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In questa minuscola e ambiziosa rubrica cercheremo di scrivere di cibo e foodporn. Si parlerà di cose buone e di com’è cambiato il nostro rapporto con il mangiare in tutte le sue declinazioni e ci saranno consigli di ricette, video su cui sbavare la tastiera e tante altre cose. Questa è la seconda puntata — qui c’è la prima — e parliamo di gelato.
«Andiamo a prendere un gelato?». Sì, certo che andiamo. Non si può quasi mai rifiutare un invito a prendere il gelato. Non solo perché mangiarlo è buono, è catartico, ma perché è un momento.
Tutti abbiamo dei ricordi legati al fresco sapore di un gelato: che sia uno dei primi baci sul lungomare del paese o un ricordo dei pomeriggi fuori da scuola. Recentemente mi è capitato di sentire un discorso durante un funerale, nel quale chi parlava ricordava il sapore del gelato della loro gelateria preferita come sintesi del rapporto tra lui e il padre, che se ne era appena andato. Per questo quando si invita qualcuno a prendere un gelato non è solo per mangiare quella massa fredda, dolce e progressivamente sciolta, ma si riferisce a tutta l’esperienza e la condivisione che ne deriva. Andare a prendere il gelato è una delle poche cose che faccio da solo regolarmente, e spesso vedo altre persone assorte mentre mangiano il gelato da soli e — distratte — si sporcano i vestiti.
Tuttavia è sbagliato trattare il momentogelato solamente in maniera nostalgica ed emozionale, il gelato è un prodotto commerciale e rientra nella speciale categoria di prodotti che rappresentano un’occasione sociale, un momentum appunto: l’analcolico per l’aperitivo, l’amaro per il dopo cena o i cereali a colazione. La differenza del gelato rispetto a questi ed altri prodotti, è che storicamente non c’è mai stato un grande marchio e trainarne la crescita e la conseguente appropriazione del momento sociale di consumo (a differenza della Kellog’s per la colazione, l’Averna per il dopo cena, il Campari per l’aperitivo). Il gelato artigianale è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio grazie essenzialmente alla propria natura, diventando appunto occasione sociale, associata allo svago, al caldo e alla convivialità. E — attenzione! — questo lo si deve sia al gusto che al modo di mangiarlo, ora capiamo perché.
Solo gli americani hanno cercato di associare il gelato alla tristezza e alla depressione, rendendolo il king del confort food da divano + coperta. Noi — fieri italici — ci disocciamo.
Storia
Se quindi la fama del gelato si deve solamente alla natura del prodotto, mi ha sempre scandalizzato come si sappia così poco della sua storia. In fondo è una di quelle invenzioni geniali — come l’ombrello o la bicicletta — che è immune al progresso tecnologico perché c’è così poco da migliorare.
La storia è lunga, partiamo con calma dagli antenati del gelato.
In moltissime culture, da quella cinese a quella araba, ci sono tracce di dolci a base di frutta, miele e ghiaccio (o neve). La parola sorbetto infatti deriva dall’arabo “shrb” (sciroppo zuccherato n.d.a.), tuttavia come potete ben immaginare la neve era un lusso estremamente costoso.
La svolta per l’invenzione del gelato arrivò nel 1500, grazie alla fame di Caterina de’ Medici, signora di Firenze e promessa sposa al Re di Francia Enrico II. Due versioni della storia: la prima — ufficiosa e non supportata da fonti storiografiche — attribuisce l’invenzione del gelato al pollivendolo Ruggeri vincitore di una specie di masterchef medioevale indetto da Caterina “per il piatto più singolare che si fosse mai visto”, successivamente portato a forza in Francia da Caterina per il marito: la leggenda vuole che regalò la sua ricetta a Caterina per sfuggire all’invidia degli altri pasticceri e tornare a vedere polli a Firenze. L’altra versione — quella ufficiale, diciamo — attribuisce il merito a Bernardo Timante Buonacorsi, architetto scultore e pittore con la passione per la gastronomia, meglio conosciuto come Bernardino Buontalenti. Incaricato da Caterina di organizzare i banchetti della corte, inventò la ricetta di un dolce freddo a base di latte, miele, tuorlo d’uovo e un tocco di vino. Così oltre il gelato, fece nascere anche la crema all’uovo e lo zabaione (GRAZIE BERNARDINO!); fun fact: a Firenze esiste anche il gusto Buontalenti, di cui detiene il copyright la gelateria Badiani.
