Eschaton Weekly, settimana 37 | A chi dare la colpa per le cose alla deriva?
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
2022
01 gennaio
Dude Mag
03 marzo
Alessio Giacometti
05 giugno
Simone Vacatello
07 novembre
Marco Montanaro e Gilles Nicoli
09 gennaio
TBA
TBA
10 febbraio
TBA
TBA
11 marzo
TBA
TBA
12 aprile
TBA
TBA
×
×
È arrivato il momento di iscriverti
Segui Dude Mag, dai!
12906
https://www.dudemag.it/attualita/eschaton-weekly-settimana-37-a-chi-dare-la-colpa-per-le-cose-alla-deriva/

Eschaton Weekly, settimana 37 | A chi dare la colpa per le cose alla deriva?

Il disordine spontaneo • Mostrare la morte • Missione compiuta • Eurabia • 2084 • Viva il politicamente corretto

Il disordine spontaneo

EschatonWeekly_2

Mi piacerebbe denunciare la turpitudine del paragone tra l’Olocausto e il destino dei migranti che galleggiano nel Mediterraneo, che soffocano nei camion e che vengono numerati dalla polizia ceca, e mi piacerebbe deridere la stupidità di chi trae da certe somiglianze di superficie la convinzione che la Storia si sta ripetendo; mi piacerebbe eppure c’è qualcosa che mi colpisce in queste somiglianze.

Sono somiglianze che prendono senso solo se riconosciamo (con Raul Hilberg) che l’Olocausto fu l’effetto perverso di un sistema che si è assemblato progressivamente covando una segreta teleologia e senza mai formulare distintamente il proprio fine. Una tragedia della burocrazia e degli effetti di composizione.

Ma a chi dobbiamo dare la colpa per le cose alla deriva?

Certo ci furono uomini in carne ed ossa che pianificarono, e altri che lucrarono, e altri ancora che volendo forse fare il bene hanno fatto il male, proprio come oggi: ma il problema non è capire dove sono i colpevoli, ma capire perché non siamo riusciti a fermarli.

Perché le cose hanno iniziato a disfunzionare? Perché i treni e le barche e i camion sono diventati degli strumenti di morte? Chi ha deciso del disordine spontaneo che regna nel mondo sublunare? Nessuno.

Nel tempo di quella che Jacques Ellul chiama “illusione politica”, non possiamo fare altro che cercare dei responsabili ma troveremo soltanto degli esecutori e delle cause seconde. Viviamo nell’universo dell’Amleto, storia di un regno senza sovrano legittimo e di un principe incapace di governare.

Diceva bene Agostino: il male è l’assenza del bene, “privatio boni”, uno spazio vuoto al cuore dell’universo, o più prosaicamente è il nome d’una crudele scarsità dei mezzi utili ad allontanare, governare e cancellare il caos primordiale dal quale sorgono gli uomini.

 

Mostrare la morte

EschatonWeekly_3

Si è dibattuto fin troppo, questa settimana, dell’uso mediatico della foto del piccolo Aylan, un bambino siriano morto mentre la famiglia tentava di emigrare dalla Turchia al Canada e diventato un simbolo degli uomini e delle donne che rischiano la vita per andare a vivere in Occidente.

Nel suo testamento cinematografico, Guy Debord, son art, son temps, terminato poco prima del suicidio, lo scrittore francese mostrava le immagini della morte in diretta di un bambina colombiana intrappolata nel fango. Caso mediatico dell’epoca, già dimenticato, che ha prodotto la sua buona porzione di dibattiti, già dimenticati.

Debord commentava, con la sua voce monotona:

Cette fille des Andes, inexorablement aspirée par une coulée de boue, suite d’une éruption volcanique, a donné aux médiatiques du monde entier l’occasion de discuter en termes d’éthique sur une déontologie qu’ils devraient peut-être choisir de s’imposer dans certains cas extrêmes : doit-on montrer de telles images? ou pourquoi devrait-on s’en priver? Les professionnels ont tous fermement conclu que rien n’est à cacher des malheurs du monde. Aucune fausse sensiblerie du public ne devrait empêcher de projeter ce que l’on a eu le mérite de filmer à l’occasion ; et d’autant plus quand, pour une fois, il s’agit de quelque chose de vrai. Les media veulent prouver ainsi comme ils sont partout, et jusqu’à l’extrême, attachés à la vérité. Et bien convaincus qu’un détail, regardé de très près, est ordinairement un parfait et univoque modèle de la vérité.

 

Missione compiuta

EschatonWeekly_4

Nel marzo 2010, Newsweek dedicava la sua copertina alla “Vittoria” dell’esercito americano in Iraq. Qualche mese dopo, l’esercito si è ritirato lasciando un “Iraq democratico” capace di tenere sulle proprie gambe. Il Foglio di Giuliano Ferrara titolava: Missione compiuta. E proseguiva:

Il settimanale simbolo della cultura liberal americana che dal 2003 si è opposta con tutte le sue forze all’intervento armato contro Saddam Hussein riconosce che alla fine aveva ragione George W. Bush. Ha vinto il presidente repubblicano con il suo piano di esportazione della democrazia in Iraq – ma Newsweek sceglie di uscire con questa copertina celebratoria soltanto ora, molto oltre la fine del suo doppio mandato.

