«Una mattina mi sono alzato, o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!»
No, non è un inno spassionato alla lotta partigiana. No, non è ancora il 25 aprile. No, non è nemmeno la versione rielaborata, sulle note di Come Mai degli 883. Bella ciao è la canzone che mi viene da cantare a squarciagola dopo una sessione di binge watching su Netflix. Ma come? Una multinazionale quotata in borsa, prodotto della globalizzazione, ha il potere di far salire il comunismo? Sì. E la causa di tutto questo è La casa di carta, una serie tv spagnola (fermi lì, non è la classica soap opera in stile Uomo ape dei Simpson) del 2017, distribuita in tutto il mondo da Netflix.
Una sola stagione, divisa in due parti, racconta la storia di otto persone reclutate al fine di rapinare la zecca di stato spagnola; l’ideatore dell’impresa impossibile è un uomo che si fa chiamare Il Professore.
La serie è un mix tra più generi, dal crime al thriller, dal pulp — del caro vecchio Quentin — al dramma.
I riferimenti infatti non sono pochi: gli pseudonimi scelti dal Professore per ogni componente della banda (Tokyo, Berlino, Mosca, Denver, Nairobi, Oslo, Helsinki) sono un chiaro richiamo/riferimento a Le iene di Tarantino; il luogo nel quale si svolge l’intera serie, cioè la zecca di stato spagnola, ricorda il claustrofobico Inside Man di Spike Lee; la tensione che si crea nel rapporto tra il Professore e l’ispettrice Murillo, incaricata di trattare con i ladri fa tornare in mente Walter White ed Hank Schrader in Breaking Bad; infine la vicenda degli ostaggi ci riporta direttamente nel Litchfield di Orange Is the New Black (senza Piper Chapman per fortuna).
Come si può ben notare, quindi, La casa di carta, nel periodo di massimo onanismo citazionista culminato con Ready Player One di Spielberg (o, meglio, Tutti gli uomini del deficiente che ha fatto i soldi), si colloca perfettamente al centro della scena pop odierna. Personaggi ben caratterizzati, cliffhanger al termine di ogni episodio e, soprattutto, scene di azione degne della rapina in banca del Joker Nolaniano (le maschere di Dalì utilizzate per il colpo non sono un caso).
Interessante anche il messaggio mandato dalla serie: un atto illegale come una rapina può avere il consenso della popolazione? Un enigma irrisolvibile, ma pur sempre affascinante, che ci portiamo dietro dall’Antigone di Sofocle. Qui la manipolazione raggiunge livelli altissimi, con una critica al sistema europeo sicuramente più pregnante di una qualsiasi analisi demagogica e, d’altronde, nella Spagna di Podemos non c’è da stupirsi.
Il tutto racchiuso da una colonna sonora incalzante, che raggiunge l’apice con Bella ciao. La canzone diventa la protagonista principale della rapina, rappresenta una forma di ribellione nei confronti del sistema; ma, al tempo stesso, il significato di libertà, evasione e resistenza non viene snaturato. Bella ciao negli ultimi mesi è diventata una hit da stadio, roba che neanche gli Ska-P ai bei tempi, ed è entrata prepotentemente nei servizi streaming più mainstream di sempre, quali Netflix e Spotify.
Insomma, nel periodo di massima crisi per la sinistra europea, La casa di carta si pone come argine al capitalismo imperante, diventando al tempo stesso un prodotto del capitalismo imperante.
Si combatte il nemico dall’interno. Geniale.