Da Roma, la strada per Foligno è lunga. Raccordo, A1 e poi Flaminia: 85 kilometri di Flaminia asfaltata a strati come la parmigiana di mammà. Tutto intorno: le campagne e le colline in fiore in cui Don Matteo miete vittime con l’inquietante connivenza di un nano e una perpetua.
Stiamo andando a Foligno per la “Festa di Scienza e Filosofia” aspettandoci quel solito mix squallido ma seducente di: vulgata scientifica, degustazioni di norcineria locale e sesso extraconiugale in camere d’albergo medio-poco chic.
E invece diomio a Foligno nessuno sembra seguire il nostro copione.
Una tangenziale in miniatura cinge il centro storico come un abbraccio: al suo interno il solito reticolo di vicoli stretti e freschi, facciate di chiese con rosoni calcarei, archetti ciottoli e frescure. La pietra che pavimenta e veste il centro storico della provincia signorile italiana è pudica e intima. Calpestio, acciottolio, sgocciolio: penetriamo la città nel post prandiale sonnolento a questo ritmo.
Il quadro si completa con ossessivo manierismo: i vecchietti covano noia sulle panchine, le osterie si chiamano appunto solo “osteria” e i menu sono “in ino e in etto”: tortino, trancetto; cicorietta zuppetta..
Ma a Foligno, come dicevamo, non ci stanno a piegarsi ai nostri stereotipi che sanno di naftalina. E infatti, senza senso come una pasquetta col sole, ci si presenta il negozio di carrebean food.
Esattamente: la cittadella in mattoncino rosso è stata invasa da una comunità caraibica che ha aperto ‘o biznèss nell’alimentare: frutta secca, tuberi proteiformi e riso ballerino.
Chissà se anche a Roma arriverà un giorno la moda del caraibico: fine del monopolio del bangla, istituzione del mercato libero. Concorrenza tra schiavi nella splendida cornice del capitalismo.
Ma a Foligno non c’è solo ‘o biznèss.
A Foligno c’è l’amore,
e la contesa.
A Foligno c’è l’eleganza per il lui d’altri tempi,
e la favola pacchiana per la lei moderna.
A Foligno c’è la madonna,
e l’internet che non prende.
E insomma, travolti da tutta questa provincia esuberante, quasi ci dimentichiamo del motivo del nostro viaggio: ‘ò festivàl. 4 giorni di lavori, 92 relatori e 114 incontri disseminati nei palazzi signorili del centro.
Oltre che fare PR, scambiarsi energiche strette di mano e disporsi in circolo col prosecchino sfiatato in mano camuffando male la noia, scienziati e filosofi si ritrovano per dirsi CHE COSA?
Fondamentalmente per ripetersi come un mantra che la filosofia ha ancora un peso nelle decisioni della sperimentazione e della tecnica: la scienza produce i mezzi, la filosofia indica i fini. Ma è davvero così? La speculazione filosofica in Italia dà questo contributo?
Questo articolo sembra dire che in qualche modo è vero: viene dipinto un quadro sintetico delle specificità delle maggiori filosofie europee e ne emerge che, attualmente, il laboratorio-Italia non produce una speculazione filosofica specifica, quanto piuttosto un “pensiero totale”. L’italian thought sarebbe un’attitudine tutta italica alla riflessione trasversale, eterogenea e aspecifica. Ed è proprio in questi incroci di razza che si generano quei filo-scienziati che usano i classici e la tecnica per sciogliere gli enigmi dell’umano, dell’universo, del tempo.
E quindi ecco il nostro incontro con i filo-scienziati: un piccolo elenco dei fatterelli scientifici che mi hanno fatto pensare. Vulgata semplificatoria e thaumazein facile da filosofo entusiasta del mistero della vita.
Fabio Beltram è Ordinario di Fisica della Materia alla Normale di Pisa e direttore di un laboratorio di Nanoscienza. Ci accompagna in un viaggio dentro la materia, verso i nanocosi che compongono tutto. Di cosa sono fatti? Come si comportano?
Gli elettroni, ad esempio, sono oggetti difficili da definire. Non sono semplici particelle, né semplici onde: sono onde e particelle insieme. A seconda delle condizioni in cui si trova, infatti, questo nanocoso adotta comportamenti e manifesta qualità da onda o da particella, senza per questo perdere l’altra natura.
La complessità della sua struttura, insomma, comporta stranezze. Ne è un esempio il caso del tunnel: posto difronte a una barriera con due buchi, l’elettrone attraverserà la barriera da entrambe i buchi, simultaneamente e senza dividersi.
Storditi? Io sì, un botto.
Perché ci è difficile pensare a un corpo che è due cose insieme e che, oltretutto, senza dividersi, è simultaneamente in posti diversi? Perché usiamo categorie concettuali e linguistiche derivate dalla nostra esperienza del mondo: quella sensibile e osservabile. Non sappiamo capire e parlare dei nanocosi o di dio perché non ci stanno davanti, non fanno parte del nostro mondo. Ormai, però, che almeno i nanocosi li possiamo vedere, siamo costretti a fare un doppio carpiato mortale e spingere il nostro culo pigro a pensare ciò che è abissalmente oltre di noi.
Difronte a un corpo che è in due posti senza sdoppiarsi, noi chiameremmo in causa il paradosso e l’assurdo, ma se ci fermiamo ad ascoltare le parole, l’etimo “parà-doxa” significa ciò che va contro l’opinione comune, così come “ab-surdum” ciò che si allontana dal sentito. Insomma, il paradosso e l’assurdo indicano semplicemente una diversità da ciò che è comune, sottomano, abituale, ma non un’impossibilità sostanziale.
I nanocosi ci insegnano che laggiù o lassù non c’è il mistero insondabile, una formula impenetrabile: c’è solo complessità e diversità. E che dobbiamo alzare il nostro culo pigro e meet the diversity.
Sono le sei del pomeriggio, il cielo è ancora alto e luminoso. Afferriamo porchetta e sigarette e lasciamo Foligno.
Se il tempo è relativo: quanta vita in questo sabato. E quante storie, nella provincia.
Ps: Foligno davvero non ci molla, vuole strapparci il cuore: sulla strada piovono parapendii come polpette e gli Explosions in the Sky li dirigono.