Wang Jialin
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
2022
01 gennaio
Dude Mag
03 marzo
Alessio Giacometti
05 giugno
Simone Vacatello
07 novembre
Marco Montanaro e Gilles Nicoli
09 gennaio
TBA
TBA
10 febbraio
TBA
TBA
11 marzo
TBA
TBA
12 aprile
TBA
TBA
×
×
È arrivato il momento di iscriverti
Segui Dude Mag, dai!
79
https://www.dudemag.it/attualita/wang-jialin/

Wang Jialin

Houhai, il tempio dell’alcol di Pechino. È venerdì 30 luglio 2010 e il sudore cola denso dalla fronte di tutti quelli che hanno avuto a che fare con la città durante il giorno.

Houhai, il tempio dell’alcol di Pechino. È venerdì 30 luglio 2010 e il sudore cola denso dalla fronte di tutti quelli che hanno avuto a che fare con la città durante il giorno. La birra di Qingdao è buona, ma forse ho bisogno di qualcosa di più forte: ordino per me e i miei amici 3 bicchieri di baijiu, un liquore di riso. Siamo in compagnia di due ragazze del Liaoning: Tianxue e Wang Jialin. Tianxue è molto carina, dai modi gentili e delicati, e sembra interessata al nostro Mattia. Al secondo bicchiere di baijiu, Mattia e Tianxue rompono gli indugi e si allontanano insieme per una passeggiata sul lungolago, illuminati dai neon dei bar.

Io e Luigi ci accendiamo una sigaretta e ne approfittiamo per conversare con Wang Jialin.

Ti piace la Cina? – Mi chiede lei.

DUDE – Sì, mi piace molto. La cittadina da cui provieni è la mia preferita. L’unica cosa che non mi piace è il parco delle tigri, dove puoi comprare una gallina, un vitello o un agnello vivi e darli in pasto alle tigri. Lo trovo crudele.

Lei accetta la critica meglio di quanto mi aspettassi.

Luigi mi incita a intraprendere una conversazione un po’ più sul filo del rasoio.

La mia vista e la mia capacità di prendere decisioni sono annebbiate abbastanza da spingermi ad accettare.

D – Cosa sai degli avvenimenti di Tiananmen del 1989?

WJ – (pensa) Non so, a cosa ti riferisci di preciso?

D – Mi riferisco al massacro degli studenti in piazza il 4 Giugno 1989. Cosa sai?

WJ – Mi dispiace risponderti con una domanda, ma cosa sai tu?

D – Beh, io so che dopo la morte di Hu Yaobang, il più democratico nel governo di Deng Xiaoping, moltissimi studenti si sono riuniti in piazza per ricordarlo, ma c’è voluto molto poco perché questo evento si trasformasse in una manifestazione in piena regola.

WJ – Una manifestazione per cosa?

D – Volevano delle riforme più democratiche. Chiedevano la democrazia. Lo sapevi?

WJ – No. Sapevo che era successo qualcosa di grave, ma non ne conoscevo il motivo.E poi cosa è successo?

D – Deng Xiaoping ha mandato l’Esercito Popolare di Liberazione a risolvere la faccenda. Sono morti moltissimi studenti, alla fine degli scontri la piazza sembrava un teatro di guerra.

WJ – Beh, non ne sono morti poi molti. Tra i duecento e i trecento.

D – Mi dispiace contraddirti, ma le stime parlano di oltre 2000 studenti disarmati massacrati. Cosa ne pensi?

WJ – Penso che sia un modo come un altro di risolvere una questione. Se il presidente ha deciso così avrà avuto le sue ragioni. Tu come le sai tutte queste cose?

D – Quelle immagini hanno fatto il giro del mondo. Tutto il mondo sa cos’è successo. E tutto il mondo condanna quella decisione.

WJ – Uccidere non è mai una buona decisione, ma se il presidente Deng ha deciso così avrà avuto le sue ragioni. Sulla strada verso il raggiungimento di un obiettivo si incontrano sempre tanti ostacoli, l’importante è superarli. E anche se la trovate una decisione deplorevole, Deng Xiaoping ha fatto anche tante cose buone.

D – Sì, certo. La politica di riforme ed apertura della Cina ha arricchito tutti, cinesi e non. Senza quella riforma non potrei essere qui a parlare con te e godermi questo panorama dal tetto di questo bar, ad esempio. Dico bene?

WJ – Sì, prima di allora la Cina era un paese molto chiuso. Nessuno poteva entrare e nessuno poteva uscire. Sono molto contenta che siate qui, siete i primi stranieri che conosco che non tengono le distanze dai cinesi. Ho sempre pensato che il motivo per cui molti occidentali non vogliono stringere amicizia con noi è che siete molto più chiusi.

