L’uomo che inventò il biliardino e altre storie
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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L’uomo che inventò il biliardino e altre storie

  Film come Forrest Gump o Zelig partono dal presupposto di voler raccontare la vicenda umana di uno di quei personaggi laterali, destinati a essere dimenticati dai posteri: Uomini che hanno attraversato il mondo insinuandosi tra le pieghe degli eventi. Personaggi il cui vissuto finisce per intrecciarsi, più o meno involontariamente con la Storia, quella […]

 

Film come Forrest Gump o Zelig partono dal presupposto di voler raccontare la vicenda umana di uno di quei personaggi laterali, destinati a essere dimenticati dai posteri: Uomini che hanno attraversato il mondo insinuandosi tra le pieghe degli eventi. Personaggi il cui vissuto finisce per intrecciarsi, più o meno involontariamente con la Storia, quella con la S maiuscola. A volte non si tratta di un semplice artificio narrativo: di personaggi quasi dimenticati ma che hanno attraversato interi secoli, vivendo avventure che neanche la mente del più spregiudicato sceneggiatore hollywoodiano avrebbe potuto partorire, è piena la storia del secolo scorso. Ciclicamente ogni estate, quando sulle spiagge il due-cinque-tre del biliardino furoreggia come la Corona e il tormentone radiofonico in levare, c’è sempre qualcuno che racconta la storia semi leggendaria di Alexandre Campos Ramírez, meglio conosciuto come Alejandro Finisterre. Finisterre decise di farsi chiamare come il paese della Galizia dove era nato nel 1919, quasi fosse un artista del rinascimento.

 

 

L’invenzione del biliardino, o calcio balilla o fubolino o princarello (per limitarci a citare solo alcuni dei nomi dati al divertimento estivo per eccellenza nella nostra penisola) è solo uno dei capitoli nell’avventurosa vita di un personaggio che ha indossato talmente tante maschere da apparire quasi pirandelliano.

Da premettere che di Finisterre esiste una sola autobiografia pubblicata, scritta alla soglia dei cinquant’anni durante il suo periodo in Messico. Si parla anche di una biografia successiva me è tuttora inedita. Qualcuno ha avanzato il dubbio che sul libro, come sul manoscritto dell’eredità, sia stato apposto il segreto di stato. D’altronde parliamo di un personaggio politicamente attivo, niente di più lontano dallo stereotipo collodiano del giocattolaio chiuso nella sua casetta a fabbricare balocchi. Ne consegue che una dei più completi resoconti su questa enigmatica figura finisca per essere una graphic novel meravigliosa del siciliano Alessio Spataro, uscita qualche anno fa, che mischia eventi effettivamente accaduti e aneddoti raccontati all’autore dai conoscenti di Finisterre.

 

 

Finisterre fu in vita sua, tra le altre cose, muratore, ballerino di tip tap, rivoluzionario, giornalista, poeta e filosofo eppure il suo lascito più prezioso è un gioco, beffardamente nato dove un gioco non dovrebbe nascere: sotto le bombe, durante una delle guerre più sanguinose e meno raccontate del ‘900. Era un antifascista e, con i repubblicani del fronte popolare, si opponeva ai nazionalisti di Franco. Durante la convalescenza in ospedale, dopo essere stato ferito da una bomba, Finisterre, allora diciassettenne, pensa a una prima versione del calcio da tavolo. Con l’aiuto di un carpentiere, ricoverato anche lui in ospedale, costruì il primo biliardino che, va detto, probabilmente prendeva spunto da alcuni prototipi già in giro per l’Europa (il primo, dei quali, secondo gli storici, fabbricato in Sicilia). In una sua rara intervista, concessa al quotidiano catalano La Vanguardia Finisterre raccontò così la genesi della sua invenzione:

