La contraddizione come linguaggio stabile
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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La contraddizione come linguaggio stabile

La contraddizione come linguaggio stabile
27.11.2011 MERCATI GENERALI @ CIRCOLO DEGLI ILLUMINATI
Mostra e mercatino dalle 12 alle 4.

L’iniziativa che si propone di presentare Andrea Polichetti all’interno di Mercati Generali, è una valida alternativa al semplice mercatino domenicale, utile un po’ per risvegliarsi dal torpore della domenica pomeriggio e un po’ per parlare di arte, che non guasta mai.
La mostra intitolata La contraddizione come linguaggio stabile si propone vari obiettivi, primo fra tutti quello di dare visibilità a giovani artisti emergenti, soprattutto romani. Presenti alla mostra infatti saranno sei giovani artisti che esporranno le loro opere attorno ad un tema, quello della contraddizione intesa come «processo di creazione del prodotto artistico, del suo soggetto e soprattutto del mezzo espressivo.».
Andrea Polichetti, che l’ha curata, ha scelto linguaggi basici, tecnicamente poco elaborati, come per dire partiamo dalle cose semplici ma non povere. Noi l’abbiamo incontrato in una vivace tavola rotonda alla presenza degli artisti nelle sale della galleria Monitor.
DUDE: Gli artisti esposti sono quasi tutti alla loro prima esposizione. Perché li hai scelti?
ANDREA POLICHETTI: Li ho scelti perché sono le persone più valide che ho incontrato in questo periodo. Ci siamo conosciuti tutti – a parte alcuni rapporti che durano da diverso tempo – in situazioni non propriamente legate al circuito artistico ufficiale, quali sono ad esempio le serate nei club.
Lavorando nel mondo delle gallerie, mi è sembrato ovvio creare delle connessioni tra i lavori delle diverse persone e altrettanto naturale è stato poi individuarne i punti in comune sul piano del linguaggio.
D: E come ha preso forma l’idea di realizzare una mostra sulla contraddizione?
A: Per quanto riguarda il tema sono partito dal fatto che ci fosse una contraddizione in seno al progetto stesso. Infatti tutti gli artisti che ne fanno parte sono molto giovani (siamo tutti tra i venti e i venticinque anni) e, nonostante il dilagare dei linguaggi più complessi dell’arte contemporanea, tutti loro hanno utilizzato dei linguaggi molto basici dall’illustrazione alla fotografia, alla scultura, alla pittura.
Un punto comune, rispetto alla riflessione sulla contraddizione, è che questa situazione non è qualcosa che esiste solo nei loro lavori, quelli che esponiamo, ma è parte del loro humus quotidiano di persone, della loro vita pubblica e privata. Parte dal presupposto che come generazione siamo privi di coordinate, noi che negli anni Novanta eravamo bambini, o i più grandi tra noi adolescenti, ci sentiamo senza alcun punto fermo.
D: Quindi la contraddizione è uno stato di fatto che porta in sé un’accezione negativa. Se nel passato, anche più recente, un movimento artistico proponeva qualche novità e invece oggi gli artisti partono dalla contraddizione significa che c’è qualcosa che non va.
A: Esattamente. Proprio per questo ho scelto il tema della contraddizione. Se arriva in modo forte, può essere un motivo per riflettere, la gente si fa delle domande. È anche un modo per cominciare, seppur in maniera ancora sperimentale, a far muovere qualcosa, a far uscire allo scoperto artisti nuovi, dargli modo di esprimersi. In questo senso la realtà romana è ancora arretrata, poco sensibile all’arte contemporanea e, forse, anche un po’ ineducata. Infatti devo dire che con molte probabilità due opere della mostra non potranno essere presenti a causa di alcuni problemi che abbiamo avuto con lo spazio che ci ospita.
D: Dunque la prima contraddizione è proprio la differenza tra il progetto iniziale della mostra e quello che la mostra effettivamente sarà…
A: Sì. Ad oggi infatti due delle opere molto probabilmente non potranno essere presenti: il lavoro di Domenico Romeo e quello di SBAGLIATO. Quello di Domenico è un lavoro site specific che implica un grande impegno non solo da parte di chi lo realizza, ma anche di chi lo ospita.
La mostra risulterà effettivamente impoverita. L’organizzazione della mostra, iniziata quasi un mese fa, ha da poco dovuto prendere atto di questa mancanza, ed è sicuramente una cosa che fa male. Da parte mia e degli artisti c’è un grosso impegno e come organizzazione vogliamo continuare a crescere anche cercando collaborazioni con altri spazi e realtà culturali.
Domenico Romeo

«Sarei dovuto essere presente alla mostra con un’illustrazione intitolata Casa.
L’idea è nata quest’estate mentre tornavo in Calabria, dove ho avuto i natali e trascorro le mie vacanze. È nata lì perché solo lì sento l’affetto della famiglia e la famiglia calabrese poi è una famiglia particolare, si preoccupa al massimo dei figli, è molto premurosa.
L’illustrazione vuole essere un abbraccio, è una cornice attorno ad una illustrazione molto infantile. La contraddizione di fondo è proprio questa: la cornice curatissima e molto elaborata, e il disegno di una semplice casa che potrebbe fare un bambino di quattro, cinque anni.
È un lavoro molto personale, che rappresenta anche una regressione nel tempo perché tornando alla famiglia c’è anche un ritorno dal presente al passato, alla mia camera, al mio giardino, alla mia infanzia.
Vuole essere un ritorno al passato attraverso l’oggi.»

Silvio Saccà
«Il mio lavoro è un dittico fotografico. Ho adoperato la fotografia in modo concettuale, utilizzando questo mezzo nella maniera più naturale possibile.
Le fotografie sono entrambe un ritratto di Andrea (
il curatore della mostra n.d.a.) che conosco come mio amico prima ancora che come gallerista. Ho ricercato la contraddizione tra il personaggio pubblico e quello privato e l’ho immortalato in due foto che lo ritraessero in una transizione emotiva, senza che lui ne fosse consapevole in quel momento e dunque ricercando la spontaneità prima di tutto.
Andrea, in questa veste duplice, è fotografato nel primo scatto in un momento di forte insicurezza personale e nell’altro, in veste di curatore della mostra, in un momento di grande soddisfazione, dovuta tra l’altro al primo evento dei
Mercati Generali, appena cinque giorni dopo il primo scatto, in cui è, contrariamente al precedente, felice.
La contraddizione è nella coesistenza di questi due aspetti e non ha note negative, in questo senso è un linguaggio stabile: per me questo dittico funziona così, senza che un elemento escluda l’altro.»

Alessandro Giannì

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