Taxi di Jafar Panahi ha vinto la Berlinale 2015. Io non l’ho visto perché quando hanno dato la proiezione per la stampa, non ero ancora arrivata a Berlino, e poi ogni volta che ho provato a prendere i biglietti (sapendo che avrebbe vinto) erano sempre esauriti.
Il che mi fa pensare che non ero proprio l’unica ad avere avuto questa soffiata (uhm… un film di Panahi, regista iraniano dissidente, girato di nascosto visto che lui è condannato dal regime a non poter più fare film, né scrivere sceneggiature, né rilasciare interviste per 20 anni, né in Iran né altrove; come dire, non dargli un premio avrebbe quasi sfiorato il sadismo) ma soprattutto mi fa pensare che tutti quanti avessero la sveglia mattutina settata almeno un paio di ore prima della mia.
Per chi ha un accredito da giornalista, vedere i film in programma alla Berlinale funziona così: o si va alla proiezione mattutina per la stampa in cui basta mostrare il badge o – muniti del badge – bisogna recarsi di persona ogni giorno dalle 9:00 in poi a Potsdamer Platz (un posto statisticamente fuori mano rispetto a qualsiasi parte di Berlino in cui ci si trovi a vivere e con i bar più cari di tutta la città) a richiedere i biglietti per il giorno stesso e per il giorno successivo. Quindi è un po’ come al mercato, se ti svegli tardi ti becchi le rimanenze.
Non ho idea del perché funzioni così. Del perché non esista un sistema telematico. Del perché bisogna incontrarsi e guardarsi in faccia. Del perché di tutta questa promiscuità e condivisione. Del perché ogni mattina si è costretti a subire dal vivo l’umiliazione di essersi svegliati tardi e beccare gli altri che ti annunciano in anteprima che è rimasta poca roba.
Intanto loro, col badge che gli tintinna sul petto tipo un medaglione da rapper, stringono in mano una manciata di biglietti gialli, soddisfatti come se avessero appena preso un polpo (nemmeno comprato, proprio pescato). Poi, come se non bastasse, ti devono parlare alle 11 di mattina del film fantastico che ti sei già persa (perché c’è anche una proiezione stampa alle 9:00) e infine ti liquidano di colpo perché:
- devono scappare a un’altra proiezione;
- devo scappare a vedere la conferenza stampa;
- devono scappare a scrivere il loro pezzo;
- devono scappare a fare un’intervista;
- devono scappare al bagno;
Dal momento che gli addetti a distribuire questi biglietti gialli per la stampa sono sempre gli stessi, ovvero quattro persone (entusiaste del loro lavoro più o meno come un impiegato delle poste), l’umiliazione non ti arriva solo dai tuoi colleghi solerti ma anche da loro. Cioè dopo il secondo giorno sanno chi sei, ti riconoscono. Tu arrivi lì al desk con la tua lista di film che vorresti vedere e loro cominciano a scuotere la testa dal primo fino all’ultimo. Così alla fine ti prendi quello che resta, al massimo un paio di trote di allevamento.
Prometti a te stessa che il giorno dopo ti sveglierai prima. Entri in quel sistema perverso di calvinismo crucco, in cui non sei a un festival di cinema per piacere, ma per dovere.
O meglio, se anche fossi a un festival di cinema per piacere, il tuo imperativo morale ti porterebbe a credere che ci sei per dovere.
Questo per dirvi perché qui non troverete niente sul nuovo film di Panahi (in compenso per placare i miei sensi di colpa, ho recuperato il mio deficit di irananianesimo con una serata di elettronica persiana niente male).
Comunque, a parte la dissidenza e compagnia bella, pare che Taxi meriti davvero.
Quello che troverete invece sono conversazioni random della gente alla Berlinale, prima e dopo la proiezione di un film, in fila, al cesso, al bar, in metro, con dei brevi resoconti dei film a cui si riferiscono, più due appendici omaggio.
