Al centro di una delle piazze più celebri della capitale italiana c’è, dal 1629, prima ancora che la scalinata di Trinità di Monti venisse progettata, una barca. Nel 1627 papa Urbano VIII incaricò Pietro Bernini di realizzare una fontana nella piazza sottostante la Chiesa della santissima Trinità dei Monti, attraversata dal grande acquedotto dell’Acqua Vergine di Roma. A causa della bassa pressione dell’acqua, l’opera fu concepita a forma di barca semi-sommersa in una vasca ovale leggermente sotto il manto stradale. La prua e la poppa, di eguale forma, furono realizzate molto più rialzate rispetto ai bordi laterali e sei getti permettevano la fuoriuscita dell’acqua all’interno del bacino. Per la prima volta una fontana fu concepita come opera scultorea, abbandonando le concezioni più canoniche delle vasche a forma geometrica.
Lo scorso 19 febbraio, la barcaccia, così soprannominata dalla tradizione romana, è stata aggredita da chi era all’oscuro di tutto questo. Alcuni hooligans olandesi, tifosi del Feyenoord Rotterdam, arrivati in città per via dello scontro calcistico di Europa League contro la Roma, si sono riversati nel centro della città portando lo scontro fino all’opera del Bernini. Le foto e i video sono state diffuse tramite ogni giornale e ogni social network. Entrare nei tristi dettagli di questo evento non aggiungerebbe molto a questo articolo. Basti dire che i danni recati a quel marmo secolare saranno permanenti.
Quello che c’è da aggiungere è che non è stato il primo attacco alla barcaccia. Il 15 maggio 2007 quattro extracomunitari ubriachi e armati di cacciavite, nella notte, dopo balli e festeggiamenti nell’acqua dell’antica fontana, hanno inferto all’opera una ferita che ha portato al distacco di una porzione dello stemma papale.
In entrambi gli incidenti, pur essendo condivisa la provenienza straniera, il comun denominatore sembra essere un altro e questo non bisogna dimenticarlo: l’animo folle e vandalico che porta gli individui a non ragionare sensatamente indipendentemente dalle proprie origini.
Sfortunatamente, guardandoci indietro, sembra stretto il rapporto tra vandalismo e arte. Quest’ultima, emblema di libertà, troppo spesso diviene oggetto di atti barbari da parte di chi nella vita non ha mai sentito quella frase: «la libertà finisce dove inizia quella degli altri». E partendo appunto da questa concezione di libertà, torniamo al 7 febbraio 2013.
Al Louvre-Lens, succursale al nord della Francia del famoso museo parigino, dopo due mesi dall’inaugurazione del luogo, una donna di 28 anni ha tracciato con un evidenziatore sulla parte inferiore dello storico dipinto di Eugène Delacroix, La Liberté guidant le Peuple, una sigla: AE911. Tralasciando l’aneddoto riguardo questa sigla legata a un sito internet sul complotto dell’11 settembre, ricordiamo che la donna è stata prontamente bloccata da un agente di sorveglianza e da uno stesso visitatore del museo. Il Louvre il giorno seguente ha dichiarato che l’opera non era stata intaccata, la donna è stata subito posta in stato di fermo e sottoposta a perizia psichiatrica.
Qualche disavventura l’ha passata anche un lavoro di Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, The night watch, un immenso olio su tela di 3,63×4,37 metri datato 1642, conservato ora nel Rijksmuseum di Amsterdam. Siamo nel 1915 quando avviene il primo attacco: un calzolaio disoccupato danneggia lievemente la tela graffiandola. Nel 1975 l’assalto si fa più grave: un uomo provvisto di coltello, provoca 13 tagli sulla tela. Infine nel 1990, un olandese getta dell’acido solforico sull’opera d’arte. Dopo il duro lavoro dei restauratori, il quadro è tornato nella sua casa ma custodito in una teca di vetro infrangibile e a prova di proiettile.
Approdando in Inghilterra i casi di atti incivili nei confronti delle opere d’arte sembrano ancora più folli. Il 3 Aprile 1978 a Londra, nella National Gallery, un disoccupato italiano, Salvatori Borzi, danneggia con un coltello il quadro del pittore francese Nicolas Poussin, L’adorazione del vitello d’oro. Dieci anni dopo, sempre all’interno della National Gallery, un tale Robert Cambridge, riuscì addirittura a sparare alcuni colpi di pistola contro un disegno di Leonardo Da Vinci. Forse il sistema di sorveglianza del Museo Egizio del Cairo, dove ogni visitatore prima di entrare viene sottoposto a una perquisizione da cima a fondo sembra esagerato, ma di certo un metal-detector avrebbe sabotato certe azioni deliranti.
La maggior parte dei musei vittime di tali azioni folli hanno adeguato nel tempo i propri metodi di sicurezza per proteggere l’arte da atti imprevedibili come questi elencati. La psichiatria ha cercato più volte di comprendere a fondo i meccanismi patologici che portano alcuni individui a dimostrare aggressività nei confronti delle opere d’arte, ma questi studi difficilmente riusciranno ad arginare questi gesti violenti e gratuiti.
Tutto ciò che si può fare è aumentare la vigilanza e intensificare i metodi di sicurezza. E se questo risulta ovviamente più facile nei musei, grazie alle quattro mura e a un buon impianto di video-sorveglianza, in una città come Roma non si può tralasciare nei luoghi aperti e artistici con più intenso traffico di turisti e cittadini. Non che l’arte debba rinunciare alla sua libertà con la presenza assidua di pistole e manganelli, tuttavia è opportuna una maggiore tutela della ricchezza culturale con una sorveglianza poco invadente.
I metodi attuati per salvaguardare il patrimonio artistico italiano non destano però alcuna perplessità in un paese dove viene accettato un atto vandalico quale è quello della scarsa manutenzione agli edifici storico artistici. E se il 19 febbraio alcuni tifosi olandesi hanno deturpato la barcaccia del Bernini, ricordiamo che il 4 febbraio 2015 dei folli italiani hanno permesso la caduta di un muro di Pompei.