Manuale di sopravvivenza: Biennale Architettura 2016
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Manuale di sopravvivenza: Biennale Architettura 2016

Per scovare i tesori più preziosi di questa edizione c’è bisogno di prepararsi psicologicamente, ma soprattutto fisicamente. Per aiutarvi vi proponiamo un manuale di sopravvivenza, utile ad uscire fuori da quegli spazi senza il bisogno di chiamare d’urgenza il motoscafo dell’ambulanza.

Ogni anno, durante il mese di maggio, Venezia si tinge di nuovi colori: quelli dei visitatori provenienti da ogni parte del mondo pronti ad occupare gli spazi dell’Arsenale e dei Giardini per ammirare opere d’arte o modellini di progetti architettonici d’avanguardia.

Quest’anno, sotto la supervisione del curatore cileno Alejandro Aravena, si è inaugurata la quindicesima edizione della Biennale d’Archiettura dal titolo Reporting from the front; un’edizione che ha voluto dare ampio spazio a temi sociali come l’immigrazione, la situazione delle periferie, l’inquinamento e la sostenibilità.

Per scovare i tesori più preziosi di questa edizione c’è bisogno di prepararsi psicologicamente, ma soprattutto fisicamente. Per aiutarvi vi proponiamo un manuale di sopravvivenza, utile ad uscire fuori da quegli spazi senza il bisogno di chiamare d’urgenza il motoscafo dell’ambulanza.

 

Padiglione Ungheria

 

 

Una foto pubblicata da Andi Kacziba (@andikacziba) in data:

 

Non si è mai troppo preparati ad un’esperienza in Biennale. Se siete dei novellini, crederete di cavarvela in un paio d’ore, liberandovi il prima possibile per poi bere spritz a suon di critiche e consensi su ciò che avete appena osservato. Non sarà così, vi serviranno almeno 24 ore per concludere il giro (in modo anche abbastanza superficiale).

Mentre sarete lì a passeggiare tra i viali, la stanchezza comincerà a salire attraverso i muscoli delle vostre gambe che senza accorgervene hanno percorso più di qualche chilometro. Primo consiglio: procuratevi dell’acqua per idratarvi. I bar di certo non scarseggiano in Biennale, le file neanche. Il padiglione dell’Ungheria, posizionato all’interno dei Giardini, arriva in vostro soccorso. L’edificio con il suo tetto ben decorato non passerà inosservato. Al suo interno la mostra æctivators. Locally active architecture, un esperimento di riqualificazione urbana partecipata a costo zero, condotto da due giovani progettisti ungheresi nella piccola città di Eger. Senza committenze e con il solo consenso comunale, Gábor Fábián e Dénes Fajcsák hanno fatto diventare un edificio in città senza alcuna qualità architettonica e in condizioni decadenti, uno spazio di quartiere dove poter organizzare attività culturali e di riqualificazione del territorio.

 

 

Una foto pubblicata da andrea (@andreapergola) in data:

 

L’intero padiglione è stato trasformato in uno spazio accogliente con tanto di giardinetto interno (non accessibile, ahimè), dove approfondire la storia del progetto e di tutte le persone che a titolo gratuito hanno partecipato all’iniziativa con il loro lavoro. A conclusione della visita, nel corridoio che conduce verso l’uscita, prestate attenzione alla parete a destra: lì troverete delle bottigliette che faranno al caso vostro. Siete liberi di prenderne una (non fate gli ingordi) per riempirla ogni volta che ne avrete bisogno. Non gettarla mai è la clausola, e proprio all’ingresso è stata disposta una fontanella: il primo carico di acqua potrà avvenire lì.

 

Padiglione Australia

 

 

Una foto pubblicata da MGA+D (@mattgibsonad) in data:

 

A conclusione della prima clausola, non vi ci vorrà molto per affrontare la seconda, il padiglione dell’Australia non si trova troppo distante. Un edificio dal colore nero progettato da Denton Corker Marshal che sovrasta il canale Rio dei Giardini sarà la vostra prossima meta. Se vedrete tanta gente andare in quella direzione non stupitevi molto (specialmente se sarete lì nei mesi estivi), perché al suo interno c’è una bellissima piscina ad accesso libero. Non esageriamo, non pensate di potervi portare il costume, ma nessuno vi vieterà di mettere i piedi a bagno per un po’. I curatori, Aileen Sage architects, hanno voluto raccontare otto storie di australiani e il loro rapporto con l’acqua, storie che oscillano tra rivendicazioni sociali e riscatto indigeno. L’idea di progettare una piscina proprio all’interno del padiglione non è infatti solo una buona trovata per avvicinare i visitatori incentivandoli a pubblicare selfie sui social: il diritto ad un bagno refrigerante in strutture pubbliche per la popolazione indigena è uno dei tanti diritti conquistati lottando.

