Manuale di #foodporn #1
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Manuale di #foodporn #1

Questa è la prima puntata, e per rispetto verso la nostra catena alimentare si parla di Pasta, partendo dal peggiore attentato alla carbonara, fino ad arrivare a consigli pratici e scientifici per far la cremina.

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In questa minuscola e ambiziosa rubrica cercheremo di scrivere di cibo e foodporn. Si parlerà di cose buone e di com’è cambiato il nostro rapporto con il mangiare in tutte le sue declinazioni e ci saranno consigli di ricette, video su cui sbavare la tastiera e tante altre cose.

Questa è la prima puntata, e per rispetto verso la nostra catena alimentare si parla di Pasta, partendo dal peggiore attentato alla carbonara, fino ad arrivare a consigli pratici e scientifici per far la cremina.

Oggi però essendo la prima ci tocca fare un po’ di storia e teoria del foodporn, quindi via il dente delle cose noiose, e poi prometto che ci saranno solo fiori di zucca fritti che piovono ovunque.

 

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Più o meno tutti hanno presente cos’è a grandi linee il foodporn, che si tratti delle foto su instagram di un petto d’anatra glassato, al formaggio fuso delle videoricette di Tasty, passando per l’impiattamento mastercheffiano.

A livello teorico il termine indica la rappresentazione estetizzata del cibo che esalta principalmente l’aspetto godurioso – e zozzo – del mangiare, mistificando la produzione di essi e le materie prime. Per questo motivo è stato paragonato al porno: una visione così edonistica del mangiare fa dimenticare “tutto quello che c’è prima” – inteso come preparazione e materia – e il solo guardare il cibo provoca un piacere psicologico completamente slegato dall’atto vero e proprio di mangiare.

Secondo The Atlantic il termine foodporn è stato coniato dalla critica femminista Rosalind Coward, a metà anni ’80, per identificare un tipo di fotografia culinaria che esalta la funzione della cucina come atto di sottomissione. Oggi – dal punto di vista pratico – il foodporn è un paradigma estetico e culturale che va al di là della moda da social network: basta guardare come ha influenzato il palinsesto di Sky (“MAPAZZONE!”), le sezioni dedicate al Food dei giornali internazionali (vedi New York Times o Guardian), le corsie pulite e colorate dell’Esselunga o i più di 91 milioni di foto su Instagram con l’ashtag #foodporn.

Tutto ciò va contestualizzato nella grande rivoluzione culturale del cibo degli ultimi vent’anni. Il mangiare è diventato un atto politico, culturale e consumistico. Il cibo è diventato lo status symbol più presente e iconico della nostra società: basti pensare al Veganesimo, Eataly oppure alle recenti polemiche legate alla chiusura del circolo dal Verme a Roma, Christian Raimo se l’è presa con le risotterie hipster del Pigneto e i ristoranti finti del centro, mentre nell’intervista a una delle responsabili del Dal Verme si giustificava la vendita di birre non scontrinate in quanto “strumento di cultura”, prorio come la musica.

Negli ultimi anni il trono del foodporn è stato stabilmente occupato dai video che hanno sostituito le foto come medium principale, allo stesso modo è successo con le riviste al tempo dei primi siti in streaming con il porno. L’esplosione di youtube e ancora di più dei video su Facebook ha cambiato il modo di raccontare il cibo. Il format è mutato dai canoni televisivi casalinghi e rilassati (esempi famosi: Paula Deen o Benedetta Parodi), verso quelli frenetici, colorati e ammiccanti del web.

Dopo le sbandate caloriche di Epic Meal Time e le urla isteriche di Gordon Ramsey, Tasty sembra aver trovato il format perfetto per il foodporn. Tasty – il cui successo è stato raccontato anche dal New Yorker – è stato fondato nell’estate del 2014 come canale youtube dedicato al Food di BuzzFeed. Tra i video che venivano caricati, quelli con più condivisioni e visualizzazioni erano quelli di ricette con pochi ingredienti e procedimenti rapidi. Nel 2015 quando Facebook aggiustò l’algoritmo della sezione notizie per promuovere i video caricati direttamente, i resposabili di BuzzFeed decisero di aprire un sito e una pagina indipendeti dalla piattaforma principale e senza l’aiuto numerico e reputazionale del marchio BuzzFeed. La crescita di Tasty è stata veramente impressionante: la pagina Facebook ha quasi 57 milioni di like (ed è la più popolare tra quelle di BuzzFeed), i video hanno raggiunto e superato il miliardo di visualizzazioni.

