Cronache assurde di viaggio, Festival di Locarno #6
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Cronache assurde di viaggio, Festival di Locarno #6

Quando salgo sul treno la ragazza bionda ha già gli occhi gonfi di lacrime. Un vestito a righe rosa accompagna la sua pelle bianca e lentigginosa…

Quando salgo sul treno la ragazza bionda ha già gli occhi gonfi di lacrime. Un vestito a righe rosa accompagna la sua pelle bianca e lentigginosa, si incontra con i suoi capelli lunghi e le incornicia le spalle, facendole sembrare ancora più fragili. Il ragazzo davanti a lei la guarda negli occhi. Ha origini indiane ed una pashmina viola infilata in un giubbotto troppo caldo. Parlano nell’inglese lento e zoppicante dei paesi colonizzati, un inglese tanto violento con il ragazzo quanto delicato con le piccole labbra della persona che ha davanti. Lei. Comincia a parlare lentamente, gli spiega che vuole solo essere ringraziata ogni tanto, che ne ha bisogno. Lui non sposta mai lo sguardo, un fuoco inamovibile sembra bruciargli dentro, il suo respiro profondo lo mantiene vivo. Non sente questa necessità e lei non capisce e forse non può capire. Lei ha avuto la fortuna di nascere in Europa. Ma se fosse in ospedale e qualcuno lo venisse a trovare lui lo ringrazierebbe, vero? Perché quindi non può fare lo stesso con lei? Lui nega anche questa eventualità, trova che sia scontata. Non crede ci sia bisogno di mostrare gratitudine, non quando la tua unica colpa è essere uno straniero.
La lista dei premiati:
Pardo d’oro
Abrir puertas y ventanas di Milagros Mumenthaler, Argentina/Svizzera
Pardo d’oro speciale della giuria
Tokyo Koen e la splendida carriera
Premio speciale della giuria
Harshoter (Policeman) di Nadav Lapid, Israele
Pardo per la migliore regia
Adrian Sitaru per Din Dragoste Cu Cele Mai Bune Intentii, Romania/Ungheria
Finita la proiezione di Harshoter un pensiero mi premeva più di tutti gli altri. Mentre le luci della sala ci invitavano ad uscire io e quei due ragazzi ci siamo fermati. E abbiamo parlato un po’ di tutto.
Spiego che per me Din Dragoste Cu Cele Mai Bune Intentii (come Crulic, altro film Romeno presentato al festival) è un film importante. Mostra forza di volontà e coscienza, sperimenta nuove strade, studia nuovi affluenti per un cinema vitale ed in piena espansione. Di Abrir puertas y ventanas scambiamo poche battute. Il film della regista Milagros Mumenthaler è la storia tutta al femminile di tre sorelle rimaste improvvisamente sole, raccontata con delicatezza ed accompagnata dall’interpretazione meravigliosa di Maria Canale. Quando il giorno dopo avrebbe vinto il Pardo D’oro io avrei osservato la piazza reagire all’annuncio con freddezza. Con delusione. Il film della regista Argentina non ha la grana del vincitore, è incompleto, immaturo. Perde se stesso e pubblico nell’incapacità di declinare i tre meravigliosi caratteri delle protagoniste, smarrendosi in un finale troppo aperto.
I nostri pensieri, infatti, erano da tutt’altra parte, da Harshoter. Continuavamo a ripeterci: il film appena visto avrebbe dovuto vincere il festival, senza alcun dubbio.
In una Israele divisa tra polizia armata (simbolo di uno stato aggressivo) e gioventù ribelle (simbolo del malcontento) Harshoter recita la parte di un moderno Rashomon e mostra il lato umano di entrambe le fazioni. Da una parte il cameratismo e la quotidianità dei membri della squadra speciale, presentati mentre urlano i loro nomi affidandoli al panorama desertico delle città di Israele; dall’altra un gruppo di ragazzi e la loro piccola rivoluzione (per l’ideale ma anche per l’amore) presentati mentre verso quel panorama scaricano i caricatori delle loro pistole. L’incontro inevitabile, porta con se la certezza di un dialogo mancato, ma anche la strana sensazione di aver trovato persone troppo uguali per non capirsi.
Nel finale due sguardi si incontreranno, per la prima volta.
Ripenso a poche ore prima sul treno. La risposta del ragazzo, l’esile figura femminile che rimane abbacinata. Quel momento di incomprensione, che la rendeva vittima di una colpa indefinita, sembrava gravare sulle spalle di entrambi. Lo percepisco e non voglio più assistervi. Indosso le cuffie ed ascolto a tutto volume il primo brano che viene fuori dal mio lettore mp3. Una strofa di Neil Young cancella le loro parole: «I want to live, I want to give, I’ve been a miner for a heart of gold.». Le sagome dei loro profili, riflesse nel finestrino, si avvicinano lentamente. Sembrano sfiorarsi. Un cartello con la scritta Locarno, intanto, le fa scomparire.
I due ragazzi nel treno, il poliziotto e la protagonista di Harshoter solcano la stessa strada, hanno gli stessi volti. I volti di due mondi che forse non potranno mai capirsi e raggiungersi. E diversi come il giorno e la notte, in loro preme il bisogno vitale di una testimonianza. Ken Loach, qualche tempo fa, tratteggiava la complicata situazione della privatizzazione ai danni degli operai mostrandoci i loro vestiti, raccontandoci le loro bevute. Conoscere e far conoscere, quindi, come espressione di un cinema essenziale, politico. Per noi, per non farci più voltare dall’altra parte. E per loro. Perché si sentano meno soli, guardati.

Tokyo Koen

Harshoter di Nadav Lapid

Abrir puertas y ventanas di Milagros Mumenthaler

Sergio Proto
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