D – Beh, in qualche modo è così. Poco fa stavamo in piazza con 7 cinesi diversi, di cui 3 sicuramente ubriachi, a cantare “O Sole Mio”. In Europa e Stati Uniti è già più raro che succeda una cosa del genere.

WJ – Dici sul serio?

D – C’è più distanza. Oramai i contatti tra gli esseri umani avvengono soprattutto su internet…

WJ – Ah, le chat? Beh, le abbiamo anche noi.

D – Conosci Facebook e Youtube? (mi chiede di ripetere i nomi)

WJ – No, non li ho mai sentiti nominare. Cosa sono? Dei blog?

D – Più o meno. Su Facebook puoi contattare i tuoi amici, scrivere status e condividere informazioni. Su Youtube, invece, puoi caricare dei video e ricevere commenti. Praticamente senza questi due siti internet non avremmo la possibilità di conoscere persone e avvenimenti in maniera più approfondita. Io odio Facebook, eppure ho dovuto registrarmi anche io. Qui non posso andare su quei siti, il vostro governo li ha censurati.

WJ – Magari non sono censurati. Sono dei siti occidentali e da qui non potete aprirli, tutto qua.Ci sono siti cinesi a cui voi non potete accedere dal vostro paese, giusto?

D – Sì, alcuni dei vostri siti possono essere aperti solo in Cina, ma Facebook e Youtube sono i due siti internet più visitati al mondo. Mi sembra strano che il motivo per cui non ci si possa accedere da qui sia solo geografico. Ma non divaghiamo, dicevo che senza internet le possibilità di conoscere gente si assottigliano molto.

WJ – Quindi se camminando per strada vedi una ragazza che ti piace non puoi fermarla come hai fatto con Tianxue? O se vedi una persona che a prima vista sembra interessante e gentile non puoi andarci a parlare per farci amicizia?

D – Puoi farlo, ma ti ritroveresti davanti agli occhi una persona intimorita e comunque diffidente. Almeno in principio.

WJ – Che brutta cosa. Dovete essere molto soli. è così anche con le persone care?

D – No, assolutamente. Gli amici sono amici, la famiglia è la famiglia. Questi valori ancora non li abbiamo ancora persi, per fortuna.

WJ – Anche qui gli amici e la famiglia sono importanti. Però noi cinesi ci sentiamo tutti parte di un qualcosa di più. C’è un detto molto famoso che dice: “Tutti noi abbiamo una casa. Questa casa si chiama Cina”. E se la mia casa è la Cina, le persone che la abitano sono miei fratelli.Sai cosa diceva Confucio?

D – Non lo so. Cosa diceva?

WJ – Diceva: “Colui che cammina davanti a me è di certo il mio maestro”.

D – Cosa significa?

WJ – Significa che si può e si deve imparare gli uni dagli altri. Anche la persona più povera e più diversa da te può insegnarti qualcosa. Per questo siamo così uniti.

Siete sempre stati così distanti gli uni dagli altri?

D – No, negli anni 60 eravamo più uniti. Forse perché iniziavamo a vedere la ricchezza, la guerra era già dimenticata e c’era desiderio di crescita, di modernità.

WJ – Allora perché vi siete allontanati?

D – Questa è una bella domanda. Forse perchè c’è rispetto per le differenze tra le persone, quindi tutti si sentono in diritto di essere diversi gli uni dagli altri. Forse è un modo come un altro di spiccare e sentirsi unici.

WJ – Questo è un principio democratico, giusto?

D – Assolutamente. Le differenze arricchiscono.

WJ – Ma se questo è una conseguenza della democrazia, come fate a dire che è una cosa buona?Di concreto non vi ha dato niente di più di quello che abbiamo noi: mangiate dove volete come noi, avete degli amici come noi, avete una famiglia come noi, avete un lavoro, degli interessi, una casa. Proprio come noi. L’unica differenza è che voi vi siete chiusi in voi stessi. Mi sbaglio?

D – è un punto di vista interessante. Però c’è da dire che la democrazia e il rispetto dei diritti umani ha reso la nostra vita di tutti i giorni meno difficile. 

WJ – A cosa ti riferisci in particolare? La nostra vita non è difficile.

D – Ho conosciuto altri cinesi prima di te. Uno di loro si chiama Mingming, fa il cameriere a Sanya: lavora 14 ore al giorno, guadagna una miseria e non possiede niente. Neanche il letto su cui dorme. Una cosa simile in Europa o Stati Uniti sarebbe impensabile.

WJ – Ma il lavoro è una parte fondamentale della vita di una persona! Ti voglio chiedere una cosa: lui ti ha mai detto di essere scontento della vita che fa?

D – No, devo dire che non ha mai detto niente. Ma credo che non fossimo ad un livello di confidenza tale da permettere confidenze del genere.

