
La partita di ieri non vale. Non vale più di tre punti, perché è solo la prima di un mondiale lunghissimo. Non vale come rivincita della finale di quattro anni fa, non vale a mandare l’Olanda già in finale e non vale a bocciare completamente la Spagna. “Non vale!”, ha pensato Del Bosque ieri sera, vedendo che quelli blu correvano di più, aggredivano di più, tiravano di più e molto più forte; si passavano il pallone molto meno e, cosa che conta più di tutte, continuavano e mettere il dannato brazuca dietro quel che rimaneva di Iker Casillas. Questa partita non vale per tutte quelle leggi della fisica che sono – e non sono – intervenute: dov’è la gravità sul colpo di testa di Van Persie? Come la spieghi la cinetica del siluro al volo di Robben? La sua accelerazione contro Piquè sul quinto gol? Questa partita non vale perché una delle due squadre l’ha giocata senza un 4-2-3-1 o un 4-3-3, e sono quasi sicurissimo che da qualche parte ci sia un regolamento che vieti categoricamente la difesa a tre o addirittura a cinque – come qualche pazzo blasfemo ha osato osservare. Ah, e quella squadra ha pure vinto. Ah, ha vinto pure cinque a uno.

Un po’ di numeri così alla cazzo Gli spagnoli si sono cercati con passaggi corti 578 volte, cioè 578 volte per andare da qui a un po’ più in là, il pallone è passato dai piedi di uno Xavi – 78 passaggi con il 91% di precisione – a quelli di un Busquets –73 con il 97% –, salvo poi, spesso, ritornare indietro. Gli olandesi di passaggi corti ne hanno giocati meno della metà (appena 278), con il ruolo di passes leader interpretato dal terzino Daley Blind (un mostro di cui avevamo parlato qui) –41 passaggi con l’88% di precisione e 2 assist–, giocando però 69 palloni lunghi, contro i 43 degli avversari. Dove gli spagnoli arrivavano con i passaggi gli olandesi arrivano col dribbling: ben 13 dribbling riusciti contro i 2 avversari. De Vrij, centro-destra nella difesa dell’Olanda ha effettuato 7 tackle e 4 anticipi secchi, contro i 3 tackle e un solo anticipo di Piqué. Incolonnando questi numeri il risultato è un inno al calcio individualista, un uno-contro-uno all’ultimo sangue, in tutte le zone del campo, un mi-ti-bevo quando il pallone ce l’ho io e ti-ammazzo quando il pallone ce l’hai tu.

Una visione, se vogliamo, anacronistica di un calcio indirizzato verso il potere del collettivo (vedere Atletico Madrid o Borussia Dortmund, che occhei, non hanno vinto, però hanno spiegato), soprattutto se applicata dall’Olanda – creatrice di un’interpretazione quasi socialista del gioco del pallone.

Meraviglie olandesi – Robben ha fatto il matto. Libero da un’inquadratura tattica, semplicemente investito del compito di offendere ogni qual volta ricevesse il pallone. Ha svariato da destra a sinistra, ha attaccato il centro del campo, ha dribblato, ha segnato il due a uno agganciando un arcobaleno di Blind e mandando al bar un Piqué imbarazzante. Poi sul cinque a uno, all’80’, ha umiliato la difesa spagnola in velocità, lanciandosi in una progressione impressionante senza perdere la lucidità necessaria per saltare Casillas e trovare l’angolo lasciato scoperto dai difensori. Una prestazione atleticamente e tecnicamente aliena.

Van Persie ha fatto il Van Persie: ci sono modi in cui la gente normale non solo non-segna, ma non pensa nemmeno lontanamente di poter segnare. Chiamatelo istinto, chiamatelo estro, chiamatelo sesto senso, comunque ha qualcosa che quando si trova vicino alla porta gli fa incocciare il pallone nella maniera sempre più incisiva, micidiale, assassina e visivamente straordinaria possibile. Se lo vedi fare a lui, un colpo di testa con tuffo in avanti su un cross a effetto da cinquanta metri che scavalca il portiere e cade sotto la traversa, sembra quasi una cosina semplice.

