Studiare la moda, intervista ad Alessandro Saggioro
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Studiare la moda, intervista ad Alessandro Saggioro

Di come gli studenti vedono il mondo della moda e di quello che può offrire un master.

La moda è ovunque: in tv, internet, sui social media, in strada, sulle fiancate degli autobus. E il sogno di entrarne a far parte, di non essere dei semplici consumatori, ci possiede tutti. Ma è un sogno realizzabile, anche se non ci chiamiamo Kanye West?

Secondo il report 2015 del Business of Fashion, autorità indiscussa del settore, esiste un forte squilibrio tra l’offerta di neolaureati in Fashion Studies e la capacità di assorbimento del mercato: “The Project Runaway Effect”, come è stato soprannominato dagli esperti, spiega la tendenza dei giovani a cercare lavoro principalmente come designer snobbando tutta una serie di professioni strutturali indispensabili e ricercate. Amministrazione, vendita, merchandising, branding, comunicazione, organizzazione eventi, giornalismo sono solo alcuni dei settori produttivi nei quali è possibile trovare spazio e per i quali è necessaria un’istruzione superiore mirata. In Italia ci sono diversi istituti privati, dalle rette d’accesso molto elevate, che offrono questa formazione: il Polimoda di Firenze diretto da Ferruccio Ferragamo, a Milano l’Istituto Marangoni, lo Ied di Roma. Ma non solo.

Noi siamo andati a cercare chi si propone di fare la stessa operazione nell’università pubblica e a costi contenuti e abbiamo incontrato Alessandro Saggioro, Direttore del Master in Fashion Studies della Sapienza.

 

Qual è l’offerta formativa de “La Sapienza” per quanto riguarda il mondo della moda?

Ad una laurea triennale e a una magistrale, abbiamo deciso di aggiungere un master qualche anno fa, un corso di un anno con aspetti organizzativi più semplificati rispetto a una laurea 3+2 classica che ha una durata, una regolamentazione e dei vincoli molto forti. Il master ci dà la possibilità di sperimentare molto, l’obiettivo era quello di trovare un pacchetto di ore di lezione che potessero interessare i nostri studenti su fronti che non toccavamo abbastanza nei corsi triennale e magistrale, dandoci anche una connotazione specifica in quanto facoltà di lettere e filosofia, pur con mille collaborazioni a sociologia, architettura, economia. Dopodiché abbiamo individuato il segmento della comunicazione e della cultura come parti fondamentali e quindi storia della moda, fashion theory, comunicazione in senso ampio (dal giornalismo all’archivistica, dal marketing e branding tradizionale e on-line all’ufficio stampa). È un master che con 400 ore di didattica cerca di dare tantissimo e al tempo stesso offre molto dal punto di vista dei progetti, cercando di ‘fare’ in termini pragmatici. Le spiego: i corsi triennali e magistrali sono vagliati, proposti e concordati con il Ministero dell’istruzione con largo anticipo – forse troppo –, secondo delle regole poi trasmesse a tutti gli atenei italiani. Il sistema è ovviamente istituzionalizzato e regolamentato in modo che ci sia poco margine di intervento: devono esserci moduli d’insegnamento con professori che abbiano titoli determinati. Se, ad esempio, volessi invitare a fare una lezione Roberto Capucci, per altro laureato ad honoris causa in Architettura a La Sapienza, a fare una lezione, posso farlo, ma sarebbe diverso se gli chiedessi di tenere un intero corso in università. Tutto è regolamentato con largo anticipo per cui sarebbe complicato anche solo pensare di chiedere a un professionista di programmare un intervento di qui a due o tre anni. Il master, invece, ha una forma più snella e meno vincoli burocratici forti. In più dà l’opportunità di invitare delle professionalità esterne che insegnino tecnicamente ciò che i professori insegnano solo teoricamente.

Leggendo l’offerta formativa si ha l’impressione che la concretezza abbia un’importanza focale. Il pragmatismo è un aspetto pregevole soprattutto in relazione all’ambiente in cui nasce: l’università italiana, da sempre piuttosto carente sotto questo aspetto.

