ZERO | BELLAGENTE 2016
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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ZERO | BELLAGENTE 2016

Gli Zero, quelli di #CoglioneNo, sono gli stessi che hanno lavorato a numerosi altri progetti; gli stessi che con progetti dal successo meno travolgente stanno costruendo una carriera ugualmente fortunata (se non di più); gli stessi che incontro il giorno in cui gireranno un video senza essere pagati. Nessun allarme: è un video a scopo […]

Gli Zero, quelli di #CoglioneNo, sono gli stessi che hanno lavorato a numerosi altri progetti; gli stessi che con progetti dal successo meno travolgente stanno costruendo una carriera ugualmente fortunata (se non di più); gli stessi che incontro il giorno in cui gireranno un video senza essere pagati. Nessun allarme: è un video a scopo di beneficienza e lo fanno volentieri. Il problema, ci spiegheranno in seguito, è quando la mancanza di retribuzione diventa la regola e smette persino di risultare un’assurdità.

zero

L’occasione di conoscerli sul set è imperdibile, soprattutto per chi si è messo sulle loro tracce da qualche tempo, ha esplorato le loro web series e ha letto il loro libro Forse cercavi (Mondadori). Sono stanchi: è un lavoro che alle volte impone di svegliarsi alle cinque del mattino per portare a casa le riprese di un cortometraggio. Non a me, comunque, e infatti arrivo alle ultime scene. Niccolò Falsetti, Alessandro Grespan e Stefano De Marco lavorano insieme da un pezzo e l’armonia si vede: il corto è pronto nel pomeriggio tardo, quando c’è ancora la luce e ciascuno non vede l’ora di tornarsene a casa. Funziona così quando lavori, e il salario è quasi un contentino rispetto al dispendio di energie fisiche e mentali che ogni giorno pesa come un fardello. Figuriamoci poi se spesso il salario non perviene. Benvenuti nel nostro settore, quello culturale, dove noi conviviamo con gli ZERO e ci comprendiamo reciprocamente con facilità.

Cosa sono gli ZERO? Film-makers? Videomakers? Grafici? Scrittori? Registi? Sceneggiatori? Creativi? Pubblicitari? Una forma di espressione polivalente che rende piuttosto difficile spiegare alla propria nonna quale sia la propria attività principale. La scelta cade sul mestiere che riesce a contenere tutto questo, ovvero quello di autori: «Abbiamo una storia, decidiamo come vogliamo raccontarla e procediamo in quel modo». Inadeguato chiudersi dietro una classificazione più settoriali. Capita che un’idea originaria diventi un libro, una grafica, un’installazione, un video, o addirittura una campagna di comunicazione di un brand. La comunicazione del Lago Film Festival, curata interamente dal collettivo ZERO, è diventata un mockumentary. Quando hai un budget scarso e il tempo stringe, non c’è tempo di litigare. È il caso dell’esperienza del Lago Film Festival a Revine, dove dormire nella stessa stanza, avere gli stessi ritmi di vita ed essere a contatto fisso 24 ore su 24 (e non per vacanza, ma per lavoro) non sono sufficienti a scatenare discussioni. È lì che si riconosce se le cose funzionano:  «avevi uno spunto da cui hai tratto una storia e una forma di linguaggio per raccontarla. Pur non essendo un lavoro commissionato e a prescindere dalla visibilità, è un lavoro completo».

I ragazzi provengono da tre parti diverse dell’Italia. Il primo incontro avviene a La Sapienza, il consolidamento avviene successivamente dopo varie esperienze all’estero – non a caso Erasmus 24_7 è il primo lavoro, realizzato con un crowdfounding, che consacra il trio. Rintracciano la loro linea comune in quello che può chiamarsi “cool storytelling”. Niccolò continua tuttora a voler fare il regista, per non dover dire, agli aperitivi, di fare l’impiegato o l’operaio – i lavori normali non sono cool, a proposito. Alessandro lavorava in un ufficio di marketing, ma ha mollato tutto per fare lo stagista. C’era un progetto di trasferimento, in una meta da scegliere fra Berlino, Londra e Milano, ma alla fine ha prevalso Roma. Dopo #CoglioneNo, soprattutto.

#CoglioneNo è l’insieme di sketch dedicato al sentitissimo problema del lavoro non retribuito, che affligge chiunque si affacci, fra i 20 e i 35 anni, nel mondo del lavoro. Questo uovo di Colombo ha dato agli ZERO una notorietà nettamente maggiore, come loro stessi riconoscono anche se malvolentieri – c’è dell’altro nella loro carriera, è giusto che si sappia. Non apertamente schierati contro la cosiddetta gavetta, o quei pochi lavori gratuiti svolti a inizio carriera: «È un mercato devastante perché induce a una forma di prostituzione e, peggio ancora, rende ricattabili. Saper dire di no è un anticorpo. La fase del no è dolorosa è necessaria». #CoglioneNo è un turning point nella carriera degli ZERO, non solo in termini freddamente statistici di attenzione catturata, ma anche perché comprova il trio come team fisso piuttosto che come aggregazione di singole intelligenze.

