Sul diritto di essere sexy
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Sul diritto di essere sexy

Il pregiudizio che associa disinibizione a malizia e vanità a superficialità è del tutto ereditato da una visione bigotta della femminilità, tanto quanto il pregiudizio che associa bellezza a stupidità.

Giusto un paio di anni fa è nata una stella, una giovane modella americana che ha fatto breccia nel cuore di tanti, tantissimi uomini. La modella in questione si chiama Emily Ratajkowski, e oltre ad avere un cognome impronunciabile ha anche un seguito maschile che non si risparmia di manifestare la sua approvazione con divertenti iniziative virali lanciate da hashtag grammaticalmente inesatti. Emily Ratajkowski è il celebre target di quell’invito ad “uscire” le “minne”, o meglio, più che un invito, un’esortazione a fare quel che tutti ci aspettiamo da lei, denudarsi. Del resto, perché non dovrebbe spogliarsi per noi se lo fa ogni giorno per lavoro?

Ma facciamo un passo indietro: Emily non è sbucata fuori dal nulla, non è diventata un sex symbol universale solo grazie alla sua carriera da modella. Nel 2013 è la protagonista indiscussa di un video che ha generato non poche controversie, Blurred Lines di Robert Thicke feat. gli acuti di Pharrell Williams. Oltre ad accuse di plagio per una certa somiglianza con il brano di Marvin Gaye Got to give it up, Robert Thicke è stato abbondantemente criticato da più parti per il contenuto sessista che passa attraverso quel «I know you want it, hey-hey-hey». Secondo un’opinione diffusa, il testo della canzone sottintenderebbe un messaggio pro-stupro, con riferimenti alla dinamica uomo-cacciatore/donna-preda in cui la gazzella ha, sotto sotto, tanta voglia di essere mangiata quanto il leone ne ha di mangiarla. La canzone fu persino bandita da alcuni luoghi (il bar dell’università nel Regno Unito che frequentavo ai tempi, per esempio) e ad alimentare ulteriormente la polemica e l’indignazione c’era lei, Emily, con il suo perizoma rosa carne e il suo seno scoperto, soprattutto nella versione per adulti “uncensored”. Nel video la modella balla e ammicca con  sguardo languido accanto al vestitissimo Robert Thicke, il quale non risulta affatto essere il protagonista della scena, nonostante i suoi ripetuti «hey-hey-hey». 

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L’esordio della Ratajkowski è dunque segnato da questo ruolo sì controverso, ma anche estremamente efficace. Non passano molti mesi dall’uscita di quel video perché i suoi social venissero invasi da un’orda di giovani i quali, abbagliati dalla visione di una donna nuda e svampita, non hanno indugiato davanti la succulenta occasione di fare un po’ di comicità all’italiana. E così, Emily non è più solo la bonazza ignuda di Blurred Lines, ma è la bonazza mezza ignuda alla quale si lasciano commenti goliardici in una lingua ibrida italo-inglese, tutti marchiati da quel verbo intransitivo, #escile. Praticamente nessuno di questi giovani si è tuttavia accorto della recente svolta politica della Ratajkowski, la quale ha dato pubblico appoggio al socialista Bernie Sanders, e quei pochi che lo hanno fatto non hanno perso tempo ad inventarsi raffinate e brillanti associazioni tra la bellezza (per non usare un altro termine) di Emily e la politica del candidato alle primarie del Partito Democratico americano, alludendo ad una ridistribuzione dei beni. Allo stesso modo, quasi nessuno ha notato che in una sua foto di nudo integrale pubblicata su Instagram la modella annuncia l’uscita di un suo saggio per la rivista online di Lena Dunham, Lenny Letters. Al contrario, la reazione è stata quella da tifoseria di una squadra che finalmente vince qualcosa: sì, finalmente Emily ha accolto la nostra preghiera, finalmente Emily le ha “uscite”.

