La Sardegna diventerà Svizzera?
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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La Sardegna diventerà Svizzera?

Probabilmente no, ma c’è chi ci sta provando molto più seriamente di quanto possiate immaginare.

Probabilmente no, ma c’è chi ci sta provando molto più seriamente di quanto possiate immaginare.

 

Sono passati tre anni da quando è nata la proposta di fare della Sardegna il ventisettesimo cantone elvetico. Per capire qualcosa in più di questa idea, che ha ricevuto un’attenzione inaspettata da molte parti e non sembra essere destinata a svanire, ho intervistato Andrea Caruso ed Enrico Napoleone, i due fondatori dell’associazione Canton Marittimo.

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Cagliari, finita la sua estate lunga, si svuota gradualmente lungo il Poetto, ma a fine settembre rimane comunque viva nelle zone pedonali del centro, non lontano dal porto turistico, Piazza Yenne e il bastione Saint Remy. È lì che ho incontrato Andrea ed Enrico.

Ma cominciamo dall’inizio: cos’è il Canton Marittimo? Il Canton Marittimo è una proposta politica che vorrebbe l’annessione della Sardegna alla Svizzera e che ha riscosso un consenso piuttosto inaspettato – soprattutto all’inizio, quando sul gruppo facebook aperto da Andrea si sono iscritte in pochi giorni oltre tremila persone. (Oggi sono quattordicimila).

A quell’entusiasmo è seguita un’onda di copertura mediatica arrivata al tedesco Der Spiegel, alla BBC, al Guardian, e oltreoceano fino al Wall Street Journal.

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Com’è stato possibile che qualcuno pensasse di consegnare la Sardegna alla Svizzera? Andrea è un medico cagliaritano che ha vissuto all’estero e ha degli amici indiani – una famiglia facoltosa, che ha fatto visita ad Andrea sull’isola diverse volte. Altrettante volte, come accade spesso, si sono trovati a parlare del fatto che l’isola avesse delle possibilità economiche inespresse.

Un giorno del 2012, Andrea riceve una telefonata: è proprio il suo amico indiano, che ha deciso di fare degli investimenti importanti. Andrea gli fa presente che quello sardo non è un territorio semplice su cui investire, ma l’amico è convinto e torna sull’isola per un sopralluogo. Una volta davanti ai meccanismi un po’ farraginosi e provinciali che avrebbero dovuto precedere gli investimenti, però, ci ripensa e lascia perdere.

Qualche giorno dopo, Andrea è al bar col suo amico; gli fa notare che lui l’aveva detto, che andava a finire così, e aggiunge che l’unica maniera sarebbe commissariarci, mettere nelle posizioni di responsabilità, chessò, dei tedeschi. A quel punto interviene un signore tedesco da un tavolino a fianco: «scusate se mi intrometto ma vengo qui in vacanza da venticinque anni e penso la stessa cosa. Solo che dovreste farvi commissariare dagli svizzeri, non dai tedeschi».

Andrea torna a casa e ripropone l’idea on-line: facciamoci commissariare dagli svizzeri. Anche perché rispetto ai tedeschi son più vicini, hanno già uno stato federalissimo, hanno quattro lingue ufficiali tra cui l’italiano, sarebbe anche più facile aggiungere il sardo come quinta. Poi, insomma, la Germania lo sbocco sul mare ce l’ha già. Proponiamolo alla Svizzera. Ecco nato il Canton Marittimo.

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Ma cosa stanno facendo ora, cioè da tre anni circa, quelli che vogliono questo sposalizio pecore & mucche, orologi & nuraghi, Cagliari & Ginevra, latte & cioccolato, pastorizia & finanza?

Quando sono arrivato al bar dove mi aspettavano Caruso e Napoleone, si parlava di economia; ho preso come un buon segno il fatto che non si stesse parlando di Eleonora d’Arborea o della bellezza del sughero, e mi son messo ad ascoltare. L’idea di cui parlavano è quella di creare un asse sardo-svizzero di investimenti, e per realizzarlo, mi hanno detto, stanno lavorando a un asse tra Confindustria Sardegna e Confapi Svizzera, cioè le due principali confederazioni di industriali. Per ora, mi ha detto Enrico Napoleone, «abbiamo parlato con i presidenti regionali di Confindustria e di Confapi, oltre ad aver scritto a loro e ai loro colleghi di Confcommercio e Confesercenti. Abbiamo chiesto di preparare una lettera d’intenti con la quale dichiarino la loro disponibilità ad aprire un canale privilegiato di relazioni con le corrispondenti organizzazioni di categoria in Svizzera. Successivamente ci muoveremo anche con la Svizzera stessa».

Personalmente, ero un po’ stupito che un gruppo indipendentista con un obiettivo primario così utopico mi parlasse di un piano così concreto e fattibile. Però mi son chiesto: in tutto questo, gli svizzeri cosa ne pensano?