È assolutamente vero e in parte il master (le iscrizioni scadono il 26 febbraio, ndr) nasce anche per rispondere a questa esigenza. A La Sapienza abbiamo una triennale con circa 300 iscritti; in quest’ambito cercare di organizzare il lavoro in piccoli gruppi, magari seguendo dei progetti, è quasi impossibile. Per un pubblico numeroso abbiamo comunque inventato formule interessanti come i laboratori, che permettono al corso di laurea di mettersi in contatto con il mondo della moda, invitando dei professionisti in ateneo. Da quando mi occupo dell’organizzazione, e quindi nell’arco degli ultimi quattro anni, abbiamo ospitato alcuni dei principali nomi della moda con varie tipologie di sfaccettature: l’amministratore delegato, il presidente, lo stilista, il responsabile di risorse umane. Tutte figure professionali che raccontano e svelano agli studenti le varie angolazioni del sistema. Inoltre i corsi triennali e magistrali prevedono degli stage e tuttavia non c’è una disponibilità, un mercato che assorba duecento o duecentocinquanta unità in un colpo solo. Il master è stato appunto studiato per addentrarsi in questo aspetto dell’universo moda con l’impegno a seguire i singoli casi. È un lavoro complesso e sono molto schietto: non è sempre possibile riuscire a collocare un ragazzo nell’azienda presso cui vuole fare esperienza, ma ci proviamo sempre e ci proveremo anche quest’anno, cerchiamo di offrire il meglio e di premiare le passioni e le qualità dei migliori: le dieci borse di studio che mettiamo a disposizione sono un messaggio chiaro.

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Cosa chiedono le aziende agli studenti che intendono intraprendere uno stage?

Quello che i nostri partner richiedono di default è la conoscenza della lingua inglese, senza la quale non si può pensare di andar molto avanti. Poi adattabilità, disponibilità ad avere orari anomali o a svolgere mansioni in zone diverse della città, a lavorare a tutti gli effetti, insomma. Spesso lo studente non è pronto per il mondo del lavoro per via di un’impreparazione che è emotiva ma anche culturale. Ricordo una studentessa in stage presso una rivista che si lamentò degli orari improbabili a cui era chiamata nei giorni degli shooting. Le suggerii subito di pensare che in alcuni momenti della giornata c’è una luce naturale difficilmente simulabile e che quindi ciò che lei riteneva improponibile era condicio sine qua non. Se voglio imparare un lavoro e il fotografo che seguo vuole la luce delle cinque del mattino, non posso obiettare molto ma fare uno sforzo di volontà. Personalmente non ho mai partecipato a uno shooting ma questo è il tipico caso in cui è necessaria una minima predisposizione all’impegno. Allo stesso tempo però abbiamo avuto anche persone che si sono spaccate la schiena per fare uno stage valido e formativo, maturando dei risultati grazie ai quali hanno poi trovato lavoro.

Avete uno strumento che monitori il percorso degli studenti che hanno partecipato al master negli anni passati?

Gli studenti del master non sono tanti, quindi li monitoriamo direttamente. So esattamente cosa stanno facendo, loro mi mandano messaggi, mi raccontano delle loro difficoltà in un rapporto che resta one to one anche dopo la laurea. Abbiamo iniziato ad intervistare gli ex studenti del master per dare una visibilità ai loro percorsi e fornire una testimonianza di quanto fatto insieme e di come abbiano proceduto.

Mi fa qualche esempio di stage promosso dal master in Fashion Studies?

Abbiamo partenariati con AltaRoma, Fondazione Ferrè, con Isko che è una multinazionale del denim con la quale portiamo avanti un progetto molto importante di marketing. Abbiamo un accordo con il Maxxi | Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma e lavoriamo costantemente per aprirci nuove strade.

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Nella foto Matteo Marzotto e Fabiana Giacomotti per la serie “Incontri con i professionisti” de La Sapienza

 

L’ Italia è un panorama complesso di tante e diversificate realtà legate al mondo della moda: ci sono i grandi poli come Milano, Firenze e Roma, e ci sono poi gli indotti manifatturieri dislocati lungo la Penisola. Com’è – se lo fate – fare rete con le realtà della moda italiana?