I video di Tasty li avrete visti sulla vostra bacheca Facebook almeno una volta: durano meno di un minuto, l’inquadratura è fissa, il video è leggermente velocizzato, gli ingredienti e gli strumenti sono bellissimi e colorati. La ricetta punta sulla apparente facilità di ogni passaggio, il risultato è perfetto e l’effetto acquolina viene sottolineato da un godereccio «Oh Yesss» che interrompe la musica ambient di sottofondo. La cosa più interessante è che difficilmente i video vengono visti in ottica didattica: sarebbe interessante sapere quanti dei 10 milioni di loop di questa ricetta sono stati riprodotti nella vita reale. Pochi, pochissimi probabilmente, semplicemente perché è più semplice e godurioso andare a guardare il prossimo video, e poi quello dopo e poi quello dopo ancora.

Molte delle ricette realizzate nei video sono molto complesse: richiedono abilità tecniche e magari diversi passaggi di cottura – gli americani fanno un uso smodato del forno – che vengono banalizzati con disclaimer come “bake for 45 minutes” o simili. I passaggi sono quindi ridotti all’osso il più possibile, spesso si cerca di eliminarli completamente. Uno di questi casi è la moda dei one-pot-pasta: cucinare la pasta nella maniera più semplice possibile, ovvero buttare tutti gli ingredienti in una pentola con poca acqua e semplicamente cuocerli tutti insieme, finendo il tutto con un affogata di formaggio. Il caso più eclatante è stata la polemica della finta carbonara francese di pochi mesi fa che ha risvegliato il nostro animo patriottico al pari della nazionale di calcio.

 

 

Il risultato in questo caso è particolarmente disgustoso; le due cose più assurde per me sono il sapore che deve avere la pancetta bollita, e quel tuorlo d’uovo abbandonato lì a fine cottura.

Altre ricette one-pot-pasta hanno riscosso un discreto successo e nell’articolo che il New Yorker ha dedicato al “Carbonara-gate”, la rivista americana parla di una vera e propria rivoluzione del modo di cucinare la pasta, ovviamente in questa direzione.

 

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Eccoci arrivati alla parte pratica di questa rubrica, che non vuole essere una critica agli americani in cucina, ma utili consigli per dilettarsi in cene con amici o fidanzate/i.

Il problema principale delle ricette one-pot-pasta, è che non succede quello che deve esserci in quasi tutte le ricette di paste: la cremina. Elemento mitologico e difficilissimo per la combinazione di ingredienti nella cacio&pepe e nella carbonara, più facile nelle ricette in cui essa costituisce la base stessa del condimento della pasta. La “cremina” non è altro che una reazione chimica, tra un grasso (il burro o l’olio), l’acqua (ovviamente di cottura della pasta), e il glutine della pasta, che grazie al calore e al movimento si addensano in una perfetta cremina. È la stessa tecnica che viene usata nei risotti: la pasta deve quindi essere scolata circa a metà cottura e saltata insieme al condimento e all’acquadi cottura. La cremina più famosa in Italia – senza ombra di dubbio – sono gli “Spaghetti alla Nerano” di Maria Grazia in Costiera Amalfitana, rientrano però in quell’olimpo di piatti che è inutile imitare, vanno mangiati e basta; andateci se ne avete l’occasione.

La mia preferita da cucinare è la burro&alici, che qui useremo come esempio: è facile, costa pochissimo, viene dalla tradizioni siciliana.

Buttate la pasta in abbondante acqua salata (scusate è una vita che aspettavo di scriverlo). Pasta lunga (spaghetti o linguine) possibilmente buona, meglio se trafilata in bronzo perché tiene meglio la cottura. In un padellino a parte fate tostare un po’ di pangrattato, ci volgiono pochi minuti, è pronto quanto cambia colore da bianco ad ambrato. In un saltapasta invece fate sciogliere (tanto, tipo due cucchiate) il burro con i filetti di acciughe – calcolate due filetti ogni 100 grammi di pasta -, una punta di peperoncino. A metà cottura della pasta scolatela tenendo una pinta di acqua di cottura da parte. Buttate la pasta nel saltapasta, alzate la fiamma, e aggiungete l’acqua di cottura a piccole dosi, muovendo vorticosamente la pasta e facendola saltare.

 

Scarlett che salta la pasta

 

Due cose a cui stare attenti:

1. mai mettere troppa acqua, soprattutto verso la fine rischiate di far scuocere la pasta o di servirla acquosa;

2 non fate asciugare troppo, altrimenti la magia non succede.

Servitela ricoprendala con il pan grattato, una grattata di scorza di limone e (bonus, non necessario) un pizzico di di finocchietto essicatto.

 

Illustrazione di Sara Ciprandi.

Filippo D'Asaro
Nasce a Roma nell’ottobre del 1992. La sua laurea triennale in scienze politiche si è rivelata fondamentale per scrivere articoli, tenere un blog personale e portare hamburger ai tavoli.
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