cominciato a scriver libri, l’aveva saputo dalla madre incontrata a Saigon. Sapeva anche del fratello piccolo, disse che ne aveva sofferto pensando a lei. E poi sembrava che non avesse altro da dire. Ma poi glielo aveva detto. Le aveva detto che era come prima, che l’amava ancora, che non avrebbe mai smesso d’amarla, che l’avrebbe amata fino alla fine».

Marguerite Duras, L’Amante, 1984.


Scoperta.



BIO: Enrico Tealdi è nato a Cuneo nel 1976.Vive e lavora tra Cuneo e Torino.
Il suo lavoro è stato descritto come una poesia che indaga sui temi della memoria, la solitudine e la perdita. Il passato e il presente si sovrappongono in riflessioni esistenziali. Ha partecipato a workshop in Italia e all’estero: presso la Fondazione Spinola-Banna, l’Accademia Albertina di Torino, Amfilohia (Grecia).
Nel 2005 è presente alla mostra Nuovi Arrivi e nel 2008 a Proposte XXIII. Ha esposto presso le gallerie: M-arte (Roma), Hommes Gallery (Rotterdam), Not Fair (Milano),41artecontemporanea (Torino) e spazi istituzionali: il Museo H.C.Andersen (Roma), il Centro Culturale Borges (Buenos Aires), nello spazio Arthouse Tacheles (Berlino), a la Casa Rosada (Buenos Aires), alla sede italiana Zerilli-Marimò (New York), la Casa delle Letterature, Roma.
www.enricotealdi.it

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