Gonzo way: la sottile linea tra giornalismo e falsità
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
2022
01 gennaio
Dude Mag
03 marzo
Alessio Giacometti
05 giugno
Simone Vacatello
07 novembre
Marco Montanaro e Gilles Nicoli
09 gennaio
TBA
TBA
10 febbraio
TBA
TBA
11 marzo
TBA
TBA
12 aprile
TBA
TBA
×
×
È arrivato il momento di iscriverti
Segui Dude Mag, dai!
11468
https://www.dudemag.it/letteratura/gonzo-way-la-sottile-linea-tra-giornalismo-e-falsita/

Gonzo way: la sottile linea tra giornalismo e falsità

Come sottolinea Barret nella sua apologia al giornalismo etnografico Gonzo, nel momento in cui il giornalista si immerge in una determinata realtà, il confine tra scrittura di inchiesta e vera e propria ricerca sparisce.

Ci vogliono pochi secondi perché chiunque, dalla zia casalinga cinquantenne al ragazzino sfigatello del liceo, acquisisca un’opinione solida e precisa sulle varie categorie umane che compongono la nostra società: lo zingaro ruba, l’anarchico spacca tutto, le modelle si fanno pagare le cene dai ricchi imprenditori. Esiste tuttavia una forma di giornalismo che, secondo lo scrittore Bradley Garret (nella foto di apertura ndr), riesce a fornire a chi legge uno scorcio di verità onesta, priva di edulcorazioni.

Questo giornalismo è detto Gonzo, ed è stato creato negli anni ’70 da Hunter Stockton Thompson, certamente meno famoso del libro che lo ha reso famoso, a sua volta meno celebre del film con Johnny Depp: Paura e Delirio a Las Vegas. La cosa interessante riguardo questo stile di scrittura è che, al contrario del giornalismo classico, fedele ai suoi canoni, non necessita di una totale oggettività. Tutto viene infatti affidato alle sensazioni e alle esperienze che il giornalista vive in prima persona, nel momento in cui si cala totalmente nel contesto sociale che vuole analizzare, a suo rischio e pericolo. In sostanza, il giornalismo Gonzo ha lo scopo di ribaltare (o confermare) determinati luoghi comuni, attraverso un’immersione neutra del reporter che intende scrivere su un determinato fenomeno sociale. Non è detto che questo avvenga senza conseguenze sul giornalista stesso, del resto, come Nietzsche ci insegna, se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.

Eppure, per capire veramente cosa vuol dire far parte di un determinato gruppo sociale o di una realtà metropolitana, e per avere di conseguenza una descrizione che non sia un ritratto superficiale, questa forma così drastica di giornalismo sembra essere estremamente efficace, tanto da garantire, in alcuni casi, dei veri e propri trattati di etnografia.

La grande polarità soggettiva del Gonzo Journalism non vuol dire però mancanza di oggettività, falso o falsato giornalismo. Di quest’ultimo abbiamo un esempio negli ultimi episodi italiani legati alla manifestazione NoExpo, dove qualcuno ha pensato che ciò che serve allo spettatore/lettore medio è una definizione chiara e precisa di ciò che ha davanti, non importa se questa sia falsa o meno. Se c’è da inquadrare l’essenza dei tanto discussi Black Bloc, la cosa più semplice da fare è prendere un ragazzo a caso, molto sprovveduto, molto ben disposto a spaccare un po’ di robe cioè, ed eleggerlo a simbolo assoluto e indiscusso del movimento NoExpo.

Come sottolinea Barret nella sua apologia al giornalismo etnografico Gonzo, nel momento in cui il giornalista si immerge in una determinata realtà, spesso con sfondo metropolitano, il confine tra scrittura di inchiesta e vera e propria ricerca sparisce. Non solo il giornalismo Gonzo è il più impegnato socialmente, poiché volto a tracciare un ritratto in prima persona e dall’interno di ciò che descrive, ma è anche quel giornalismo che contribuisce alla ricerca facendo un passo avanti e passando da semplice osservazione a partecipazione.

Negli ultimi tempi, grazie soprattutto alla diffusione di articoli online, spopola una particolare forma di scrittura che potremmo definire una sorta di Gonzo light, spesso associata a determinate riviste giovanili, per così dire, che puntano particolarmente sull’immedesimazione di chi legge. Oltre alle svariate e infinite liste delle 10 cose che…, ormai arrivate a sfiorare il ridicolo per il livello di esclusivismo che hanno toccato (Le 10 cose che solo chi ha un padre avvocato, una madre impiegata, un fratello in Giappone e un cane con una zampa sola può capire), le quali in un certo senso abbattono la barriera tra chi legge e chi scrive perché alla fine siamo tutti dei pigroni/golosoni/fan di qualcosa, si vedono sempre più articoli scritti da un’ottica interna, scritti da qualcuno che ha deciso di provare in prima persona una determinata esperienza, anche se è tutto molto all’acqua di rose.

Un esempio di giornalismo Gonzo, nonostante i temi non fossero sempre particolarmente impegnati, oltre a quello esercitato con una certa cautela da queste riviste per giovani ribelli, è quello della trasmissione Il Testimone del regista Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif. Sempre mantenendo una vena comica e adatta alla prima serata, Pif ha dato luce ad una serie di documentari che lo vedono protagonista, nonostante non fosse lui il centro dell’inchiesta. Diventa protagonista nel momento in cui, trovandosi a tu per tu con una determinata realtà, reagisce apparentemente spontaneamente, facendoci provare un po’ quell’immedesimazione, tradotta in domande e osservazioni che probabilmente ognuno di noi potrebbe avanzare trovandosi nella stessa situazione. Nel caso de Il Testimone, il fatto stesso che la ripresa prima di tutto sia così poco elaborata (essendo tutto girato esclusivamente da Pif con una telecamera in mano) porta ad una naturale empatia tra ciò che viene rappresentato e chi assiste alla rappresentazione, tanto da poter arrivare a provare simpatia per Fabrizio Corona o tenerezza per i fanatici di Padre Pio.

Tra le varie opere di giornalismo Gonzo, Bradley Garrett ne ha selezionati alcuni particolarmente significativi, come ad esempio Hell’s Angels: The Strange and Terrible Saga of the Outlaw Motorcycle Gangs, l’opera di Hunter S.Thompson che ha consacrato questo genere e che racconta della vita di una delle gang di motociclisti più pericolosa al mondo, o come Women and Bullfighting: Gender, Sex and the Consumption of Tradition  di Sarah Pink, la quale si è calata nel mondo dei torero donna dell’Andalusia. Il giornalismo Gonzo, dunque, è probabilmente la forma di scrittura che più fedelmente, nonostante le sfumature personali che possono emergere dall’esperienza in prima persona, può darci una vera e propria rappresentazione di una serie di realtà che per la loro distanza da noi ci sono difficili da capire, distanza che spesso viene creata artificialmente.

Alice Oliveri
Nata a Catania nel 1992, studentessa a Roma dal 2011. Scrivere, leggere, suonare tanti strumenti e guardare molti film sono le sue passioni.
Segui Dude Mag, dai!
Dude Mag è un progetto promosso da Dude