Sul bus parlo con una mamma single che vorrebbe indietro la sua Locarno ma non il padre di suo figlio. Racconta di come guida i battelli e ripete ossessivamente che è una madre e che è single, il conducente ride. Scendendo dal bus incontro Isabelle Huppert. Isabelle Huppert ed un centinaio di persone a dire il vero. Sta parlando della follia e di come sia il collante di quasi tutti i suoi personaggi; è affascinante e sembra in tutto e per tutto il personaggio di un film di Rohmer. Di recente mi sono innamorato di una persona simile, anche se giapponese. Potere della globalizzazione. Quelli con la P rossa si sono rubati i fratelli De Serio autori di un mezzo capolavoro intitolato Sette opere di misericordia. Per tutto il tempo che passo nella fila per la proiezione stampa li osservo come un miraggio. Le P, le D, le O sono stampate sugli accrediti e sono i nostri gradi. Ci identificano e ci presentano ancor prima di dire il nostro nome. All’inizio non capivo perché in molti portassero l’accredito nascosto nel taschino. Ora capisco che è lo stesso motivo per cui ci mettiamo i pantaloni. Prendo appunti, mi immagino con una penna in mano sventolante nell’aria, mitragliando domande nel silenzio rispettoso dei miei colleghi: mi sembra che nel vostro ultimo lavoro sia rimasto incredibilmente vivo e pulsante un occhio documentaristico, non mi stupisce quindi che ci siano cosi tante similitudini con la Nouvelle Vague