«Era il 1937. Adoravo il calcio ma ero diventato zoppo e non potevo più giocare… Soprattutto soffrivo nel vedere quei ragazzini, feriti o amputati, che non avrebbero più potuto giocare a pallone con gli altri bambini… Mi dissi: Se esiste il tennis da tavolo dovrà allora esistere anche il calcio da tavolo! Mi procurai allora delle aste di ferro mentre un carpentiere basco rifugiato là, Javier Altuna, faceva le piccole figure in legno. Fece poi il terreno di gioco sempre in legno di pino credo, e la palla con un pezzo di sughero catalano. Questo permetteva un miglior controllo della palla: rendeva possibile bloccarla ma anche dargli un effetto…»

Una volta uscito dall’ospedale Finisterre brevettò, nel gennaio del 1937, il biliardino convinto dal catalano Joan Busquets, responsabile del CNT-FAI (la federazione anarchica iberica) di Monserrat. Assieme al biliardino brevettò anche un’altra delle sue tante bislacche invenzioni: il volta-pagine a pedale. Il volta pagine era nato per aiutare una sua amante pianista, rimasta anche lei ferita in guerra, ma, come potrete immaginare, il successo di questa intuizione fu sensibilmente minore.

 

 

Finisterre non ebbe molto tempo per godere del successo del biliardino. Scapperà a piedi in Francia dopo la vittoria di Franco e, leggenda vuole, perderà il carteggio dei suoi brevetti a causa della pioggia torrenziale, proprio durante la fuga.

A Barcellona un imprenditore colluso col franchismo intanto si appropriò del brevetto ed esportò il gioco in tutti i lati del mondo. Presumibilmente amareggiato dal fatto che una sua idea avesse potuto fare la fortuna di un uomo vicino a Franco, Finisterre decise di considerare quello del calcio balilla un capitolo chiuso di cui non era il caso di parlare.

Durante il periodo francese divenne uno di quegli esuli di cui parlerà Almudena Grandes in Ines e l’allegria: Come Jesus Monzon, il protagonista del romanzo della Grandes, Finisterre non cessò mai di occuparsi della sua Spagna, anche da esule. In Francia però lascia dietro di sé una sfilza di debitori e alla fine, dopo una rocambolesca evasione ed un periodo speso a fare il critico teatrale per il giornale degli esuli, scappa dall’Europa.

 

 

A differenza di Monzon e dei protagonisti del romanzo della Grandes Finisterre non era un comunista: è indubbio che si trattasse di un anti fascista, tuttavia già nel periodo in patria ebbe rapporti con realtà politiche anche in contrasto tra loro: come gli anarchici e gli attivisti e miliziani del POUM. Verso la fine della graphic novel di Spataro è riportata una conversazione realmente avvenuta tra Ramon Chao, che aveva conosciuto Finisterre ai tempi in cui entrambi erano fuggiti a Parigi, e suo figlio, il cantante Manu Chao. Ramon rimane tuttora uno dei detrattori di Finisterre che è dipinto dal giornalista come un opportunista pronto a cambiare bandiera a seconda di come tira il vento.

Riuscirà a interrompere il suo esilio per un breve periodo in cui conseguirà la laurea in filosofia ma, quando la situazione si farà calda anche in Francia, partirà per il continente latinoamericano.

In Francia fu uno dei suoi compagni in ospedale, il militante del POUM Magi Muntaner, a fare un primo tentativo per brevettare a nome di Finisterre quello che in Francia chiamano ancora oggi baby-foot. Il tentativo si rivelerà infruttuoso, tanto che Oltralpe molti ancora accreditano l’invenzione del biliardino a un industriale chiamato Rosengart. Solo dopo un paio di anni Finisterre riuscì a farsi riconoscere i diritti sull’invenzione del calcio balilla, almeno in terra francese. Con i proventi garantiti dal successo del biliardino, Finisterre potrà rifugiarsi in Ecuador, dove fonderà una rivista letteraria che prenderà in prestito come motto il famoso aforisma dell’amico Jean Cocteau: «la poésie est indispensable, mais je ne sais pas à quoi».

 

 

Se questo articolo vi è parso spezzettato fino ad ora è perché la vicenda che stiamo raccontando è di per sé spezzettata. L’autobiografia sopra citata non è altro in realtà che un insieme di ritagli di giornali e appunti raccolti dallo stesso Finisterre in un libro pubblicato in pochissime copie già in principio. Di Finisterre si trovano notizie in autobiografie e in scritti altrui; ad esempio in quella di Neruda che, proprio nel periodo latino, finisce per ritrovarsi in contatto con il vulcanico galiziano.