Il protagonista di #CoglioneNo è Luca di Giovanni, che è protagonista anche di Ammazzati – la web serie dedicata al suicidio strutturata come un programma di cucina. Dicono di lui: «È il nostro feticcio, la garanzia della riuscita di un nostro lavoro». Era un amico già da prima, e al contempo un bravo attore. Un 2 + 2 che dà vita a un duraturo sodalizio artistico. E continuano: «Un mostro inumano, un pezzo di pongo, fa tutto! Basta che gli dai abbastanza lavoro per affinare i dettagli e diventa tutto credibile». Senza nulla togliere a Alessandro Grespan nei panni di se stesso in Lo Staggista.

Ammazzati era, in verità, la web serie di promozione del libro, una proposta editoriale di Mondadori, che in cerca di un instant book subito dopo #CoglioneNo, lascia carta bianca agli autori e spera di vendere copie ai follower. La lettura del mondo, anche in forma libro, rimane la stessa, condivisa da tutti e tre nonostante le divergenze espressive. Promozione web e libro coincidono nella soluzione individuata: ammazzarsi. Ma parlandone (almeno in Ammazzati) come si trattasse di preparare una cacio e pepe. Sulla scia dello sciacallaggio mediatico dei temi lugubri, ravvisabile su tutte le prime pagine dei giornali (online e di carta), in cui si notano, uno accanto all’altro, analisi dell’operato dei terroristi, cronaca nera anche particolarmente cruenta, e Lisa Fusco che cade facendo una spaccata. Tutto il contrario della deontologia professionale del giornalista.

«Ammazzati, Forse Cercavi, #CoglioneNo, Lo Staggista, sono tutte espressioni dello stesso mondo: l’universo è quello dei disgraziati, del precariato di default in cui non serve nemmeno disperarsi. Marciare nel precariato fino ad ammazzarsi» (o fino al finale a sorpresa che si può vedere in Lo Staggista, di cui evitiamo lo spoiler). Sarebbe bello collegare tutto in un unico lavoro.

Si lavora molto sui Drive di Google, lì nascono le idee e lì si litiga: un processo non lineare e senza suddivisioni nette di ruolo, che rende il tutto più armonioso ma anche contrastante. Si discute spesso su un dialogo, su una scelta di inquadratura, una grafica. «Litighiamo sempre. Ma d’altra parte abbiamo la fortuna di lavorare a progetti a cui teniamo e dentro cui c’è sempre qualcosa di nostro (a parte le marchette per pagarsi l’affitto)». Tre teste diverse, con intenzioni e volontà diverse, quando incontrano l’approvazione ciascuna dell’altra, giungono al compromesso creativo. Bisogna anche rendersi conto quando le modifiche non sono essenziali. Quando c’è l’unanimità, il progetto funziona.

In Forse Cercavi si è seguito lo stesso metodo. Le intenzioni del progetto sono state buttate giù tutte insieme: fare un libro che la gente si legga volentieri, nessuna narrativa pesante (anche perché non è facile reggere la prosa adeguata quando non si è scrittori sperimentati). Lo stile più adeguato è quello di Alessandro Grespan, responsabile dello scheletro della storia, al cospetto però della “accetta” dei due collaboratori. Ciascuno poi si specializza su certi aspetti della storia, o anche proprio su uno o più personaggi. Non sembra, ultimato il lavoro, un libro scritto da tre persone. 

A Novembre arriva la richiesta da un’agenzia per partecipare a una gara come creativi in cui gli ZERO sono incaricati di raccogliere l’idea di partenza e tradurla, a modo loro, in una miniserie a sei puntate per la Maxibon, si intitola Ho sognato Manuela – che fa la parodia del branded content. «Se lavori per un brand, è il brand che decide, e il fine ultimo è il bene del brand. Se lavori per un produttore che crede nella tua creatività, le imposizioni arrivano anche da lui, ma funzionalmente alla riuscita oggettiva del lavoro». Come ad esempio Lo Staggista, l’ultima fatica degli ZERO prodotta da De Laurentiis e ambientata sul set del cinepanettone Natale col boss. Pubblicità e intrattenimento non sono la stessa cosa. Quello che suggerisce un produttore non è quello che suggeriscono i dirigenti di un’azienda che vende gelati – o qualunque altra cosa.

 

Foto di Marco Rapaccini (Officine Fotografiche Roma)

 

Giordano Nardecchia
Nato a Roma l’11 Ottobre 1988, ha un inglorioso passato e uno scoraggiante presente da musicista, da giornalista e da blogger. Poco importante che abbia una laurea. È autore del blog a quattro mani Sergio&Peppe; collabora dal 2013 con DUDE MAG e dal 2015 con Melty.
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