L’arte del gelato fu poi perfezionata e democratizzata oltralpe dal pasticcere palermitano Stefano Procopio dei Coltelli, che nel 1686 aprì a Parigi Le Procope: il primo caffè della capitale francese, secondo molti il primo d’Europa. A fare il successo del caffé fu il gelato, di cui Procopio, dopo vari esperimenti, era riuscito a migliorare la consistenza, grazie soprattutto all’uso dello zucchero come dolcificante al posto del miele. In realtà — al nostro gusto — i suoi gelati avrebbero assomigliato più a gramolade o sorbetti, ma il successo fu enorme. Molto curata era anche la presentazione, con il gelato offerto bicchierini simili a portauovo. Procopio riuscì a diffondere fra la colta borghesia francese quello che prima era servito soltanto sulle tavole dei ricchi e dei potenti. Il caffè divenne il primo punto di aggregazione della borghesia culturale francese, tra i suoi avventori c’erano tra gli altri: La Fontaine, Voltaire, Napoleone, Honoré de Balzac, Victor Hugo, George Sand, Paul Verlaine. È probabilmente qui che Diderot e D’Alambert pensano alla Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751), dove comparirà per la prima volta il sostantivo “glace”.
In pochi anni il gelato — ancora sotto forma di semisorbetto — sbarca nel nuovo continente (pare che il primo produttore fosse il genovese Giovanni Bosio). Poco dopo, nel 1843, Nancy Johnson brevetta a Philadelphia una macchina a manovella orizzontale: è la prima evoluzione meccanica nella sorbetteria. Infine, nel 1903 Auguste Escoffier sancisce la definitiva distinzione tra sorbetto e gelato nella sua opera Guide culinaire.

All’inizio del ‘900 avviene la “seconda rivoluzione”: il consumo del gelato viene deformalizzato (da dessert da gustare apparecchiato a un tavolo, a snack da strada) con l’invenzione del cono: mangiarlo acquista una dimensione erotica.. Anche in questo caso l’attribuzione dell’invenzione è controversa. Il New York Times racconta che l’idea viene dagli Stati Uniti, per la precisione dalla Fiera Mondiale di St. Louis (Missouri) del 1904, quando il pasticcere siriano Ernest Hamwi, venditore di “zalabia”, una pasta densa cotta in una pressa per wafer, ci servì dentro del gelato. Non esistono documenti scritti che confermino questa storia, eccetto una lettera inviata dallo stesso Hamwi nel 1928 all’Ice Cream Trade Journal: raccontò che, per aiutare il gelataio Charles Menches dello stand accanto che stava finendo i piatti, aveva arrotolato e riempito di gelato una delle sue zalabie. Menches però ha sempre sostenuto di aver arrotolato la zalabia per primo, facendo i primi due coni della storia per una sua amica: uno per il gelato e l’altro per avvolgere un mazzo di fiori.
L’altra versione della storia invece attribuisce la scoperta ad Italo Marchioni, un italiano immigrato dalla provincia di Belluno a New York, dove vendeva gelati e cialde. Dopo aver abbandonato i bicchieri di vetro (troppo fragili) e i coni di carta (troppi rifiuti), nel 1903 — un anno prima della Fiera Mondiale — Marchioni registrò negli Stati Uniti il brevetto (n. 746971) di un macchinario per produrre coni. La macchina, si legge nel brevetto, «può essere particolarmente comoda per manipolare e modellare la pasta […] in forme insolite che finora non sono mai state create, a causa della delicatezza della sostanza e della difficoltà di staccare la sostanza dagli stampi».
All’inizio del ‘900 i primi in Italia a vendere gelati sono i Veneti, i Cadorini e gli Zoldani, che con i loro carretti invadono le città espandendosi verso Vienna e l’Impero Austrungarico. Nel 1911 viene anche pubblicato il “Trattato della gelateria” il primo manuale di gelato redatto da Enrico Giuseppe Grifoni.

Dagli anni ‘30 in poi, i macchinari per realizzare i gelati si diffusero in tutto il centro nord italiano, al Sud invece si continuava con le tecniche più simili al sorbetto. L’ultima sfida in ordine temporale che dovette affrontare il gelato artigianale fu il boom economico, e la conseguente industrializzazione del prodotto. Nel 1954 è la Motta ad introdurre il gelato industriale (il termine tecnico è proprio “ice-cream”) importandone l’uso dagli Stati Uniti. Il successo del “Mottarello” democratizzerà il consumo di gelato in Italia, ma allo stesso tempo fu una seria minaccia alla sopravvivenza del gelato artigianale, oscurato dalle campgne pubblicitarie e ritenuto poco igenico.
Fu un gruppo di gelatieri lombardi a difendere l’onore del gelato artigianale fondando nel 1953 il comitato lombardo che dopo alcuni anni divenne il Comitato Nazionale Italiano per la Difesa e la Diffusione del Gelato: l’obiettivo del comitato fu quello di far notare le differenze tecniche tra i gelati di produzione artigianale e quelli industriali. L’industra del gelato artigianale rimase una nicchia per molti anni, fino alla riscoperta negli anni ‘70 e alla definitiva affermazione negli anni ’90.

Consigli pratici
Io non ho mai fatto il gelato, ergo no ricette. Vi risparmio la fatica di cercare “ricetta gelato fatto in casa”, ne trovate una qui, un’altra qui. Siceramente io non ci ho mai provato perché priverebbe il momentogelato delle sue caratteristiche, e mi farebbe anche strano mangiarlo dentro casa probabilmente.