Negli anni cinquanta Finisterre, dopo la parentesi ecuadoriana, va in Guatemala. Il governo guatemalteco non aveva riconosciuto il franchismo e l’ambasciata spagnola nel paese era formata da un nutrito stuolo di poeti e intellettuali esuli. Finisterre in quel periodo torna a disegnare giocattoli e crea, dopo il calcio da tavolo, anche un curioso “basket da tavolo”. Gioca persino a calcio con un’ala argentina, tale Ernesto Che Guevara, in procinto di unirsi ai ribelli cubani. Di solito in quegli anni l’ala era il ruolo che si dava ai più indolenti o ai più anarchici tatticamente. Non sappiamo se Guevara fosse effettivamente così scarso da meritare l’esilio sulla fascia ma Finisterre ha sempre detto che, non solo era più forte di Guevara, ma anche di tutti quelli contro cui ha giocato. Tutti tranne la moglie Hidea Gadea, l’unica contro cui Finistrerre ha sempre ammesso di aver perso. Per darvi l’idea Finisterre giocò anche con altri intellettuali bravi pure col pallone tra i piedi, come il portiere Albert Camus. Tutto procede bene fino al ‘54, quando il governo democratico di Jacobo Arbenz Guzmán viene rovesciato dal colpo di stato del generale Castillo Armas, appoggiato dalla CIA. Il regime arresta tutti gli intellettuali esuli, compreso Finisterre. Imbarcato da agenti spagnoli su un volo per Madrid Finisterre sfugge al suo destino diventando uno dei primi dirottatori di aerei di cui si ha notizia, sicuramente l’unico a usare il sapone della toilette dell’aereo come arma. Non avendo infatti null’altro per convincere i piloti a invertire la rotta e farlo atterrare a Panama, avvolse il boccione di sapone nella carta stagnola, fingendo che fosse una pistola.

In Messico diventa editore di tanti autori spagnoli cui la censura franchista impedisce di essere pubblicati. Sviluppa un rapporto fortissimo, quasi di adorazione, per il poeta esule Leon Felipe che si esaurirà solo con la morte di quest’ultimo, avvenuta proprio in quel 1968 in cui i suoi poemi sulla libertà iniziavano a essere declamati nelle piazze in tumulto.

Finita la dittatura franchista, nel 1976 tornerà in Spagna, scegliendo di passare gli ultimi anni proprio in quella Zamora che aveva dato i natali all’amico Leon Felipe.

Quando gli chiedevano del biliardino lui riluttante si scherniva, dicendo che se non lo avesse inventato lui lo avrebbe sicuramente fatto qualcun altro. Tuttavia non smise mai di difendere fino all’ultimo giorno quel passatempo inventato con i migliori propositi: «Il mio gioco aiuta la coordinazione tra la mano destra e quella sinistra. Soprattutto invoglia l’amicizia ed il cameratismo, a differenza dei videogiochi, che favoriscono solo l’autismo».

La stampa darà notizia della sua scomparsa solo a settimane di distanza e sulla data del decesso c’è un altro ennesimo giallo: sulla lapide è l’otto febbraio del 2007, ma giornali come El Pais e il Guardian daranno notizia di un decesso avvenuto il nove febbraio.

E comunque il “passetto”, vale a dire quando la pallina viene accostata da una sagoma all’altra nella medesima stecca senza prima farla sbattere alla sponda, vale in tutti i paesi del mondo tranne l’Italia. Forse è per questo che nei tornei internazionali non vinciamo mai.

 

In copertina, illustrazione di Eulogia Merle – Fundación Española para la Ciencia y la Tecnología

Manuel Santangelo
Nasce il sedici settembre del 1994 a Castel di Sangro. Ha studiato a Bologna e scrive in giro di sport, musica, cinema e altre cose che pensa siano cool. Crede che “Forrest Gump” sia un film sulla sua vita.
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