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Andrea ed Enrico mi hanno detto che c’è stato molto entusiasmo da parte di alcune persone e autorità svizzere, e per darmene prova mi hanno raccontato che ad aprile di quest’anno hanno fatto un tour di quattro giorni in Svizzera con una delegazione di rappresentanza del Canton Marittimo. L’accoglienza delle istituzioni è stata inaspettatamente buona: «oltre le più rosee aspettative», dice Andrea. Il Canton Vaud li ha ricevuti ufficialmente in Gran Consiglio, il parlamento ha interrotto i lavori per un saluto ufficiale al quale è seguito un applauso, e la loro visita è finita, addirittura, ufficialmente agli atti.

Pochi mesi dopo, l’associazione Canton Marittimo è stata fondata anche in Svizzera. È successo a settembre 2015, dopo che la delegazione è stata accolta al Gran Consiglio del Vaud anche in forma ufficiale. Lì si è deciso di approfittare del clima positivo e mettere fondamenta sulle Alpi. Per l’occasione è stato redatto  uno statuto che «avrà l’obiettivo di favorire i contatti diretti tra la Svizzera e la Sardegna, consolidare la fiducia reciproca e promuovere scambi economici, scientifici e culturali tra i due popoli».

L’appoggio poi è venuto dalle dichiarazioni del presidente del Gran Consiglio vadese Jacques Nicolet alla Tv svizzera RSI, come anche da Jacques Perrin, deputato PLR, e dal sindaco di Avenches, piccolo comune vadese, che parla già di collaborazioni economiche molto interessanti.

Il presidente dell’associazione svizzera del Canton Marittimo è proprio Perrin, che è anche il decano del Gran Consiglio. E lì mi son convinto: questa storia non è uno scherzo, e sì, c’è chi ci crede davvero.

E allora, dato che è una cosa seria, ho provato a fare le domande che farei a un’associazione seria. Innanzitutto: cos’avrebbero in comune la Sardegna e la Svizzera?

Enrico mi dice che la prima questione è il federalismo. La Svizzera è uno stato federale in cui il potere centrale è debole e i singoli cantoni hanno un’ampia indipendenza. In un sistema del genere, la Sardegna potrebbe smettere di menarla a tutti con le tradizioni diverse, la lingua diversa, gli usi e i costumi, perché i cantoni svizzeri hanno già costumi diversi, quattro diverse lingue ufficiali, molta diversità culturale, eccetera.

La Sardegna, mi dice Enrico, sarebbe molto più indipendente se fosse un cantone svizzero piuttosto che uno stato europeo indipendente. Non so se sia vero, non mi intendo di diritto, però potrebbe avere senso: la legislazione europea effettivamente si “intromette” in molte questioni.

Con la Svizzera c’è anche una certa vicinanza culturale, storica. Enrico mi spiega che gli svizzeri sono di gran lunga i primi non-italiani a venire in Sardegna. A me la cosa sembra strana: non possono non essere i tedeschi. E infatti in numero assoluto sono loro, ma in rapporto all’intera popolazione del paese sono proprio gli alpini puntuali.

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Stessa questione per il vino. In termini assoluti, gli svizzeri sono i terzi ad importarne dalla Sardegna, ma se si considera il consumo pro capite diventano i primi.

Ci ho messo un po’ a convincermi che non ci sia nulla di artistico, nulla di situazionista o nonsense nel Canton Marittimo. Allora, anche se non c’entra nulla e stiamo parlando d’altro, a un certo punto glielo chiedo esplicitamente. Andrea mi interrompe e garantisce che no, non è niente del genere. Niente affatto.

La credibilità però, a pensarci bene, non è data solo dall’impressione che ho avuto a parlare coi fondatori del Canton Marittimo. Il progetto di per sé gode di una grande dose di pragmatismo che prescinde dai discorsi di economia fatti quella sera al bar. La forza e la concretezza di un progetto politico come questo, sebbene sia un po’ paradossale associare l’idea di concretezza a un’idea utopica, sta nel fatto che i movimenti indipendentisti tradizionali si basano su un’idea nazionalistica: noi staremmo meglio soli. Il Canton Marittimo no. La pretesa politica indipendentista generalmente coincide con un assunto che a riassumerlo in uno slogan suona un po’ così: «siamo migliori degli altri con cui siamo costretti a stare insieme». La critica è rivolta oltre il confine che si vorrebbe marcare, agli “altri”. Il Canton Marittimo, al contrario, mira ad una annessione di chi si ritiene essere un modello politico da perseguire. La critica è quindi autocritica. Ci sono dei problemi e, si ammette, dipendono da noi, dovremmo affidarci a chi, stando a quanto crediamo, li saprebbe risolvere. Uno slogan stile «andiamo coi migliori» che, sebbene sia in qualche modo opportunista è, bisogna ammetterlo, pragmatico e concreto.

Enrico Pitzianti
Cagliari 1988, è parte della redazione di ARTNOISE e di Dude Mag. È laureato in semiotica, scrive per L'Indiscreto, Motherboard, Gli Stati Generali ed è consulente per SpaceDoctorsLtd.
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