Angelica di Mitchell Lichtenstein
Londra. Epoca Vittoriana. Un melodrammone con tentativi da humor inglese su una donna costretta all’astinenza sessuale dopo aver rischiato la vita nel dare alla luce sua figlia. L’astinenza le provoca una specie di delirio isterico in cui è convinta che il desiderio sessuale di suo marito si trasformi in uno sciame di microbi pronto ad aggredire la figlia e molestare lei. Visto che non lo vedrete mai, vi dico che il tutto finisce con un maschicidio. La donna fa credere allo sciame di microbi di essere pronta a farsi scopare, e poi lo accoltella senza rendersi conto che si tratta in realtà del marito.
Conversazione n. 1 – Comefosseantani
Un lui e una lei sulla quarantina (presumibilmente amici). In fila, parlano in inglese, ma l’espressione fica speciosa è in italiano.
Lui: «Secondo me sarà uno di quei film che se poi ti chiedono com’è puoi dire: “Ah, mi fa pensare a fica speciosa” e nessuno ha idea di che stai parlando.»
Lei: «Infatti. Di che stai parlando?»
Lei: «Fica speciosa, è per spostare un discorso verso il nonsense. Tipo a una festa, a un appuntamento, se mi annoio me ne esco sempre con un fica speciosa.»
Lei: «Ma sono stata vittima anche io di un tuo fica speciosa da quando ci conosciamo?»
Lui: «Ehm, temo di sì.»
Conversazione n. 2 – Metateatro
Due amiche sulla trentina all’uscita del film.
Ragazza 1: «Non era male, forse un po’ teatrale…»
Ragazza 2: «Ma dici nel senso della sceneggiatura o della recitazione?»
Ragazza 1: «No, dico proprio nel senso del teatro.»
Kurt Cobain: Montage of Heck di Brett Morgan
Documentario autorizzato sulla vita di Kurt Cobain, fatto con interviste e materiale d’archivio. Bella la prima parte, noiosa la seconda in cui si sente tutto il tempo la pistola di Courtney Love puntata alla tempia del regista. Però si capisce perché Cobain la amasse tanto, è tipo la versione sfasciona di sua madre.
Conversazione n.3 – Inganni sentimentali
Due ragazze ventenni in bagno davanti allo specchio prima dell’inizio del film.
Ragazza 1: «Lo sai che sono nata lo stesso giorno di Cobain?»
Ragazza 2: «Ma dai! Anche il mio ex ragazzo, il 7 luglio…»
Ragazza 1: «No, veramente è il 20 febbraio.»
Ragazza 2: «…»
Ragazza 1: «Credo che ti abbia raccontato una cazzata.»
Conversazione n. 4 – Traguardi
Una coppia sui trent’anni, alla fine del film, appena si accendono le luci in sala.
Lui: «Io pure soffro di mal di pancia, ma non sono diventato un grande musicista.»
Lei: «In compenso sei diventato un grande depresso.»
Yi bu zhi yao, di Jiang Wen
Non ho idea di che parli questo film. Dopo i primi venti minuti (belli) ho smesso di seguirlo. Quando all’uscita ho chiesto ai miei compagni di visione di che parlasse il film, ci siamo sentiti tutti quanti immersi in una sorta di zombitudine in cui non ricordavamo più niente di quello che era appena successo. Poi ci siamo ripresi. Ma i ricordi non sono mai più affiorati.
Un lui e una lei, sulla cinquantina, italiani. Lei con i capelli rosso fuoco, che dopo questa conversazione è stata tutto il tempo a urlare al telefono in milanese per organizzare uno shooting fotografico. In sala prima che cominci il film.
Conversazione n. 5 – Cogliere le sfumature
Lei: «Quanto dura?»
Lui: «Due ore.»
Lei: «Sarà un polpettone cinese, eh!»
Lui: «Boh, non so, nel titolo c’è la parola ‘proiettili’, magari è un film d’azione.»
Lei: «Ma più drama action o comedy action?»
Lui: «Non saprei…»
Lei: «Vabbè chissenefrega tanto fra un’oretta esco e mi vado a vedere le cinquanta sfumature.»
