Jacques Lacan, pur nella sua immensa vanità, in vita non ha scritto quasi nessun libro. La copiosità delle sue opere è dovuta alla trascrizione dei suoi seminari ad opera dei suoi allievi, tra cui spicca il nome di Jacques-Alain Miller (tra l’altro marito della figlia di Lacan) curatore di molti dei seminari in lingua francese e anche maestro di Massimo Recalcati. Anche l’opera di Lacan che più rimanderebbe forse già dal titolo ad un’opera di scrittura, ovvero i mastodontici “Scritti”, sono per la maggior parte – se si escludono alcuni articoli scritti per riviste – comunicazioni orali o interventi a convegni e congressi in giro per il mondo, trascritti per la raccolta in volume. Lo stesso psicoanalista francese racconta come lo stesso titolo dell’opera, “Scritti”, sia in realtà uno dei suoi ennesimi giochi linguistici sul significato, sottolineando come pochissimi dei saggi lì raccolti siano nati per essere messi nero su bianco in un volume. Tutto questo perché, e poi chiudo la parentesi lacaniana che comunque servirà a presentare ciò che ci interessa di Massimo Recalcati, il fondamento dell’insegnamento lacaniano, come da lui continuamente evidenziato, era ed è un fondamento orale, tutto derivato dal ritorno a Freud che ha sempre guidato la sua ricerca. Per non addentrarci in difficili labirinti teorici, basta pensare a ciò che fa fare lo psicoanalista di Zeno nel romanzo di Svevo, scrivere la sua storia, pratica non ortodossa e motivo per cui «gli studiosi di psicoanalisi arricceranno il naso».
Massimo Recalcati, psicoanalista e docente universitario classe 1959, ha consacrato buona parte dei suoi studi all’opera di Lacan, anche sotto la guida di Miller, che simboleggia forse l’ultimo vero portatore del pensiero lacaniano. Laureato in filosofia, concentra il suo lavoro (sempre sostenuto da copiose pubblicazioni scientifiche e in volume, Wikipedia conta 29 libri all’attivo, ma non so fino a che punto sia aggiornata, IBS ne mette 36) sull’insegnamento di Jacques Lacan e sull’indagine clinica dei disturbi alimentari. Fin a questo momento nulla da dire di significativo, uno studioso come molti altri (anche se molti altri non pubblicano 36 libri a neanche 60 anni), dedito alla sua materia e ai suoi studi.
Cercando però Massimo Recalcati su Google si vede, considerati i miei cookies che un po’ mi proteggono, solo a pagina 5, il link a www.frasicelebri.it, e qui si inizia ad intravedere che forse non tutto va proprio per il verso giusto. Certo, non è mica stato lo stesso Massimo Recalcati a crearsi una pagina con le citazioni migliori su frasicelebri.it, ma certamente non ci troverete su questo orrendo sito (dico soprattutto dal punto di vista grafico che lo rende impresentabile), tutti gli scrittori di oggi. Leggendo queste frasi (vi cito un paio di esempi: «Senza il grande ombrello dell’ideologia, nulla sembra garantire un sentimento di identità. In primo piano è la dimensione della precarietà. Non solo economica ma anche etica.» oppure «Fare il bene dell’Altro è la definizione più precisa che possiamo dare delle idelogie totalitarie.», fino ad arrivare ai dubbi più esistenziali «Perché gli uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della loro libertà?»), si vede come in realtà la figura di Massimo Recalcati sia inserita all’interno di un cortocircuito logico difficile da comprendere, ma forse esemplare della nostra modernità. Già da questi stralci dei discorsi più ampi contenuti nei suoi libri, si avverte già una difficoltà insita nella sua scrittura. D’altronde, con un maestro come Lacan, è giusto che la semplicità e la scorrevolezza non siano al primo posto durante la scrittura. Ci sono sparsi riferimenti molto difficili, concetti filosofici e psicoanalitici che talvolta passano in sordina o sono sciorinati in maniera sbrigativa, quadrature del cerchio difficili senza una conoscenza di base molto forte.
Basta prendere ad esempio il libro, uscito lo scorso anno per Einaudi, L’ora di lezione. Al di là di una lettura della parte di società di oggi che ha a che fare con la scuola abbastanza centrata e veritiera, il discorso del libro si articola intorno a nomi pesanti (Platone, Nietzsche, Lacan e Deleuze, lasciando però da parte personaggi fondamentali della pedagogia italiana come Don Milani e Bruno Ciari su tutti) che hanno lo svantaggio di appesantire inutilmente il discorso, confondendo un po’ la mente del lettore comune e andando poi a pesare sulla classificazione del libro: per esperti? Per tutti? Per studenti? Salta sicuramente alla mente che uno stile più lineare avrebbe sicuramente giovato ad un discorso che, in più punti, si fa eccessivamente lacunoso e aggrovigliato.
