Il giorno del mercato bio al Forte
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
2022
01 gennaio
Dude Mag
03 marzo
Alessio Giacometti
05 giugno
Simone Vacatello
07 novembre
Marco Montanaro e Gilles Nicoli
09 gennaio
TBA
TBA
10 febbraio
TBA
TBA
11 marzo
TBA
TBA
12 aprile
TBA
TBA
×
×
È arrivato il momento di iscriverti
Segui Dude Mag, dai!
1092
https://www.dudemag.it/letteratura/il-giorno-del-mercato-bio-al-forte/

Il giorno del mercato bio al Forte

Tra un bicchiere di buon vino e gli immancabili frittini di Valter mi aggiro nella piazza d’armi del Forte.

È domenica. C’è il pranzone domenicale con tavolata annessa. Ci sono i miei genitori, gli amici di famiglia, e tanta altra gente che non conosco. Ah, non sono a casa mia, ma al Forte Prenestino, uno dei centri sociali di Roma.
Cammino avanti e indietro, fumando e guardando l’ora. L’appuntamento con Giulia era per le 12.30 e lei, ovviamente, è un po’ in ritardo. È che non vorrei fare tardi visto che fra poco si mangia e i miei genitori la vogliono conoscere.
I pranzi della domenica sono una delle tante tradizioni degli italiani, si sa, e come tutte le tradizioni si tende a perpetrarle e rispettarle anche quando si cambiano luoghi, orari e commensali. Un po’ come dire: «non importa dove e con chi, l’importante è che se magna e se sta bene». Decido quindi di raggiungere i miei “vecchi”, visto che una volta al mese, da molto tempo ormai, puntualmente il pranzo domenicale salta. La terza domenica di ogni mese per l’esattezza. Quel giorno, infatti, al Forte Prenestino (zona Centocelle) c’è uno degli appuntamenti del mercato terra/Terra, ed è lì che i “miei” vanno puntualmente, dandosi appuntamento con i loro amici più stretti. Ed ecco, quindi, che la mia curiosità, assieme alla mia propensione da anziano-conservatore amante delle tradizioni che ritengo meritevoli di continuare ad essere, mi spingono a raggiungerli una, due, più volte, fino a che quel pranzo domenicale si va ad aggiungere anche alla schiera delle mie, di tradizioni. Scopro così l’esistenza di terra/Terra, un’associazione culturale che «è la sperimentazione  di un modello di economia che impegna reciprocamente produttori e consumatori per sovvertire le catene di distribuzione, ridurre la distanza alimentare, valorizzare le relazioni sociali, sensoriali e gustative». Scopro anche, e con piacere, il gusto di mantenere il tradizionale pranzo domenicale seppur cambiandone un po’ le regole, ampliando il suo valore sociale ed il numero di persone con cui condividerlo, per non parlare del cibo e del vino, protagonisti e collanti di questa “comunità” di avventori alquanto singolari. Tra un bicchiere di buon vino e gli immancabili frittini di Valter mi aggiro nella piazza d’armi del Forte, circondato da amici di famiglia e sconosciuti, tra chi lavora la terra e vende i suoi prodotti e chi si aggira curioso, tra tavolate di famiglie, cani, giovani, odori e sapori, ed un murales immenso di Blu che condisce questo mash-up.

Nella zona del mercato c’è di tutto: formaggi, verdure, olii, miele, marmellate, biscotti, saponi, caffè, pane, vini. Tra un assaggio e l’altro comincio a parlare con chi frequenta quel posto, sia come venditore che come avventore. Incontro Vittorio, amico e frequentatore abituale del mercato, e gli chiedo perché, secondo lui, vale la pena essere lì.

V: Il mercato bio in realtà è una scusa, una semplice scusa sulla quale uno poi gioca con le proprie emozioni e sensazioni. È un ritrovarsi, uno stare insieme. Una forma “liturgico-pagana” sulla quale ognuno poi gioca le proprie carte. Queste carte sono racchiuse nell’incontrarsi. Sia che ci si conosca sia che non ci si conosca, tutto viene da sé.
La cosa è che tutti questi qui che lavorano la terra, perché qui c’è gente che lavora la terra veramente, sentono di dover riproporre questo rituale dell’incontro, per sentirsi, appunto, tutti parte di qualcosa.

