M. è seduto ad un tavolino di un bar di Via Pietralata, vorrebbe avere settant’anni. Sta spiegando a degli anziani che un discesista come Savoldelli non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altri belli in maniera diversa. Forse ha davvero settanta anni. Il suo sguardo – incupito, genuflesso – cade su qualcosa.
M. – Oh, ma quello è Roland Barthes?
Anziano 1 – Il critico letterario?
M. – Sei un po’ riduttivo, Remigio. Come dire che Pantani era solo uno scalatore.
Anziano 2 – Hai rotto il cazzo con Pantani.
M. – Fanculo, vado a conoscerlo.
M. si alza – la sigaretta in bocca come un omaggio, la testa alta come i veri rigoristi – si avvicina a Barthes.
M. – Scusi, signor Barthes, potrei sedermi un attimo al suo tavolo.
B. – Guarda che non sono io quello che stai cercando / Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo.
M. – Ok… guardi, lo giuro, io capisco quello che vuole dire: un’opera appartiene al pubblico e non al suo creatore… che l’autore è morto, però ecco… mi farebbe piacere farle qualche domanda.
B. – Guarda che non sono io quello seduto accanto / Che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto.
M. – Sì, davvero, questo mi è chiaro, sul pianto me la vedo da solo. Anche lei si ritiene uno scriba. Però, per noi, che passiamo il tempo seduti nei bar, lei vuol dire qualcosa.
B. – Scusami però non so di cosa stai parlando / Sono qui con le mie buste della spesa/ Lo vedi, sto scappando/ Se credi di conoscermi Non è un problema mio.
M. – Mi scusi, ma io non vedo nessuna busta della spesa… Ah, forse è una citazione. Bene, bene, vuole ricordarmi che il testo è un tessuto di citazioni, per cui non va decifrato o spiegato ma “liberato”. Ok, io rifiuto il messaggio assoluto del suo testo, e poi?
B. – E guarda che non sto scherzando/ Guarda come sta piovendo/ Guarda che ti stai bagnando/ Guarda che ti stai sbagliando/ Guarda che non sono io.
M. – Signor Barthes, lei mi sta dando una lezione che ricorderò per sempre, un po’ criptica magari, ma nessuno mi aveva detto con tanta forza che l’autore è solo l’incarnazione del borghese moderno, il riflesso della società capitalista. Volevo chiedere un ultima cosa, mi firmerebbe questa sua foto che tengo nel portafogli?
B. – Guarda che non sono io la mia fotografia/ Che non vale niente e che ti porti via.
M. – Mmm… sa qui non capisco bene se lei è un po’ stronzo o mi sta solo finendo di spiegare il suo concetto, ovvero che sono io, il lettore, il luogo in cui trova unità il testo. Nel dubbio, mi allontano.
M. entra nel bar – groupie in un mondo sbagliato – saluta gli amici e si rivolge a Carlo, il simpatico barista.
M. – Oh, ma lo sai chi ho appena beccato? Roland Barthes.
Carlo il simpatico barista – Ma chi il linguista?
M. – Pure te, ma non è ridondante accostare una professione ad un nome se si è capito benissimo di chi si parla? Comunuque sta ancora qua fuori, vallo a salutare. Sta al tavolo a destra.
Carlo il simpatico barista – Ma che stai a di’, quello mica è Barthes, quello è Francesco De Gregori. Te sei scemo fracico.
M. – Uhm…
M. esce rapidamente dal bar, al tavolo non c’è più nessuno, solo un libro un po’ sgualcito dal titolo “I pilastri della terra”. M. lo raccoglie, lo stringe a se: ancora una volta non capisce.
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