L’intenzione di lavorare con i distretti della moda c’è ed è forte, sarebbe interessante avere contatti diretti con tutte le piccole e medie realtà produttive. Brunello Cucinelli, per esempio, è venuto a trovarci in due occasioni e ogni volta che lo invitiamo è ben felice di incontrare gli studenti. Io stesso sono stato invitato a Solomeo, che è una bellissima realtà in cui alcuni studenti de La Sapienza hanno svolto lo stage e ricerche finalizzate alle tesi sulla “Scuola dei mestieri” del borgo umbro e sull’aspetto biografico del suo fondatore. Uno dei motivi per cui abbiamo pensato che il master avrebbe potuto funzionare era proprio legato al lavoro, al contatto con i distretti piccoli, magari non particolarmente accattivanti sul piano della comunicazione. Ci sono tantissime aziende anche qui nel Lazio, nel frusinate per esempio, le quali producono e non comunicano affatto all’esterno. Collaborare con piccole aziende del tessuto italiano che non in grado di promuoversi o di creare delle belle vetrine del proprio lavoro, sarebbe una bella sfida per i ragazzi interessati alla comunicazione d’impresa. Purtroppo non abbiamo avuto molti studenti che ci abbiano chiesto di andare in distretti particolari. Quasi tutti desiderano andare a Milano, puntare sulle grandi aziende, nelle quali è davvero difficile che possano crearsi i presupposti per lavori a lungo termine. Vorremmo far passare l’idea che è più formativo andare in una piccola azienda in cui lo spazio c’è proprio perché lo si crea da zero, in virtù della capacità di costruire una comunicazione partendo dalle basi, come un sito internet (che molte aziende ancora non hanno). Qui a La Sapienza siamo convinti che passare da un’azienda che non comunica a un’azienda che comunica almeno un po’ crei fatturato. E se crea fatturato può produrre un lavoro. Crediamo molto anche nell’artigianato locale come quello romano. Abbiamo parlato con la CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) del potenziale di approfondimento della capacità comunicativa dei piccoli imprenditori e quindi di creazione di spazi di lavoro reale.

Ancora la progettualità.

Sì, assolutamente. Ci teniamo e la applichiamo in vari modi. Lo testimonia bene anche il nostro nuovo sito, coordinato da Fabiana Giacomotti, la cui firma per noi è garanzia. Oltre alle interviste agli ex alunni, proponiamo anche Modus, il progetto finale di magazine nato nel modulo in cui si è simulato il modello redazionale tipico delle riviste di settore.

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La simulazione tuttavia non è la realtà e i ragazzi hanno sempre più consapevolezza di quanto sia importante affiancare il lavoro allo studio. Questo master come riesce a traghettare i ragazzi nel mondo del lavoro reale?

Noi siamo formatori e non consulenti organizzativi o esperti di risorse umane. Cercare stage non è la vocazione dell’università ed è per questo che abbiamo stretto un accordo con Articolo1, una società di lavoro interinale, che da quest’anno ci aiuterà nel placement, nel contattare altre aziende, oltre ai partner con cui abbiamo già stage definiti e concordati, reiterabili. Poi all’interno delle ore curriculari porterà avanti un modulo di lezioni molto efficaci su come compilare il curriculum, come presentarsi e come interagire in un colloquio di lavoro, evitando gli errori più comuni. È una sorta di insegnamento all’autopromozione. Il lavoro che fanno è davvero importantissimo, perché spesso un ragazzo parte da presupposti he hanno poco a che fare con le sue competenze e potenzialità. E infatti nei colloqui di entrata nel master molti hanno le idee vaghe: vorrebbero tutti fare gli stilisti o i blogger, pochi hanno una visione completa dell’universo dei lavori della moda.

Per chiudere, un esempio virtuoso di quanto può offrire il Master.

Le racconto una realtà. Quando nella seconda edizione abbiamo iniziato a collaborare con Isko, questa multinazionale era attiva in collaborazioni con diverse università del mondo e ci ha proposto un progetto di marketing legato alla comunicazione di un prodotto in denim ecologico. In quel momento abbiamo dovuto rafforzare la componente di branding e di marketing dall’interno del master, aggiungere delle ore affinché gli studenti lavorassero su questo progetto, fornire ulteriori elementi di merceologia e di comunicazione. In più – e qui si vede come il master sia efficace per il resto del sistema – ogni singolo studente ha reclutato altri due studenti provenienti dall’intero sistema moda de La Sapienza e ha creato un piccolo team, selezionando i curricula degli interessati e valutando le competenze necessarie al loro lavoro. In questo modo i ragazzi si sono trovati a fare una piccola attività imprenditoriale, manageriale, di valutazione dei profili per cui era necessario da un lato a studiare meglio la teoria, dall’altro rafforzare nella pratica le nozioni. Credo sia stato molto formativo per loro e decisamente gratificante per noi insegnanti. In più Isko ha premiato con una borsa di studio e uno stage retribuito all’estero i primi due progetti.

Maria Elena Di Vincenzo
È nata a Campobasso, a voler dimostrare che il Molise esiste. Si è laureata a Bologna con una tesi su Pasolini e la Scuola di Francoforte. Legge Marx, ama il Giappone e François Truffaut, adora il vintage e le chincaglierie. Scrive di moda e arte.
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