WJ – Perché non ci sono confidenze da fare a riguardo. Lui sa che quel lavoro è il massimo al quale può aspirare al momento. Se fa il cameriere è perché non ha studiato, non si è laureato e ha dovuto accettare quello stile di vita. Non poteva certo rimanere disoccupato! Il lavoro è una cosa fondamentale per la vita di un uomo.

D – Sì, ma non deve essere l’unica ragione di vita. Uno deve avere anche del tempo da dedicare ai propri figli, ai propri amici, ai propri interessi, altrimenti è già morto.

WJ – Ma noi lo facciamo con piacere. è vero, sacrifichiamo tanto tempo che potremmo passare con i nostri figli o con i nostri amici, ma alla fin fine lo facciamo per loro. C’è un equilibrio in fondo.

D – Beh, anche noi lavoriamo per mantenere la nostra famiglia, offrirgli più possibilità, ma non lavoriamo tanto quanto voi.

WJ – Voi siete occidentali, non potete capirlo.

D – Capire cosa?

WJ – Non lo facciamo solo per i nostri figli. Ma per tutti i figli. Lavoriamo duro per costruire una Cina migliore, una Cina più forte e più vivibile per le generazioni future. Stiamo costruendo la “società perfetta”. Una società più ricca per tutti, in cui non ci sono poveri e disoccupati.

D – Sì, la vostra economia cresce velocemente, è la seconda economia del mondo. Ci sono milioni di aziende che crescono a dismisura e i loro manager hanno già uno stile di vita molto elevato. Spesso anche più elevato della media occidentale. è questa la società perfetta?

WJ – Non hai capito. Ora come ora siamo molto simili a voi: c’è gente ricca e c’è gente povera. Ma così non va bene. Non sarebbe meglio se fossimo tutti ricchi? Se avessimo tutti le stesse possibilità economiche? Che razza di società è una che permette uno squilibrio sociale così alto? C’è chi guadagna poco lavorando tanto e chi lavora poco e vive nel lusso. Una società così è una società malata.

D – Quindi tutti voi lavorate per il futuro della Cina ed eliminare queste ingiustizie?

WJ – Esatto. Per l’armonia tra gli esseri umani.

D – Ma l’equilibrio tra gente ricca e gente povera c’è sempre stato. è purtroppo una condizione necessaria al capitalismo. E a giudicare dalla struttura economica del vostro paese, state diventando sempre più simili agli Stati Uniti: una società capitalista.

WJ – Non è vero. C’è stato un tempo, durante la presidenza di Mao, in cui tutti i cinesi erano uguali. Erano tutti poveri, certo. Ma erano uguali. Era la Cina socialista.Ma se è possibile essere tutti poveri, allora è possibile essere tutti ricchi. E ora che la nostra economia ci permette di sperare non possiamo rovinare tutto. Chi è povero ora, un giorno sarà ricco. E chi è ricco già oggi, deve aiutare gli altri a raggiungere il suo livello. Questo principio rientra in quella che noi chiamiamo “economia di mercato su base socialista”.La nostra economia. E un giorno daremo vita a questo progetto.

D – E non dubitate mai che questo possa accadere?

WJ – Certo, ci sono molte persone a cui fa comodo la situazione attuale. Sono persone affascinate dal vostro stile di vita e vi imitano in tutto: vestiti, cibo, abitudini. Ma sono egoisti, ricchi e ovviamente non gli interessa se tutti gli altri muoiono di fame. Però la Cina è fatta di gente povera. Ed è la gente povera a mandare avanti tutto il paese. Possiamo provarci, possiamo sperare.

D – Ci credete così fermamente?

WJ – Sì, è la cosa giusta da fare. Magari non succederà durante la nostra vita. Magari neanche nelle prossime duecento. Però un giorno succederà e sarà un successo solo cinese. L’abbiamo fatto tutti per tutti. Siamo stati uniti e ce l’abbiamo fatta tutti insieme. Abbiamo un obiettivo da raggiungere, e lo stiamo raggiungendo insieme.

 

La sua calma disarmante e la bellezza dei concetti in cui crede convincerebbe anche il più remissivo degli interlocutori, e il fatto che ostenti una simile sicurezza mi dà l’impressione che quello che penso e quello che potrei dire non avrebbe mai lo stesso impatto.

Poi penso che anche noi un tempo credevamo nella società perfetta, nella democrazia, nella diplomazia, in Dio. Eppure tanti di noi hanno smesso da tempo.

Credo che non sia giusto andare oltre, già così le ho inserito troppi tarli nel cervello. Se ci crede è giusto che si adoperi perché si avveri. Se questo la rende felice non ho il diritto di contraddirla. Se mai volesse osare al di fuori dei suoi orizzonti sarà perché lo vorrà. E magari neanche dopo averlo fatto cambierebbe idea. Non sarebbe la prima. E speriamo neanche l’ultima.

Dario Matteo Sparanero
Segui Dude Mag, dai!
Dude Mag è un progetto promosso da Dude