Breve storia del franco tiratore
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Breve storia del franco tiratore

Bisogna tornare indietro di qualche secolo per leggere per la prima volta sui bollettini di guerra delle imprese dei francs-tireurs.

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Una volta il mio caro professore di filosofia del liceo ci raccontò della concezione tutta sua del “franco tiratore”: si trattava di una banconota francese con cui inalava sostanze stupefacenti di fronte al televisore durante le maratone elettorali, da cui la Democrazia Cristiana usciva sempre vittoriosa. Non so se questa storia sia vera, e anche se mi è costatata una grossa lacuna sul pensiero di Wittgenstein, devo dire che è una bella storia e sono felice di rivenderla come incipit di questo articolo. Purtroppo però la definizione ufficiale di questa espressione che aleggia minacciosa sopra ogni voto a scrutinio segreto, è un’altra.

Bisogna tornare indietro di qualche secolo per leggere per la prima volta sui bollettini di guerra delle imprese dei francs-tireurs: piccole milizie volontarie e separate dall’esercito regolare, che difesero la Francia durante il lungo periodo della Grande guerra francese, che parte dalle invasioni del 1792 con le Guerre Rivoluzionarie e si conclude nel 1815 con la disfatta di Waterloo e la fine delle Guerre Napoleoniche.
Negli anni successivi i franchi tiratori divennero noti per le azioni di disturbo nella guerra franco-prussiana del 1870, da cui sostanzialmente nacquero i Corpi Franchi che in Italia ebbero un ruolo fondamentale durante le Guerre d’indipendenza del Risorgimento. E poi ancora durante la Prima guerra mondiale, dove combattono i Freikorps tedeschi (letteralmente corpi liberi), un’accolita di veterani o volontari allo sbando, ai quali venivano assegnati compiti minori perché ritenuti inaffidabili.
In generale questi gruppi agivano autonomi e senza alcuna direttiva ufficiale, soprattutto nei centri urbani occupati, e spesso erano composti da cecchini che impallinavano il nemico cogliendolo alla sprovvista.

Da queste origini il gergo giornalistico ha ripreso l’espressione per plasmarla sulle dinamiche di politica interna, indicando come franchi tiratori i piccoli gruppi che si distaccano dalle direttive di partito. In particolare in Italia i franchi tiratori agiscono nel segreto dell’urna per manifestare un dissenso endemico di varia natura. È però durante lo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica che si registrano le principali e memorabili azioni dei franchi tiratori.

Il primo episodio coincide anche con la prima elezione del presidente della neonata Repubblica italiana, dopo un biennio con Enrico De Nicola “Capo provvisorio dello Stato”, nel 1948 il candidato forte di De Gasperi è Carlo Sforza. Ma già dal primo scrutinio le cose vanno diversamente da come il presidente del Consiglio democristiano aveva pianificato, i franchi tiratori agiscono e il risultato è: 395 voti per De Nicola e 353 per Sforza. Niente maggioranza dei due terzi del Parlamento, ovazione in aula. Al quarto scrutinio il presidente della Repubblica è Luigi Einaudi con 518 voti.

einaudi

Al termine del mandato di Einaudi i franchi tiratori serrano di nuovo le fila, questa volta ai danni di Cesare Merzagora, candidato dal presidente del Consiglio Scelba. Anche in questo caso al quarto scrutinio, a ottenere la maggioranza sarà Giovanni Gronchi, allora presidente della Camera e che dunque lesse il suo stesso nome per 658 volte.

Si entra negli anni Sessanta del boom economico e del governo del “centro-sinistra organico” guidato da Aldo Moro. Proprio una forte discussione con il leader democristiano causa un malore al presidente in carica Antonio Segni, che rassegna le dimissioni dopo solamente due anni di mandato. Nel dicembre del 1964 si aprono le danze per eleggere il nuovo Capo dello Stato, i principali nomi in corsa sono Giovanni Leone, caldeggiato dai democristiani, al quale viene opposto Giuseppe Saragat da sinistra.

Le votazioni andranno avanti fino a Natale, non c’è alcuna volontà di convergere su un nome, le trame si infittiscono e i candidati aumentano: ora c’è anche Nenni tra i favoriti per il Quirinale. La DC si spacca ripetutamente, così come i socialisti. L’aula stanca mormora e fischia a ogni scrutinio, resterà celebre la frase del Presidente della Camera «Ma rendetevi conto, onorevoli colleghi della solennità del momento», fuori da Montecitorio si protesta e la situazione rischia di andare fuori controllo, finché i democristiani accettano la sconfitta e ritirano il proprio candidato annunciando di astenersi ai successivi scrutini, mentre il Partito Comunista fa sapere che abbandonerà la candidatura di Nenni per convergere su Saragat che sarà eletto al ventunesimo scrutinio con 646 voti, il 28 dicembre.

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Concluso il settennato di Saragat, è ancora nel clima natalizio del 1971 che i franchi tiratori preparano un altro colpo, forse il più celebre. Dopo l’umiliazione del ’64 per la Balena Bianca, si punta a una conclusione rapida e indolore per eleggere l’uomo che andrà al colle, la strada sembra spianata per l’allora presidente del Senato Amintore Fanfani. Dai primi scrutini emerge chiaramente che non sarà così. Per scongiurare defezioni viene escogitato dai democristiani un sistema contorto di auto-sorveglianza: i deputati si scambiano le schede, controllano il voto dei colleghi e si recano all’urna sventolando vistosamente il foglietto bianco con fare sarcastico. Il sistema non funziona, sulle schede prestampate si legge «nano maledetto, non sarai mai eletto», è il momento di massimo potere per i franchi tiratori. Fanfani viene scaricato con lo zampino di Giulio Andreotti. In aula regna il caos e la situazione si fa imbarazzante quando il deputato Carlo Ceruti afferra una sedia e grida “Fanfani o morte”. Il giorno della vigilia, con il record ancora oggi imbattuto di ventitré scrutini, viene eletto Giovanni Leone.

Nel 1992 la Prima Repubblica sta andando dritta verso lo sfacelo, distrutta a colpi di manette da Tangentopoli. Giusto il tempo per assistere a una nuova rappresaglia guidata dal Divo: a soccombere sotto i colpi dei franchi tiratori è Forlani, che al sesto scrutinio manca l’elezione per soli 29 voti. Bruciato Forlani, si susseguono senza successo gli scrutini, finché non giunge in aula la tragica notizia della strage di Capaci che porta i deputati alla scelta responsabile di eleggere il presidente del Senato Oscar Luigi Scalfaro al sedicesimo scrutinio.

Infine è storia recente la vicenda dei famosi 101 che impedirono l’elezione di Romano Prodi nel 2013, dando via al Napolitano bis.
E chissà quanto presto bisognerà aggiornare la lunga lista delle vittime dei franchi tiratori.

Edoardo Vitale
Scrive di musica, cinema e attualità su vari magazine.
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