Virgin Mountain, di Dagur Kári
Un ragazzone quarantenne, grosso e timido, che vive ancora con la madre e la cui unica passione è il modellismo della seconda guerra mondiale, s’innamora di una donna depressa che ama i fiori, i viaggi e ballare il country.
Conversazione n. 6 – Relativismo nordico
Due tizi che si sono appena conosciuti perché si sono seduti vicini. Tutti e due tra i 40 e i 50. Alla fine del film mentre si stanno rimettendo i cappotti.
Uomo 1: «Non sono mai stato in Finlandia, mi piacerebbe. E Lei?»
Uomo 2: «No, nemmeno io.»
Uomo 1: «Questi paesaggi, questa solitudine, deve essere affascinante…»
Uomo 2: «Comunque il film non è ambientato in Finlandia.»
Uomo 1: «Come no! Certo.»
Uomo 2: «No, è in Islanda. Parlano islandese…»
Uomo 1: «Ah perché, Lei parla islandese? Guardi che Kaurismaki è finlandese.»
Uomo 2: «Sì, ma il film è di Dagur Kári.»
Uomo 1: «E chi lo conosce?!»
Io e Dagur Kári nel bar di fronte al cinema, dove c’è una specie di festicciola per il film. Ovvero una decina di persone che bevono vodka.
Conversazione n.7 – Relativismo estetico
Io: Mi è piaciuto un sacco il tuo film. Ammiro questa capacità che hai di raccontare delle storie così minimali e fare dei film belli.
Dagur: Sì, certo. Nei film di Dagur Kári non succede mai niente. Pochi dialoghi. Pochi personaggi. Tutta neve. E però… che carini i film di Dagur Kári! Così minimali… Soltanto che io ci metto cinque anni a fare un film! In realtà sono dei kolossal.
Als wir Träumen, Andreas Dresen
Sogni, aspirazioni, amori, tormenti e l’immancabile disillusione di un gruppo di teppistelli dal cuore d’oro nella Lipsia post riunificazione. Film scontatissimo e oscenamente misogino ma con una colonna sonora fantastica. Quindi scaricatevi quella e lasciate perdere il film.
Conversazione n. 8 – Le regole della Berlinale
Due ragazzi sulla trentina, vestiti praticamente uguali, tutti e due pelati e con la montatura spessa, alla fine del film.
Ragazzo 1: «Ma tu hai già pranzato?»
Ragazzo 2: «No, alla Berlinale non si pranza, non si cena, non si scopa, si guardano solo i film e si mastica chewing-gum.»
Ragazzo 1: «Cazzo, è vero. Tu hai pure smesso di fumare.»
Eisenstein in Guanajuato, Peter Greenaway
Storia del viaggio in Messico di Ejzenštejn, del fallimento del suo Que Viva Mexico e della sua scoperta dell’eros, dell’amore e del senso della morte.
Conversazione n. 9 – Il giusto dell’incoerenza
Io e un mio amico alla fine del film.
Lui: «Ti è piaciuto?»
Io: «No.»
Lui: «Greenaway è così, o si odia o si ama.»
Io: «E che palle, non è che questa cosa vale per tutti. Voglio rivendicare il fatto che non odio Greenaway, non lo amo, e questo film non è mi è piaciuto.»
Io e lo stesso amico due giorni dopo in un bar.
Io: «Ci ho ripensato. Alla fine il film di Greenaway mi è piaciuto.»
Lui: «Te l’avevo detto!»
Io: «No, tu mi avevi detto che Greenaway o si odia o si ama.»
Lui: «Vabbè, resto comunque più credibile di te.»
Vergine giurata, di Laura Bispuri
Albania montana, società chiusa e iper-patriarcale, Hana ragazzina ruvida e ribelle, si appella alla legge arcaica del Kanun e in cambio di una libertà che spetta solo ai maschi, diventa una vergine giurata, cioè una donna che vive come un uomo e non può fare sesso vita natural durante. Tra i film più brutti visti al festival, finta intensità e didascalismo poetico, una variante del realismo magico in assenza di magia.
