L’unico amore possibile è quello impossibile
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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L’unico amore possibile è quello impossibile

Alle volte il bisogno che ho di scrivere è principalmente una questione meccanica che anche se non mi viene in mente nulla da scrivere, mi metto a scrivere lo stesso.

Alle volte il bisogno che ho di scrivere è principalmente una questione meccanica che anche se non mi viene in mente nulla da scrivere, mi metto a scrivere lo stesso, prendo un libro e ricopio una, due, cinque pagine, oppure digito i testi delle canzoni riscrivendo all’infinito i versi che mi piacciono di più, per poter provare ogni volta il piacere di scrivere delle frasi così belle.

 

cover_leonard_cohen

 

Prima ho ricopiato il testo di Treaty dell’ultimo disco di Leonard Cohen, che tra l’altro mi sta piacendo tantissimo. A dirla tutta mi sta piacendo in maniera incontrollabile, non riesco ad andare a dormire perché non voglio smettere di ascoltarlo, passo ore senza pensare ad altro e queste ore di pensiero fervido mi hanno portato alla conclusione che Leonard Cohen vorrei che non morisse mai. Mi rassicura l’uscita di un nuovo disco di Leonard Cohen e mi rattrista il pensiero che non potrò essere rassicurato ancora a lungo. Ad ogni modo, la frase più significativa del testo che ho ricopiato più volte è: «I’m so sorry for that ghost I made you be, only one of us was real and that was me». È una frase che mi crea un dolore alle budella e adesso dovrò essere in grado di spiegare questa cosa che vuol dire.

Il fatto è che io supero sempre la prova della realtà, io rappresento la realtà e ci resto sempre, rendendo tutti gli altri prima o poi dei fantasmi. Però mi tocca rimanere nella realtà consumata, deforme e distrutta. Io sono il crash test, prendo le botte dei bolidi più forti e rimango fermo immobile lasciando attraversare il mio corpo dalle vibrazioni che mi corrodono molto di più che se cascassi a terra e me le ricordo tutte le scosse perché sono la realtà e io nella realtà, quindi in me, ci rimango sempre mentre tutto il resto lo faccio evaporare, lo squaglio e sparisce, crolla, muore e diventa altro in altre realtà diverse e invece nella mia realtà restano i fantasmi che li ho resi e le conseguenze, che sono la cosa peggiore al mondo le conseguenze.

«I’m so sorry for that ghost I made you be, only one of us was real and that was me». Quindi per favore un po’ di irrealtà sennò soffoco. Un po’ di irrealtà dove non ci sono i fantasmi ma ci siete di nuovo tutti e siamo vivi e Leonard Cohen è vivo per sempre. Un po’ di irrealtà sennò mi succede che mi drogo fino a farmi formicolare le guance e non ricordo cosa è e cosa è stato, su quale treno ero e quali parole diverse ho pronunciato da: vorrei che fossi qui, addio per sempre al mio amore sterminato. Ehi, sterminato come participio passato o nel senso di interminabile? Ehi vorrei che fossi qui, nel senso di: vorrei che fossi qui tu o vorrei che fossi qui io?

L’unico amore possibile è l’amore impossibile, perché l’amore impossibile è eterno e l’unico amore possibile è quello eterno. E l’unica realtà possibile è quella in cui tendo un milione di braccia e non salvo solo me e tu ti lasci salvare e non te ne vergogni. L’unica realtà possibile è quella in cui fisso un punto a caso sul cruscotto e non parto quando il semaforo diventa verde e le persone che rincontro dopo mesi non fanno sparire per un attimo il sole quando entrano in scena, facendomi pensare oddio sì la mia oscurità, oddio sì scopiamo adesso. L’unica realtà possibile è quella in cui non mi sveglio ogni volta cinque minuti prima del terremoto perché c’è qualcuno che mi vuole salvare e non cade solo la chitarra perché qualcuno mi dice che è tempo di nuovo per suonare.

E allora diciamo che sono stressato, solo perché ho sorpassato sulla destra e bestemmiato in faccia a un tipo che andava troppo lento con la macchina. Non avrei mai potuto immaginare di ritrovarmelo nella stessa corsia in piscina, cinque minuti dopo. Andava troppo lento pure a nuotare ma non me la sono presa perché sembra che tutte le mie angosce non sappiano nuotare e affoghino quando sto in piscina tant’è che nuoto quasi ridendo ed è bello. Se solo non fosse che appena vado via dalla piscina tutte le angosce tornano su a galla come dei cadaveri. Dovrei stare ventiquattrore su ventiquattro in acqua, così non mi toccherebbe nemmeno fare i conti con l’odore del cloro che mi rimane addosso esattamente nella stessa modalità in cui mi rimane addosso l’odore di quando facciamo l’amore con l’unica differenza che poi la doccia me la faccio con te e non con un tipo sconosciuto a cui ho bestemmiato in faccia perché andava troppo lento con la macchina. E così un paio di giorni fa ho deciso di fare un rito psicomagico per scacciare le angosce e scongiurare anche di dover vivere per sempre in piscina. Ho rotto e infuocato degli occhiali che ti avevo regalato, ma mi è sembrato di percepire che non fosse successo niente finché non mi sono accorto qualche minuto dopo di aver lasciato gocce di sangue per tutta casa e che mi ero procurato un taglio sul dito indice che ora mi fa male perché sta in un punto fastidioso, sulla giuntura tra la falangina e la falangetta perciò la ferita si riapre sempre, soprattutto quando mi metto e mi tolgo l’anello o sto tra gambe insignificanti a scambiare malattie, ogni tanto la disinfetto ma non voglio usare cerotti perché sarebbe da codardi, la lascio scoperta e mi brucia spesso e mi ricordo delle mie angosce che spariranno quando la ferita si sarà rimarginata e il rito sarà compiuto.

Edoardo Vitale
Scrive di musica, cinema e attualità su vari magazine.
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