A metà degli anni novanta Tim Burton venne coinvolto in un progetto tanto folle quanto geniale: riportare al cinema Superman a quasi dieci anni di distanza dal quarto capitolo con Christopher Reeve. L’idea di Burton, all’epoca all’apice della sua carriera, era quella di un Uomo d’Acciaio diverso dalla precedente incarnazione cinematografica, più vicino al personaggio disegnato negli anni ’90 che a quello della Golden Age, e ispirato al ciclo The Death of Superman, pubblicato dalla DC Comics nel 1992.
Il film, prima Superman Reborn e poi Superman Lives, venne cancellato dopo una gestazione durata anni, fatta di tre sceneggiature e un casting folle, montagne di artwork preparatori e assurde imposizioni date da Jon Peters, il produttore del film.
Jon Schnepp e Tim Burton
La storia di questo progetto, più una lunga serie di dietro le quinte, è raccontata in The Death of Superman Lives, un documentario realizzato da Jon Schnepp, già regista di diverse serie tv e apparso in piccoli progetti televisivi, che ha deciso di indagare su uno dei più grandi misteri del cinema pop americano. Per poter capire a pieno questo progetto bisogna però fare un piccolo passo indietro, uscendo dall’attuale dimensione dell’entertainment hollywoodiano, e guardando a quello degli anni novanta, quando i film tratti da fumetti erano, se non un’utopia, un enorme azzardo commerciale. Contrariamente ad oggi, all’epoca era la DC Comics ad avere avuto un maggiore successo sul grande schermo, collezionando i quattro film su Superman e i due Batman di Tim Burton, datati 1989 e 1992. La Marvel arrancava, producendo prodotti di discutibile qualità come Howard The Duck e Il Punitore con Dolph Lundgren, fino ad arrivare a schifezze come Captain America e Fantastic Four, mai usciti nelle sale e ancora oggi metro di paragone per il brutto. Se la Casa delle Idee avrebbe dovuto aspettare il 2000 per vedere una trasposizione cinematografica degna di questo nome (gli X-Men di Bryan Singer), la DC voleva ancora una volta bruciare la concorrenza mettendo in cantiere Superman Reborn.
Che il progetto non fosse partito sotto i migliori auspici lo si intuisce facilmente già dai primi minuti del documentario, quando Kevin Smith, regista di culto e autore della prima sceneggiatura, parla del suo incontro con il produttore Jon Peters, che voleva imporre all’autore i tre punti fondamentali per la buona riuscita del film: Superman non avrebbe dovuto indossare il costume, non avrebbe dovuto volare e avrebbe avuto un ragno gigante nell’ultimo atto del film (ricordatevi di quest’ultimo punto). Queste tre regole, in parte smentite dallo stesso Peters, ben rappresentavano l’enorme distanza che c’era tra la parte creativa e quella produttiva, tra Tim Burton e la Warner Bros. Il regista impose le sue idee in modo fermo, forte del successo del suo Batman e, soprattutto, del casting: Michael Keaton nel ruolo di Bruce Wayne, una scelta inizialmente mal vista dai fan dell’Uomo Pipistrello poi rivelatasi vincente. Proprio sulla scia di questo casting il regista chiamò Nicholas Cage per interpretare il ruolo di Clark Kent/Superman, quanto di più lontano dalle fattezze classiche del personaggio, famoso per la sua mascella squadrata e il suo capello perfettamente pettinato, ma che questa volta avrebbe avuto il volto appuntito e i capelli radi di Cage. Questo casting, oltre a inclinare ulteriormente i rapporti tra Burton e la WB, contribuì a rendere questo progetto “leggendario”, portandolo all’attenzione della community web ben prima dell’uscita del documentario di Jon Schnepp.
Anni fa infatti, circolavano su internet alcune foto delle prove costume fatte da Nicholas Cage prima dell’inizio delle riprese, quando Burton e il suo team erano impegnati a decidere il look di Clark e di Superman. Quelle foto, alle quali si sono poi aggiunti diversi video, erano la testimonianza di quanto quel progetto fosse folle e geniale, fatto di costumi elaboratissimi e un Cage in parte e perfettamente calato nel ruolo. Il suo Clark sarebbe stato un ibrido tra un geek e un hipster, con degli occhialoni da vista e una giacca abbinata ad una maglietta di Mickey Mouse; mentre la sua controparte aliena avrebbe avuto diversi costumi, da quello classico a quello della “rinascita”, fatto da effetti di luce che passavano nella tuta simulando la rigenerazione dei tessuti.
A questo si aggiungano enormi set visionari e nomi quali Christopher Walken, Sandra Bullock, Chris Rock e Kevin Spacey (che avrebbe comunque fatto parte del franchise diversi anni dopo).
Con l’ambizione aumentarono anche i costi che, uniti ad alcuni discutibili diktat produttivi, portarono alla cancellazione del progetto. Jon Peters era infatti concentrato su un altro grande film, un probabile blockbuster che secondo il produttore avrebbe dovuto sbancare il botteghino, meritando quindi una maggiore copertura economica rispetto al film di Tim Burton. Il film era Wild Wild West che, nonostante vedesse Will Smith e Kevin Kline affrontare un ragno gigante nell’ultimo atto del film, incassò meno dei suoi costi di produzione, senza raggiungere il fatidico break even point e diventando quindi un enorme flop.
Parlando del franchise di Superman va comunque ricordata l’enorme sfortuna che ha da sempre accompagnato il personaggio: dall’incidente di Christopher Reeve alla cancellazione di altri progetti, tra cui il film di J. J. Abrams e la Justice League di George Miller, fino ad arrivare al flop di Superman Returns di Bryan Singer. Tutti fattori che hanno reso i produttori restii a lavorare sul personaggio, consapevoli che i loro sforzi difficilmente avrebbero portato ad un guadagno economico.
Ovviamente nessuno ci può garantire che Superman Lives sarebbe stato un successo al botteghino, ma senza dubbio avrebbe costituito un enorme spartiacque per il cinecomics, soprattutto in una fase embrionale come gli anni ’90, dove le idee e il coraggio scarseggiavano. La prova di tutto questo è che oggi, dopo quasi vent’anni dalla sua cancellazione, siamo ancora qui a parlarne.