Conversazione n. 10 – Acume
Io in fila per entrare, mostro il badge allo steward della Berlinale, che rimane un po’ a guardare la foto.
Lui: «Hai cambiato taglio di capelli.»
Io: «Eh già.»
Lui: «Non volevo dire che stai male…»
(Vorrei a questo punto aprire una parentesi sugli steward e le hostess che lavorano per la Berlinale e sul concetto di multiculturalismo berlinese. In un festival in cui più sei un regista di un paese disagiato, più il tuo film ha possibilità di essere preso in una delle sue sezioni, i ragazzi che lavorano per la Berlinale sembrano usciti dalla Gioventù hitleriana. Non soltanto non c’è un solo straniero, ma è anche raro vedere un moretto o una moretta. In compenso l’addetta a togliere le bottigliette d’acqua minerale dai tavolini – unica cosa gratis per chi ha l’accredito stampa – è una signora asiatica, e i tizi che ripuliscono i cinema dopo la proiezione sono neri. Fine della parentesi.)
Knight of Cups, Terrence Malick
Non l’ho visto.
Io in fila alla biglietteria per restituire il biglietto di Malick (se decidi che non vuoi più vedere un film che ti eri preso, devi restituire il biglietto per avere la possibilità di rivederlo in un altro momento). Mi attacca bottone un tizio che me l’aveva attaccato anche il giorno prima (presumo dicendomi chi era, informazione che devo aver rimosso).
Conversazione n.11 – Egomania
Lui: «Che film ti prendi?»
Io: «Niente, sto soltanto restituendo Malick.»
Lui: «Ah, perché hai letto la mia recensione!?»
Haftanlage 4614, Jan Soldat
Documentario su un fenomeno di nicchia del mondo fetish, gente che ama (a pagamento) farsi imprigionare e torturare in un carcere modello Guantanamo, soltanto che siamo nella periferia di una città industriale tedesca. C’è una scena in cui il carceriere indica al prigioniero come buttare la spazzatura nella differenziata. Purtroppo dietro non c’era alcun intento ironico.
Conversazione n. 12 – Simbolismi
Io e una mia amica all’uscita del film.
Io: «Ma quindi questo è l’unico film che sei riuscita a vederti alla Berlinale?»
Lei: «Sì, ma non è che adesso bisogna prendere tutto come un segno, okay?»
Love and Mercy, di Bill Pohlad
Film ispirato alla vita di Brian Wilson, leader dei Beach Boys. Commedia divertente su un uomo tormentato, psicotico e genialoide costretto a scrivere canzoncine allegre e spensierate per essere fedele al suo stile e vendere dischi.
Conversazione n. 13 – Oscure insinuazioni
Prima del film, due ragazzi sulla trentina che si sono appena conosciuti, il ragazzo n. 1 ha le scarpe una diversa dall’altra.
Ragazzo 1: «Io l’ho già visto al festival di Toronto.»
Ragazzo 2: «Ah, sì? È così bello che te lo rivedi?»
Ragazzo 1: «No, sai, è che per il lavoro che faccio m’interessa vedere il tipo di pubblico che c’è…»
Ragazzo 2: «Ah, okay, lavori nel cinema?»
Ragazzo 1: «No, nell’industria musicale, non so se mi spiego…»
Ragazzo 2: «Okay.»
Ragazzo 1: «E tu che fai? Il musicista?»
Ragazzo 2: «No, il programmatore.»
Ragazzo 1: «E perché sei venuto a vederti questo film?»
Ragazzo 2: «Boh, mi interessava. Mi piacciono i Beach Boys.»
Ragazzo 1: «Te li senti ancora?»
Ragazzo 2: «Sì, capita.»
Ragazzo 1: «Un tipo nostalgico eh!»
Ragazzo 2: «No, non per forza.»
Ragazzo 1: «E questo lavoro che fai, il programmatore, ti piace?»
Ragazzo 2: «È okay.»
