Quando vedi la faccia di Bryan Cranston per la prima volta, provi a non ridere. Ripensi alla serie tv Malcolm e a quella sua espressione un po’ idiota da (im)perfetto padre di famiglia americano. A tutte le volte che lo hai visto aggirarsi nudo per casa, quasi sempre con una scusa non troppo convincente. «Ridicolo!», anzi, «Ridicolmente perfetto!». Vince Gilligan, autore della serie Breaking Bad, deve aver pensato esattamente a questo mentre stringeva la mano di Cranston. Fino a quel momento Walter White, futuro protagonista della serie televisiva targata AMC, non aveva ancora trovato un volto. Per due motivi. Il primo è che Gilligan, fresco di gavetta televisiva americana in prodotti tipo X-Files, non è il tipo che si accontenta. E sinceramente, visti gli ottimi risultati ottenuti, è difficile ipotizzarlo ad assecondare i desideri dei produttori. Mi diverte, in merito, separare il mondo in due realtà illusorie: da una parte un paese astratto dove ogni qualvolta uno sceneggiatore ha la malaugurata idea di scrivere l’aggettivo nevrotico qualcuno tiene premuto il pulsante 1 del cellulare e chiama Margherita Buy; dall’altra Gilligan che durante i provini si diletta a filosofeggiare citando Lévinas: «La faccia che cerco non si deve vedere. Non può diventare un contenuto afferrabile dal pensiero. Deve essere incontenibile, condurci al di là.».
In una recente intervista al David Letterman, Bryan Cranston ha affermato: «La cosa più anomala dello Show è che noi non proviamo a far simpatizzare il pubblico con il personaggio, noi lo sfidiamo. All’inizio ti era simpatico, ma ora è cambiato. Ha abusato del tuo affetto. Gli rimarrai vicino lo stesso?». Il secondo motivo è che i lineamenti di Walter White ti segnano radicalmente, come una cicatrice. Letterman, infatti, incalza Cranston: «Come fai a rapportarti con un carattere così controverso?». Anche io mi sono sempre domandato come sia possibile relazionarsi ad un personaggio troppo invadente. Come possa un attore venire a patti con un ruolo troppo grande, importante, nella piena coscienza di poterne rimanere schiacciato, senza poterne più uscire. Vi ricordate il per sempre drugo Malcolm McDowell o l’eterno Luke Mark Hamill? O perché non il corrucciato Vernon Wells? (Quello coi baffi di Commando per chi se lo stesse chiedendo). Trovare qualcuno che fosse disposto a questa vera e propria mutazione à la Cronenberg non deve essere stato semplice. Con questo quesito scolpito tra i miei punti di domanda, vago nei meandri del web alla ricerca di qualcosa che possa svelare la risposta. Come il più delle volte questa arriva con un video:
Ricordo Francis Ford Coppola in Hearts Of Darkness, lo splendido documentario girato dalla moglie sulla realizzazione di Apocalypse Now. Lo vedo seduto, piegato in una posa innaturale, parlare di come ha finito per perdersi anche lui in quella giungla e di non aver alcuna idea su come concludere la sua storia. In quegli occhi da pazzo c’è una scintilla che non si può spiegare con delle semplici parole. Guardando questo video è chiaro che Cranston ha avuto la lungimiranza di donare quella stessa scintilla al personaggio di Walter White. Perché a volte, per fortuna, in questo mestiere l’ossessione supera la razionalità. La risposta alla domanda di Letterman (e probabilmente di Gilligan) è stata quindi: «È fantastico, è il ruolo di una vita.». Ma parlando di cicatrici non si può non menzionare quelle vere. Mi risulta impossibile contare quante botte, schiaffi e calci il volto di Walter White abbia incassato in tutte e quattro le stagioni del telefilm. Nonostante tutto, però, sono state tutte percosse abbastanza utili. Anche piuttosto precise. Precise come la scelta di destinarle al povero volto di un (im)perfetto padre di famiglia. Gilligan, creatore della serie ci conferma l’ipotesi: «L’obiettivo di Breaking Bad è trasformare Mr. Chips (protagonista di Addio, Mr. Chips! di Sam Wood n.d.r.) in Scarface».
E così è stato se sono riuscite a trasformare quella faccetta da idiota nel viso più carismatico che una serie televisiva abbia mai ospitato. Che poi, diciamocelo, quella faccia ha fatto cambiare un po’ anche noi. O almeno il modo in cui ci relazioniamo ad una serie televisiva. Si dice che negli Stati Uniti, da qualche anno, si sta rivoluzionando il pensiero catodico. Che mentre in Italia si gioca a chi ristagna in maniera meno creativa, a chi non indovina come mai il nostro cinema attira una quantità sempre minore di persone (o quando ne attira tanti lo fa sempre per i soliti prodotti), in America hanno capito che la battaglia per far salire i guadagni del Box Office si combatte casa per casa, televisione per televisione. «Se c’è una lezione in Breaking Bad,» dice Gilligan «è che ad ogni azione corrisponde una reazione.». Un principio semplice ed elementare. Io vi do Breaking Bad, The Shield, Mad Men, Lost, The Wire etc… (una lista completa sarebbe davvero troppo lunga e sofferta) e voi, pubblico, vi abituate bene. Ma, soprattutto, vi abituate. The Addiction, avrebbe detto Ferrara, la dipendenza. In questo caso, seppure subdola, una dipendenza dolcissima. Eppure c’è da dire che Breaking Bad nasce abbastanza sfigato. La prima serie è stata gambizzata dallo sciopero degli sceneggiatori avvenuto nel 2008, riducendo i nove episodi previsti a soli sette. Che già nove puntate sono poche, secondo il sottoscritto. E infatti la prima serie è ben scritta, ben diretta e ben interpreta. Ma non eccelsa. Ti lascia stampato sul volto quell’espressione che a me provocano gli ultimi film della Coppola, una sorta di «Beh?» un po’ frustrato. Se pero’, come me, fai un piccolo salto della fede verso la seconda stagione, capisci. Legenda vuole che quando Vince portava in giro l’idea alla base di Breaking Bad in cerca di soldi, non si comportasse in maniera del tutto ortodossa. Anzi, per i primi minuti sembrava una vera e propria lezione su come farlo nel peggior modo possibile. Era più o meno così: «Avete questo tipo, Walter White, che vive una vita monotona, con studenti che non lo ascoltano, un matrimonio incasinato e quasi senza amore ed un figlio con un grave handicap fisico. Ad un certo punto scopre di avere il cancro.».
I produttori, come è facile immaginare, tendevano a rimanere leggermente spaesati. Gilligan, però, aggiungeva sempre: «Cosa avreste fatto se fosse capitato a voi?». Walter White decide di cominciare a cucinare metanfetamina. Breaking Bad, come le migliori serie, racconta un sacco di cose. Della droga, delle nuove droghe e di come interagiscono nella società moderna. Delle carenze del sistema medico americano, di lavoro ed economia, di famiglia, di casa e di tutto quello che si deve ingoiare per portarle avanti. Ma, soprattutto, racconta come l’assurdo possa diventare normale, tanto da farti sentire vivo, finalmente. Alla base delle avventure di Walter White c’è questo. E tutto, come in ogni piccolo miracolo che si rispetti, converge per renderlo completo. La scrittura, la recitazione, il ritmo, la regia. Il percorso del personaggio, coerente e coraggioso fino a renderlo disprezzabile. Ma proprio questo disprezzo mi sembra la chiave di lettura più efficace. Come se oltre a quella domanda («E se capitasse a voi?») Gilligan ne ponesse anche un’altra, sottintesa: «Sareste disposti ad accettarlo?».