 

La lettera ha un titolo che rimanda alla sua infanzia, Baby Woman, facendo riferimento al modo in cui suo padre la chiamava quando era ancora una bambina ma portava già una quarta di reggiseno. La fase di preadolescenza a cui fa riferimento la Ratajkowski la conoscono bene tutte quelle donne che hanno fatto ingresso nel mondo della sessualità in modo un po’ violento, senza capire bene perché ad un certo punto il modo in cui l’altro sesso si approccia cambi. La lettera della modella americana racconta una serie di esperienze nelle quali non risulta difficile immedesimarsi anche se non sei una modella, esperienze umilianti associate ad una fase della crescita in cui la tempesta di ormoni che ti ha assalito il cervello rende poco chiari alcuni meccanismi sociali con i quali ti scontri inesorabilmente. E così, la professoressa ti dice di coprirti perché sei provocante e distrai i compagni, l’amico di famiglia si complimenta per la tua bellezza con un tono mellifluo ed uno sguardo viscido, la zia ti raccomanda di stare attenta e di non esporti troppo, perché non sei più una bambina e il messaggio che lanci può ritorcertisi contro. Stare attenta a cosa? Il messaggio sbagliato che si lancia, esattamente, qual è? Quello che se si espone il proprio corpo è per risultare ambigua e volgare, per comunicare al mondo maschile che «you want it», per dirlo alla Thicke?

La modella sottolinea un aspetto della femminilità molto interessante: è quasi automatico associare un modo di esporsi attraverso vestiti e movenze con un modo di essere “disponibili” verso l’altro sesso. Un atteggiamento come quello della Ratajowski, e di tutte quelle donne che manifestano la propria avvenenza con un certo tipo di estetica, nei confronti del suo corpo così privo di pudicizia è interpretato come maliziosamente libertino. La spregiudicatezza, o semplicemente la libertà, con cui una giovane donna mostra la sua bellezza porta ad un ragionamento in negativo: quello secondo cui l’essere sexy è qualcosa che si fa per soddisfare il desiderio maschile, non quello personale. Essere sexy è un gioco nel quale la capacità di una donna di risultare attraente e ben disposta funge da trappola per l’occhio di chi la guarda. Non solo: se per il mondo maschile un simile atteggiamento riscuote tanto successo, manifestato concretamente in una serie di commenti volti al reclamo di qualcosa (come a dire: «Ah sì? Tu ti scatti una foto in costume? E ora mi fai vedere tutto.»), non è prevedibilmente simile la reazione del mondo femminile, il quale solitamente si premura di sottolineare la mancanza di virtù che c’è in un topless. Dunque, la donna sexy si troverà tra due fuochi, quello dell’uomo che «I know you want it» e quello della donna giudice di moralità, banale copertura di una non così tanto latente competizione. Oltretutto, non va tralasciato anche un altro aspetto della questione donna sexy, che è quello del binomio bella-stupida, come dimostra lo stupore con cui è stata accolta la notizia dell’endorsement di Emily per Sanders. E da ciò, tutto quel filone di umorismo al femminile che fa leva sull’essere brutte e intelligenti, giusto per riconfermare ulteriormente la supremazia del giudizio maschile in fatto di bellezza.

È dunque impossibile dissociarsi da questa visione così schiacciante della sensualità femminile senza correre il rischio di generare opinioni sbagliate di sé o semplice invidia nel mondo circostante? Il diritto di essere sexy è nient’altro che la libertà di poter esercitare la propria vanità senza doversi giustificare né difendere, oltre che la rivendicazione della proprietà del nostro corpo. Il concetto secondo cui una donna o una ragazza deve stare attenta a come si presenta è un concetto che non tiene conto del fatto che la volontà femminile di apparire in un certo modo non è necessariamente dipendente dalla percezione che un uomo ne ha. Il pregiudizio che associa disinibizione a malizia e vanità a superficialità è del tutto ereditato da una visione bigotta della femminilità, tanto quanto il pregiudizio che associa bellezza a stupidità.

La valanga di commenti alle foto di Emily Ratajkowski rappresentano un episodio abbastanza imbarazzante per il genere maschile, oltre a rafforzare lo stereotipo dell’uomo italiano incapace di contenere il proprio entusiasmo davanti ad una bella donna che non ha problemi a mettersi in mostra come più le aggrada. In effetti, di tutta questa storia, sarebbe giusto sapere anche cosa ne pensi la diretta interessata: avrà colto il grido disperato di una generazione di uomini medi, o non si sarà neanche chiesta cosa potessero significare quelle migliaia di messaggi d’amore?

Alice Oliveri
Nata a Catania nel 1992, studentessa a Roma dal 2011. Scrivere, leggere, suonare tanti strumenti e guardare molti film sono le sue passioni.
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