Ragazzo 1: «Non mi sembri tanto soddisfatto.»
Ragazzo 2: «Sì, sì…»
Ragazzo 1: «Eh, però poi vieni qui a vederti un film sui Beach Boys, eh!»
Ragazzo 2: «Sì, ma…»
Ragazzo 1: «Allora non è così okay…»
Ragazzo 2: «Scusa non ti seguo.»
Ragazzo 1: «Ah, non mi segui, eh?»
Ten no chasuke, di Sabu
Nel paradiso nipponico ci sono angeli costretti a scrivere i destini degli umani come gli sceneggiatori in batteria delle serie televisive. Un angelo un po’ più velleitario degli altri decide di dare una svolta avanguardistica alla sua storia e fa morire a sfregio uno dei personaggi. L’addetto a servire il tè degli angeli viene spedito sulla terra per salvare in tempo la malcapitata dalla morte e dalla furia artistica dell’angelo in questione.
Conversazione n. 14 – Romanticismo contemporaneo
Due tizi (probabilmente colleghi) in metro dopo la fine del film.
Tizio 1: «Ma qui a Berlino dove stai?»
Tizio 2: «Ah, a casa di una tipa che ho conosciuto sette anni fa e che non ho più rivisto da allora.»
Tizio 1: «Ah, fico!»
Tizio 2: «Sì, sai, io mi aspettavo una cosa un po’ più romantica a dire il vero.»
Tizio 1: «Be’, dopo sette anni non è facile…»
Tizio 2: «No, infatti, ma io speravo di finire a letto insieme, così mi semplificavo le cose. Invece stamattina mi ha chiesto se è un problema darle cento euro per l’ospitalità.»
Conversazioni extra via sms.
Io e un mio amico islandese.
Scavalcamento a sinistra
Lui: «Ehi Vero, stasera Jerusalem for Cowards?»
Io: «Non ce l’ho presente. Sta nella sezione Forum?»
Lui: «No! Boddinale. Non ci credo! Tu stai ancora appresso alla Berlinale?»
(La Boddinale è il festival alternativo – e gratis – alla Berlinale che si svolge nel nuovo quartiere dei tipi giusti: Neukölln).
Scavalcamento a destra
Io e mia madre.
Mamma: «Ma stai riuscendo a seguire il festival?»
Io: «Certo!»
(Merda! mi dico. Come ha fatto a sapere che oggi mi sono svegliata alle due di pomeriggio e non ho preso neanche un biglietto?)
Mamma: «E quale canzone ti è piaciuta di più?»
(Okay, intendeva il festival di Sanremo)
Appendice:
Libri visti leggere durante la Berlinale.
Maximum City: Bombay lost and found, Suketu Metha.
Duck Soup, Jakie Urbanovic.
The Sound and the Fury, William Faulkner.
Um Blut und Boden, R. Walther Darré (in fotocopia).
Deadly Heat, Richard Castle.
Blinde Seele, Hilary Norman.
Selected Poems, Reiner Maria Rilke.
The Tiger: A true Story of Vengeance and Survival, John Vaillant.
Vorläufige Chronik des Himmels über Pildau, Max Scharnigg (chi lo leggeva ne consigliava vivamente la traduzione in italiano).
Godforsaken Idaho, Shawn Vestal.
Witness my shame, Shary Boyle.
Appendice n. 2
La mia personale classifica dei film visti in ordine di gradimento.
- The Look of Silence, di Jousha Oppenheimer/ Victoria, di Sebastian Schipper
- Virgin Mountain, di Dagur Kári
- Love and Mercy, di Bill Pohland.
- Eisenstein in Guanajuato, di Peter Greenaway.
- Montage of Heck, di Brett Morgen.
- Life, di Anton Corbijn.
- Ten No Chasuke, di Sabu.
- Haftanlage 4614, di Jan Soldat.
- Als wir Träumten, di Andreas Dresen / Vergine giurata di Laura Bispuri
- Angelica, di Michell Lichenstein. / C. Yi bu zhi yao, di Jian Wen.