Se invece pensate più in grande, qui trovate una pratica guida scritta da WikiHow su come aprire una gelateria in 10 passi. In effetti potrebbe essere una buona idea, stando ai dati. In Italia esistono circa 10mila gelaterie artigianali “pure”, 38mila includendo bar e pasticcerie che vendono anche gelato artigianale, i consumi di coni e coppette sono aumentati dell’8% nel 2015 per un giro d’affari che ha superato i 2 miliardi di euro. In pratica 4 italiani su 10 mangiano regolarmente gelato durante l’estate.
Oppure potete aprire un foodtruck di gelati a New York, ma occhio che rischiate di finire nelle violentissime faide tra venditori ambulanti: la più temuta? La gang di Mister Softee.
Ora il momento tanto atteso qualche consiglio su dove andare a mangiare il gelato a Roma (e un paio di extra sparsi per la penisola). Non è una classifica, non pretendo di essere esaustivo, sono alcuni dei miei posti preferiti. Se avete suggerimenti o nuove scoperte scrivetemi a filippo.dasaro@gmail.com e magari facciamo una postilla con altri suggerimenti. BTW, iniziamo.
Roma
Dove: via Felice Cavallotti, 36b
Coppetta piccola: 2,50 euro.
Nel cuore di Monteverde vecchio c’è il gelataio più radical di Roma. Così radical che spesso ci si incontra Nanni Moretti. Segue la filosofia del gelato gourmet con materie prime studiate e scelte, i gusti sono particolarissimi: molto buoni lavanda, crema al limone e timo, cioccolato al sale e lo zabaione al passito. Si sente sempre il sapore deciso del gusto scelto: alcuni gusti sono realizzati senza latte, altri con quello di capra che ha il benificio di essere meno grasso e invadente rispetto a quello di mucca. Particolarità: i gelati si servono solo in coppetta, niente coni, hipster veri.
Come il Latte
Dove: Via Silvio Spaventa, 24/26
Cono piccolo: 2,20 euro.
Molto diverso da La Gourmandiese, la parola d’ordine è GODIMENTO. Il locale, in ferro battuto e vetro, presenta il classico stile Liorniano (architetto di Rosti, Gusto e molti altri) in perfetta linea con l’eleganza un po’ demodè del rione Sallustiano. Come già si intuisce dal nome, è un gelato particolarmente “lattoso”, quindi di soddisfazione — per alcuni eccessiva — per palato e stomaco. Gusti imperdibili: mascarpone&gentilini (must have!), caffè giamaicano e nocciola tonda gentile delle langhe. A rendere però più goduriosa l’esperienza Come il Latte sono i particolari: il cono può essere riempito all’interno di cioccolato fondete o bianco, si può scegliere la panna (zabaione, caffè, classica, vaniglia) e la medesima colata di cioccolato fuso può essere versata sopra al gelato così che — aspettando 30 secondi — si crei uno strato croccante sopra ai gusti. C’è anche un dispenser di acqua all’interno, non ho mai capito perché non esista in ogni gelateria del mondo.
Otaleg
Dove: Viale dei Colli Portuensi, 594.
Cono piccolo: 2 euro.
Locale bruttino, nascosto tra i negozioni di viale dei colli portuensi, se non ci vai con google Maps acceso rischi di non vederlo. Gusti molto particolari: si va dal Gorgonzola con cioccolato biondo e nocciole, al sedano passando per la Senape. Tranquilli, ci sono anche gusti normali, tutti molto buoni. Bonus per la panna, veramente ottima.
Esclusi eccellenti ma dove vale pena andare: Neve di Latte, Fata Morgana, La gelateria dei Gracchi.
Due gelaterie bonus che mi rubarono il cuore
Il Massimo del Gelato
Dove: via Castelvetro 18, Milano.
Cono piccolo: 2,70 + 0,70 per la panna (!!!).
Al nord ha questa brutta abitudine di far pagare la panna, per me inaccetabile. Però al Massimo del gelato puoi scegliere tra più di dieci gusti a base di cioccolato. Si va dall’estremo cioccolato Azteco (peperoncino e spezie) al tondo e pieno Gianduia. Costa tanto, il locale non è in una zona di passaggio di Milano (vicino a Corso Sempione), mangiare sul marciapiede non è il massimo, ma vale tutte queste pene.
Gelati divini
Dove: Piazza Duomo 20, Ragusa Ibla.
Cono piccolo: 2 euro.
Il gioco di parole del nome della gelateria non è di immediata comprensione: questa è una gelaenoteca, nel senso che si vendono vini e molti gusti hanno proprio come base vini, passiti, amari e bollicine. Quindi si può provare il gelato al Moscato, al passito di Pantalleria, allo Champagne; ci sono dei gusti ai fiori (che non provai, ma ne parlano molto bene); e quelli tradizionali siciliani: carrubba, mandorla tostata, Fichi d’India. Il gelato si può mangiare nel dehors che affaccia sulla storta piazza del Duomo di Ragusa.
Illustrazione di Sara Ciprandi.