Ci sono due spiegazioni per queste caratteristiche che è possibile ritrovare in quasi tutti i suoi libri, sotto inutili lacanismi (in L’ora di lezione si parla del sapere come “agalma” e del trauma del primo ingresso a scuola come del soggetto strappato dal fondo di “lalingua”) e noiosi e infruttuosi riferimenti (uno su tutti quello, sempre in L’ora di lezione a Emilio Vedova). Si tratta di due fenomeni contemporaneamente operanti: da una parte – fenomeno culturale che spopola in questi anni – parlare di cose di cui non si ha esperienza ma di cui ci si crede autorizzati per scienza a parlarne (e infatti, restando sempre su L’ora di lezione, non si parla della classe e del gruppo di studenti, ma solo di grandi pensatori attraverso cui leggere, in maniera scorretta, la scuola), dall’altra di dare ai libri tagli insensati ma di trattare comunque argomenti che i libri li fanno vendere. È il caso della trilogia che si è compiuta in questi giorni con l’uscita di Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, capitolo finale sulla triade familiare padri, madri, figli (iniziata con Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna del 2011 e Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre del 2013). Tutti questi libri sono costruiti attraverso una scrittura affascinante e scorrevole, che dà a chiunque la finta-padronanza degli autori di cui si parla (Lacan su tutti), ma che in realtà si basa su una sola suggestione, spesso azzeccata, questo c’è da dirlo, su cui si costruirebbe onestamente un articolo, ma non un libro intero.
Ma forse, dove Recalcati spesso si trova ad aver meno da dire, è sul quotidiano La Repubblica. I suoi articoli sono spesso su opere di scrittori, registi o altri sempre appartenenti ad una cerchia di (finti)illuminati di riferimento oppure sono analisi di stragi familiari o sofferenze generazionali, e lì, forse proprio perché è più simile al suo lavoro di psicoanalista, sembra che Recalcati sia più incisivo e centrato pur se talvolta indelicato e ingiusto (ma d’altronde su un quotidiano in cui scrive il fortunato autore de Gli sdraiati, sui giovani è giusto e doveroso che non si dica nulla di sensato).
Eppure non si può solo criticare, perché Recalcati compiti importanti ne ha avuti in questi ultimi dieci anni. Uno su tutti è stato il ruolo che ha rivestito nella diffusione dei concetti della psicoanalisi e dei problemi ad essa legati (giusto per fare qualche titolo il bellissimo Ritratti del desiderio, le sue lezioni universitarie su Lacan raccolte sotto il titolo Il vuoto e il resto. Il problema del reali in Jacques Lacan e l’accuratissimo L’uomo senza inconscio del 2010) e nel rendere (almeno) noto il nome di Lacan, provando nell’impossibile, ma mirabile, impresa di sdoganare il suo nome, con opere che però non sempre si allineano agli insegnamenti del maestro (sincero e appassionato però il volume monografico sullo psicoanalista francese uscito per Raffaello Cortina nel 2012).
E poi, giusto per mettere dentro anche un po’ di autobiografia, qualcosa glielo devo anche io direttamente, quando un mio professore dell’università, dopo un bellissimo seminario di Recalcati sul desiderio, mi consigliò di leggere Elogio della psicoanalisi, libro di difesa della psicoanalisi, di una bellezza disarmante nella sua sincerità e profondità (siamo nel 2007, prima della deriva psico-star, dove forse c’erano più spinte per la scrittura), che ha avuto per me un peso rilevante nelle scelte di studio universitario.
Detto questo però, la figura di Recalcati oggi è paradossale ma, come già detto, impersona la modernità (anzi la iper-modernità come gli piace ripetere). E viene allora da chiedersi se non sia proprio il pubblico il problema (come i lettori di Repubblica, nostalgici e che considerano quelle pagine piaceri che i giornalisti fanno a loro comuni mortali), quello che affolla le sue presentazioni e non ha forse mai letto una sua riga (storia vera), ma crede di essere davanti ad una star a cui tutto è dovuto e permesso. E Recalcati, da questo punto di vista, sia solo uno scrittore furbo, come molti intellettuali di oggi vittime (ma anche e soprattutto vittime volontarie) del circo massmediatico, e del mondo distorto di una terribile triade Fazio-Scalfari-Gramellini, pronti a dire tutto su tutto, pur non sapendo molto.
Foto di Francesca Cirilli.