De Vrij è un difensore di 22 anni del Feyenoord, sconosciuto ai più, dal cognome pronunciabile secondo diverse interpretazioni stilistiche (devrai, tefrai, devrì) e che quest’estate probabilmente sarà al centro delle attenzioni di molti club europei. Ha inciso nella partita di ieri in maniera decisiva, sia nel bene che nel male. Ha steso Diego Costa con un’ingenuità, perdonabile a un ventenne – ma con l’attenuante di un contesto un attimino scomodo. Poi si è messo a fare il difensore, cancellando letteralmente dal campo Diego Costa e lavorando di brutto sui trequartisti avversari insieme al compagno di reparto Martins Indi. Perché se giochi a tre e gli altri attaccano con una sola punta, ti devi inventare qualcosa per limitare quelli che gli danno il pallone. Ha messo pure un gol, salendo su un corner e facendosela cadere addosso in un modo un alquanto rocambolesco. Qualche spiffero dal ritiro olandese dice che stamattina si sia svegliato umidiccio, ma nessuna notizia certa.

Malessere spagnolo – Vedere Casillas ieri è stato deprimente persino per me che della Spagna non me n’è mai fregato più di tanto. La sensazione che ti dava era di completa impotenza, di disperazione senza un filo di rabbia, di rassegnazione priva di qualsiasi orgoglio. Un’anima morta. È in una situazione assurda: nel club è secondo di uno che questo mondiale nemmeno lo gioca, la sua ultima partita ufficiale l’aveva giocata in finale di Champions League mettendocela tutta per farla perdere ai suoi. Il primo tiro in porta che prende, un olandese glielo mette alle spalle in un modo che non esiste; esce timidamente su un calcio d’angolo e viene aggredito in malo modo da Robben, lisciando il pallone e concedendo il terzo gol, e quando chiede lumi all’arbitro quello lo schiaffeggia col cartellino giallo. Sfinito e umiliato sbaglia uno stop che in vita sua non ha sbagliato mai, regalando un altro amplesso alla curva olandese. Infine, in uno scatto d’orgoglio, quando si ritrova davanti ancora Robben, gli esce sui piedi funesto, incazzato, col sangue negli occhi. Scivola. Che giornata di merda Iker.

Piqué da cinque-sei anni a questa parte è il difensore dominante del calcio europeo: puntuale, preciso, possente e intelligente; non butta un pallone, non sbaglia un anticipo, non perde un duello aereo, si fa Shakira. Quello che ha giocato contro l’Olanda deve essere stato il fratello scemo. Robben lo canzona per tutta la partita, gli mangia i piedi in ripartenza, lo lascia lì con una finta che era l’unica via d’uscita, leggibile da un ceco, prevedibile da uno che non ha mai visto una partita. Sbaglia le spaziature con Sergio Ramos, non anticipa quasi mai, non ci capisce letteralmente nulla dell’attacco degli olandesi. Se il mondo è giusto, ieri sera Shakira è andata a letto con Robben.

Diego Costa era l’incognita, il punto di domanda che stava al posto del falso nueve nella formazione della Spagna. Probabilmente anche per lui Del Bosque ha cambiato il modulo, gli ha messo accanto Xavi, attorno Silva e Iniesta e gli ha detto: “senti Diego, tu pensa a metterla dentro”. E all’inizio non sembrava nemmeno male come idea. Il rigore se lo prende praticamente da solo, scherzando col moccioso che ha la pretesa di marcarlo, ma dopo quella giocata sparisce dal campo. Quel moccioso gli prende le misure e lo eclissa. Esce dopo un’oretta di gioco perché Del Bosque lo compatisce. Completamente avulso dal gioco dei compagni, un grosso corpo estraneo che vaga per l’attacco, fischiato e stra-fischiato per quella maglia che si è voluto mettere addosso, costringendo i brasiliani ad attaccare con Fred.

Tutte considerazioni a caldo, perché la Spagna vincerà i mondiali, Diego Costa sarà il capocannoniere All-time con 13 gol, Casillas parerà 3 rigori, di cui due in finale, Piqué farà una cosa a tre con Shakira e Jennifer Lopez. Non mi interessa, ho goduto troppo a vedere perdere la Spagna, ho goduto troppo a salutarli con la manita, e possono vincere i mondiali che vogliono. Ma gli olandesi ieri se li sono fumati, ed è stato lo sballo più bello di questo mondiale. E la cosa ancora più bella è che è appena cominciato.

Matteo Serra è un ex centrale difensivo con responsabilità d’impostazione, scarsamente nostalgico dei campi ghiacciati del centro Sardegna, vittima del fuorisedismo romano e dei giochi di calcio manageriali. Fiducioso nel futuro, come tutti gli scienziati della comunicazione, sogna un mondo con più Giaccherini e meno guerre.
Illustrazione di Fabio Pistoia.