 

Padiglione Serbia

 

 

Una foto pubblicata da Alma Jacobson (@almajacobson) in data:

 

Ormai sarete in giro già da un po’ e questo significa che il vostro telefono sta chiedendo aiuto. Si sa che in occasioni del genere non bastano tutti i comunicati stampa da raccogliere in giro per conservare la memoria di questa visita: le foto sono d’obbligo e la batteria del telefono ne risente. Il consiglio: fate tappa al padiglione serbo, dove gli architetti Stefan Basic, Ana Sulk e Igor Sjeverac hanno curato la mostra Heroic free shipping, incentrata sulla lotta dei giovani architetti per entrare nel loro settore lavorativo. L’installazione è composta da rampe blu intenso che occupano il pavimento e pareti bianche che rappresentano metaforicamente il lavoro.

 

 

Una foto pubblicata da Dacian Groza (@daciangroza) in data:

 

All’interno di questo spazio sono state disposte alcune prese della corrente: appropriatevene per caricare il vostro telefono. Troverete qualche difficoltà nello stare in una posizione comoda, data la curva della rampa. Non allarmatevi: obiettivo della mostra è proprio quello di far provare in prima persona la difficoltà di lavorare nell’ambito dell’architettura.

 

Padiglione Austria

 

 

Una foto pubblicata da Manuel Blanco (@mblage) in data:

 

Se avete bisogno di una pausa per controllare le mail o se non riuscite a caricare i vostri video mentre gironzolate a Venezia tra gondolieri e turisti giapponesi, potrebbe esservi d’aiuto una connessione wi-fi, merce rara. Il padiglione dell’Austria potrebbe fare al caso vostro.

Places for People è il titolo della mostra scelto dalla commissaria Elke Delugan-Meissl insieme con il team di curatori Sabine Dreher e Christian Muhr di Liquid Frontiers, incentrata sull’adeguamento degli immobili inutilizzati per ospitare temporaneamente i richiedenti asilo. Non solo un progetto architettonico dunque, ma una presa di posizione importante.

L’ingresso del padiglione è spoglio — arricchito solamente da grandi stampe delle fotografie di Paul Kranzler sul tema; è possibile prenderle e collezionarle —, mentre nello spazio limitrofo al giardino del padiglione è stato creato un vero e proprio spazio di lavoro/accoglienza con wi-fi annesso. Non è difficile imbattersi in persone che ne hanno approfittato per qualche chiamata di lavoro su skype.

 

Padiglione Cina

 

 

Una foto pubblicata da Perspective (@perspective_mag) in data:

 

Scarseggiano un po’ in questa edizione progetti legati alla flora. In poche parole, pochissime piante sono protagoniste delle mostre. Ma una volta usciti dal padiglione Italia, alla punta dell’Arsenale, potrete notare nel giardino una costruzione in legno contornata da piante intente a crescere proprio in quello spazio. Non è la bella casetta del guardiano, ma il padiglione cinese dal titolo Daily Design, Daily Tao.

Il curatore Liang Jingyu, ispiratosi a Shelter, la bibbia dell’architettura organica autocostruita negli anni ’70 di Kahn e Easton, ha proposto una mostra incentrata sulla riscoperta della visione olistica del Tao della vita, cioè un ritorno agli elementi naturali della vita come unica possibilità di sopravvivenza per l’umanità. La costruzione in legno è un oasi per il riposo: il visitatore è pregato di liberarsi delle scarpe e sedere nello spazio arredato solo con qualche morbido cuscino per godere di un attimo di riposo. La luce entra in modo pacato all’interno della struttura, dettaglio che non fa che consigliare implicitamente di concedersi una piccola dormita prima di rimettersi in viaggio.

Elena Fortunati
Nasce in un paesino della provincia romana nel 1988. Laureata alla magistrale in Storia dell'Arte contemporanea all'Università di Roma La Sapienza, ha collaborato con Collater.al, Dude Mag, Vice e Inside Art. Sotto lo pseudonimo aupres de toi, lascia dal 2011 nel web immagini fotografiche. Fonda nel 2016 contemporary.rome.
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