È un loop infinito. Possiamo immaginare i titoli del Foglio da qui al 2041:

Il Foglio, 2003: L’oppressione degli irakeni impone alle forze democratiche di reagire contro Saddam Hussein.

Il Foglio, 2015: La foto di quel bambino ci dice che dobbiamo usare la forza contro i tagliagole.

Il Foglio, 2027: Non possiamo accettare la violenza dei dittatori arabi sui loro popoli

Il Foglio, 2041: Le terribili immagini che ci vengono dal Medio Oriente risvegliano i nostri cuori alla necessità di lanciare bombe sulle cose che non funzionano

Eccetera.

 

Wish you were here

Come ci siamo ridotti.

10355601_879797458710135_6226749373206261811_o

 

Il mito dell’Eurabia

EschatonWeekly_5

Ho avuto la fortuna di leggere Sottomissione di Michel Houellebecq prima degli attentati a Parigi, senza farmene condizionare e leggendolo per quello che era: la descrizione rassegnata di una possibile trasformazione della società europea. Sul momento mi era sembrato un romanzo scritto coi piedi, ma la sua intelligenza lo rendeva comunque una lettura interessante.

Nei mesi che sono passati ho continuato a ripensarci e a trovare sempre più convincente l’esperimento mentale di Houellebecq: non che la profezia fosse plausibile — i fatti di Charlie Hebdo lo hanno in qualche modo smentito — ma era plausibile il profilo psicologico dell’uomo occidentale che, quietamente, accoglie il corso degli eventi nella loro inesorabile necessità. Il protagonista è un personaggio ragionevole, nel quale in qualche modo mi riconosco.

Tanto più in questi giorni di migrazioni epocali nelle quali pare di vedere un segno della Provvidenza: l’inizio di un nuovo ciclo civilizzazionale, l’irruzione di un nuovo popolo per un’Europa paralizzata proprio dalle antiche differenze nazionali e dalla zavorra del benessere. Da un certo punto di vista, quello che sta accadendo è proprio quello di cui avevamo bisogno per sbloccare l’impasse nella quale siamo finiti. Gli europei non sono all’altezza del progetto europeo? Forse gli arabi sì.

E però non si tratta di sostenere, come fece Vincenzo Latronico senza prendere il tempo di scavare oltre la lettera, che in Sottomissione i musulmani sono “i buoni”: tante cose molto poco buone nel romanzo sono accennate, suggerite, evocate tra le righe.

L’orecchio allenato può riconoscere nella prosa di Houellebecq gli echi delle teorie di Bat Ye’Or sull’Eurabia. Quello che Sottomissione dice senza dire in maniera esplicita è principalmente il destino degli ebrei, sacrificati in nome del compromesso storico tra Europa e Islam. Quello stesso compromesso alla quale la Chiesa sta lavorando e che il Papa manifesta nelle sue parole d’accoglienza. Un compromesso insidioso, se deve fondarsi sul “terzo escluso”. Saranno ancora una volta gli ebrei le vittime di quelle che il filosofo Jean-Claude Milner ha definito «le inclinazioni criminali dell’Europa democratica»? O gli omosessuali? O le donne? È lo stato di un dibattito che preoccupa soprattutto i neoconservatori francesi e che sicuramente ha qualche fondamento (anche se talvolta strumentalizzato) nelle tensioni intracomunitarie.

Sono rischi molto concreti che sarebbe ipocrita non tenere presente: e poi sarebbe ingenuo credere che la Storia possa procedere senza dispensare la sua quota di barbarie. Ma cerchiamo di restare lucidi.

 


2084

Michel Houellebecq ha detto: se dovessi riscrivere oggi Sottomissione, lo riscriverei più estremo e assomiglierebbe a 2084 – La fin du monde dello scrittore algerino Boualem Sansal, uscito in Francia la settimana scorsa. Per adesso noto che nel tentativo di citare Orwell (il romanzo descrive una futuristica dittatura islamica) finisce per evocare involontariamente il manifesto 2083 – Una dichiarazione europea d’indipendenza di Anders Breivik. Epic Fail?

 

Viva il politicamente corretto

EschatonWeekly_1

Ormai non c’è nulla di più politicamente scorretto del politicamente corretto: quindi viva il politicamente corretto, che facendo il giro largo restituisce alla società quelle norme elementari di convivenza che hanno per lungo tempo regolato lo spazio pubblico, i rapporti tra i sessi, i conflitti latenti tra gruppi etnici e religiosi.

Senza ammetterlo esplicitamente, la sinistra neo-vittoriana ha preso atto del fallimento dell’esperimento libertario e ha iniziato a ricostruire il mondo antico, nel quale si soppesava ogni gesto e ogni parola.

Il secolo dell’ironia è finalmente terminato e presto organizzeremo simboliche fucilazioni collettive per i seminatori di odio e per i maleducati.

Raffaele Alberto Ventura
Raffaele Alberto Ventura vive a Parigi e si occupa di marketing, in senso ampio.
Segui Dude Mag, dai!
Dude Mag è un progetto promosso da Dude