Il sacrificio della politica
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Il sacrificio della politica

Passa un autobus dell’Atac e parte l’applauso dei presenti, seguito poi da un camion della nettezza urbana, l’Ama, accolto anche qui da una ola.

Nel finale del film Il Candidato, un neo eletto Robert Redford chiede al suo consigliere «Cosa facciamo adesso?», sentendosi risponde da Peter Boyle «Sei un politico, adesso». Se questa scena del film di Michael Ritchie non è più applicabile all’esperienza del Movimento 5 Stelle, ormai lontano dall’illusione di essere un “anti-partito”, dall’altra sembrerebbe calzare alla perfezione sui circa duecento sostenitori che domenica sera hanno accolto il nuovo sindaco di Roma nel quartier generale del Movimento in viale Marconi.

 

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La presa di coscienza dell’elettorato che ieri notte intonava cori da stadio, mentre sventolava bandieroni ed indossava maglie e cappellini del M5S, deve essere quella di chi dopo aver predicato la fine di una classe politica raffigurata come l’incarnazione del male, se ne trova ad essere improvvisamente parte attiva. L’enorme crepa lasciata dal fallimento del Partito Democratico e della classe politica ha dato vita ad un rifiuto per la politica stessa, al voto punitivo e all’astensionismo alle stelle. Un vuoto in cui è germogliato un movimento capace di contagiare il popolo scontento e di portarlo in strada a festeggiare come per un mondiale di calcio. In mezzo alla folla dell’hotel H10 c’erano tutti: dalla coppia sposata alla signora anziana, dal tassista conquistato dal rifiuto per Uber del neo-sindaco agli adolescenti rasati con il bomber. Tutti pronti a festeggiare con foto di gruppo e cori da derby, da «Chi non salta del PD è» fino a «Oh Giachetti buttati in piscina», fino ad arrivare al cult «Onestà! Onestà!».

 

 

Improvvisamente cala il silenzio, Virginia Raggi prende parola e tutti ascoltano con attenzione. C’è chi si propone come sposo, ma il clima è diventato improvvisamente serio, e i presenti seguono il discorso trascinati dal pathos costruito che abbiamo imparato a conoscere, e forse anche sfottere, nell’ultimo periodo. Il neo-sindaco chiede aiuto ai suoi elettori per insegnare la politica del Movimento ai bambini, portandola nelle scuole e cambiando la città dal basso. La gente annuisce convinta, anche se molti di loro hanno lasciato la macchina in terza fila pochi metri più in là. La prova che il M5S sia riuscito a diventare la voce del popolo arriva dal tono apprensivo con cui le persone parlano della propria candidata. Passando tra i presenti mi sono fermato a chiedere se qualcuno avesse paura del contraccolpo di Roma, trovandomi davanti un misto di sicurezza ed apprensione materna. «Il contraccolpo sarà positivo», dice qualcuno, mentre altri si dicono «preoccupati per quello che faranno a Virginia».

 

 

Virginia, la candidata dalla faccia pulita che è riuscita a districarsi — per merito suo o del suo staff — nell’intricata giungla romana, riuscendo a trovare il favore di quei gruppi che il suo predecessore aveva attaccato pesantemente. Passa un autobus dell’Atac e parte l’applauso dei presenti, seguito poi da un camion della nettezza urbana, l’Ama, accolto anche qui da una ola. Il gruppo di autisti un tempo nemici giurati del sindaco Marino sono ora entrati nell’orbita del sindaco Raggi, brava ad evitare la presa di posizione, schierandosi sempre a favore della gente, senza mai puntare il dito contro qualcuno che non fosse quell’entità rinominata casta. Perché nel trionfo della non politica, dei cori da stadio e nell’azzeramento degli ideali, ha prevalso la capacità di saper assecondare la volontà di un popolo stanco e arrabbiato, dicendo le cose giuste nel modo giusto, toccando le corde della delusione con addosso una maschera da Guy Fawkes.

 

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Rimaniamo un altro po’ in mezzo la folla, il tempo di vedere Di Battista accerchiato da un gruppo di fan pronti per il selfie. Il tempo di scattare anche noi qualche foto e la folla inizia a tornare verso casa, con le bandiere ancora alte e gli slogan urlati a squarciagola. Che cosa abbiamo visto questa sera? «Qualcosa di sacrosanto, legittimo, bello e giusto» ci dice Diego Bianchi, conosciuto soprattutto come Zoro, impegnato a spiegare ad una signora la differenza tra il suo vero nome e quello d’arte. «Tutto prevedibile, non so se per merito del M5S o per demerito degli altri, ma non poteva che finire così».

La folla e le urla resteranno probabilmente nella storia di Roma, così come la volontà di un elettorato di abbracciare il sacrificio della politica sull’altare de “la gente”.

 

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Francesco Martino
Nato nel 1989 è studente di Giornalismo a Roma Tre. Vive di cultura pop e musica. Collabora con DUDE MAG, Serial Minds e Prismo. Suona la batteria conservando sogni di gloria.
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