FOUCAULT CAMMINA CON ME – L’urlo terrifico
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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1975
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FOUCAULT CAMMINA CON ME – L’urlo terrifico

«[…] mi ha insegnato l’uso dell’urlo terrifico. Diciotto anni per perfezionarlo; ora con esso posso uccidere, in un istante.»

«Io credo al potere della magia, è una realtà. Se un uomo è convinto di essere condannato, muore perchè si lascia andare. Lo stregone […] mi ha insegnato l’uso dell’urlo terrifico. Diciotto anni per perfezionarlo; ora con esso posso uccidere, in un istante. […] Lei non ha abbastanza immaginazione da credere a qualcosa che sia al di fuori della sua normale esperienza.»

Questo uno dei dialoghi fondamentali dell’ambigua pellicola di Jerzy Skolimowski del 1978, presentata e premiata col Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes. La vicenda, raccontata tramite flashback, narra la fine della storia d’amore tra Anthony e Rachel causata da Crossley, un misterioso uomo che, venuto dall’Australia, ha vissuto per diciotto anni tra gli aborigeni imparando a fare incantesimi e ad emettere un terribile urlo capace di uccidere. Proprio grazie a questi poteri riuscirà a far innamorare Rachel di sé. La trama può forse sembrare eccessivamente fantasiosa, ma dando uno sguardo alle espressioni facciali dei personaggi il film può suscitare interessi anche a chi non si occupa esclusivamente di body language o ritrattistica rinascimentale.

L’australiano si avvale, inoltre, di scelte registiche originali e di una sorprendente colonna sonora, composta da Anthony Banks e Michael Rutherford (rispettivamente tastierista e chitarrista dei Genesis). Il suono gioca infatti in The Shout (titolo originale) un ruolo tutt’altro che marginale. Il protagonista Anthony è un musicista, suona l’organo nella chiesa del suo paese e compone musica sperimentale. Nel suo studio tiene appesa una piccola riproduzione dello Studio dal ritratto di Innocenzo X di Francis Bacon, un altro autore che ha prestato attenzione all’indagine e allo sviluppo del suono. Tutti questi riferimenti hanno, tra l’altro, influenzato fortemente il genere musicale hauntology, così chiamato grazie al neologismo di Jacques Derrida presente in Spettri di Marx

È utile ricordare i movimenti culturali in cui si ritrova Skolimowski e considerare, non a caso, il fatto che per la Polonia sono anni decisamente proficui per gli studi antropologici. Il regista studia alla scuola nazionale di cinema di ?ód? con la compagnia rispettabilissima di Roman Polanski e comincia a collaborare con un grande maestro della prima generazione del nuovo cinema polacco Andrzej Wajda. Questa corrente cinematografica, originariamente, aveva tra i suoi temi ricorrenti lo strazio individuale dovuto alle disastrose conseguenze della guerra; solo successivamente l’indagine personale divenne più intima. Il film in questione non fa eccezione; ma prestandosi con maggior attenzione ad un’interpretazione psicanalitica, offre anche notevoli spunti per una riflessione di carattere antropologico.

Nello stesso periodo infatti frequenta all’università alcuni corsi di letteratura e di antropologia. Ma veniamo al punto, il dialogo tra i due protagonisti citato in apertura si dimostra essere il cardine concettuale su cui si sviluppa tutto il senso del film. Un dialogo decisamente particolare che nasconde al suo interno una serie di riferimenti bibliografici che solo persone gravemente affette da disturbi ossessivo/compulsivi con i libri possono cogliere. Un’operazione decisamente notevole quella di inserire all’interno della scieneggiatura un riadattamento di una breve citazione da Lèvi-Strauss.

Non c’è dunque motivo di mettere in dubbio l’efficacia di talune pratiche magiche. Ma nello stesso tempo, è chiaro che l’efficacia della magia implica la credenza nella magia, e che quest’ultima si presenta sotto tre aspetti complementari: c’è, anzitutto, la credenza dello stregone nell’efficacia delle sue tecniche; poi, quella del malato curato, o della vittima perseguitata, nel potere dello stregone stesso; infine, la fiducia e le esigenze dell’opinione collettiva che formano in ogni istante una specie di campo di gravitazione in seno al quale si definiscono e si collocano le relazioni fra lo stregone e quelli che sono da lui stregati. (Claude Lèvi-Strauss, Antropologia strutturale)

Questo limpido passo si è affermato come uno dei fondamentali modelli interpretativi del fenomeno magico. Il problema al quale si tenta di dare una risposta è proprio quello della nostra nozione di realtà. Chiedersi quale sia l’efficacia dei poteri magici non significa altro che rimettere sul tavolo della discussione la nozione stessa di realtà su cui il pensiero e la cultura occidentale hanno costruito tutto il loro sviluppo. La lezione antropologica ci porta a scoprire che ciò che noi riteniamo evidente e scontato non è altro che il frutto di una costruzione e stratificazione storica e culturale. È evidente che solo attraverso il confronto con l’altro, come singolo o come cultura, noi possiamo conoscere noi stessi. La magia, sia per il film che per l’antropologo, non è una falsa scienza ma semplicemente un modello alternativo di interpretazione della realtà che, se viene accettata da un’intera comunità, assume un valore simbolico che ne determina l’efficacia. L’incontro, che non può che risultare uno scontro fra i due protagonisti, altro non è che una versione romanzata in chiave simbolica di una progressiva scoperta di se stessi attraverso il necessario confronto con il diverso, l’estraneo e con l’altro. Per concludere, dopo aver visto il film ed aver appreso che la magia può avere dei risultati spiacevoli, non si può non pensare a Raymond Smullyan, che nel suo libro 5000 avanti Cristo… e altre fantasie filosofiche infatti, ci suggerisce ironicamente che «la superstizione porta sfortuna».

Trovate L’australiano su youtube, a questo indirizzo, n.d.r.

Gerardo Ienna e Riccardo Papacci
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