Vado quindi ad incontrare alcuni dei produttori agro alimentari che fanno parte del mercatino terra/Terra e che hanno scelto questo mezzo, secondo loro il più semplice, per incontrare i consumatori in modo diretto, aggirando le maglie della distribuzione e costruendo una rete di scambio alternativa. Secondo loro «La grossa distribuzione, le multinazionali, i governi di ogni paese, gli istituti di credito favoriscono l’evolversi di un sistema planetario di controllo della produzione agricola che, con scelte scellerate, distrugge risorse, ambiente e relazioni. In contrasto con queste logiche, il mercato contadino raccoglie l’esperienza dei movimenti contadini e delle reti solidali per ribadire l’esigenza di un agricoltura costruita dal basso, nel rispetto della terra e della dignità di chi ci vive e lavora sopra. Un’agricoltura senza sfruttamento o veleni.».
Incontro Mimmo “Pantum”, produttore di vino ed olio pugliese, che mentre mi versa un bicchiere di Primitivo Rosato, mi spiega: «La Puglia è satura di prodotti, come olio e vino, per cui la città più vicina è Roma. Gli unici posti dove potremmo lavorare sono appunto le situazioni come questa, che offrono opportunità ed incontri.».
Ma da voi il mercato agricolo biologico va da solo? Non ci sono situazioni come questa?
MP: No purtroppo non va proprio! In quelle zone, che sono zone di produzione ma anche zone di grossa crisi, i prodotti vengono svenduti a prezzi allucinanti. Quasi non converrebbe coltivare la terra… verrebbe da abbandonarla, come fanno tante persone, giusto o sbagliato che sia.
E qui invece c’è una risposta dalla gente, dai consumatori?
MP: Si, ma dipende dai prodotti che decidi di vendere! Il vino per esempio è un prodotto particolarmente richiesto.
E voi quindi venite appositamente per questo mercato?
MP: No, noi veniamo dalla provincia di Taranto e facciamo 3-4 mercati qui a Roma, in modo da prendere contatti per una distribuzione.
E secondo te perché i consumatori sono attratti in maniera esponenziale da questo tipo di prodotti?
MP: Sicuramente perché si ha la possibilità di conoscere il produttore! Per avere più garanzie, ma anche per un fattore economico, perché comprando direttamente dalla “fonte”, si riescono ad avere prodotti buoni ad un prezzo decente.


Proseguo il percorso, e mi fermo per assaggiare un olio che sembra aspettare solo me. Conosco così Ennio, produttore laziale, che mi dice: «questa è una questione di realtà. Mi spiego meglio, si tratta di comunicare questa realtà, di avvicinarsi alla terra, di fare i prodotti come si facevano una volta, e senza scopo di lucro. Io per esempio ho 200 alberi d’ulivo e mezz’ettaro di vigna e da solo è veramente difficile. Per fortuna ho degli amici che mi aiutano, ma comunque ne vale la pena, è divertente ed è una bella cosa lavorare la terra, se se ne ha la voglia.».
Cosa mi dice quindi del Biologico?
E: Eh, il biologico oggi è ormai diventato un marchio. Io non faccio agricoltura biologica, ma cerco di avvicinarmi il più possibile al produrre le cose in maniera artigianale. È difficile che un prodotto sia completamente biologico, perché magari il tuo vicino non è biologico, oppure l’acqua che si usa per tutto, in agricoltura, non è pura. Ormai il biologico è diventato un marchio al quale corrisponde un mercato. Io cerco di avvicinarmi alla terra. L’olio che produco, per esempio, ha una resa bassissima, quindi il lavoro è tanto: le olive sono raccolte a mano, con rastrelli e scale, con le reti a terra, e portate al frantoio. 100 kg di olive fanno 14 litri d’olio, mentre in compenso la resa del vino è più alta.
Ed è difficile ottenere le certificazioni biologiche?
E: Per un piccolo produttore si, è molto difficile e dispendioso.
Lo ringrazio per gli assaggi e le chiacchere e continuo il percorso all’interno del mercato. Mi fermo al penultimo stand, attirato da assaggini di marmellate, salate e non. C’è un ragazzo che vende i prodotti della “Giovane Compagnia Meridionale”, un’altra azienda pugliese.
Cosa produce la vostra azienda? E come?
GCM: Noi abbiamo un orto di un ettaro e mezzo circa, curiamo gli ulivi, abbiamo un vigneto ed alberi da frutta ovviamente. Le marmellate che vedi vengono dai frutti che ci danno quegli alberi.
Quindi curate ogni aspetto del processo di produzione?
GCM: Si, esattamente. Dalla coltivazione alla trasformazione, fino alla vendita diretta. Facciamo marmellate, sott’olio, patè vari, olio, vino ed alcune conserve, come passate di pomodorini e sughi.
E secondo te quindi vale la pena venire fin qui per promuovere i propri prodotti?
GCM: Si, per noi vale la pena, perché in Puglia non c’è un consumo etico molto sviluppato. Ci stiamo impegnando per far crescere questo tipo di consumo critico anche in Puglia attraverso i nostri circuiti, come questo, il terra/Terra.
Qual è il vantaggio competitivo di Roma?
GCM: A Roma è un contesto completamente diverso. È più sviluppato, ci sono più contaminazioni. Anche all’interno della città ci sono più spazi sociali ed associazioni che fanno e promuovono consumo critico. Da noi questo sviluppo del movimento ancora non c’è, anche se ci stiamo provando. Noi per esempio abbiamo aperto uno spazio sociale a Barletta.
E per le certificazioni?
GCM: Noi abbiamo una certificazione sul terreno. Sui prodotti non l’abbiamo chiesta e non ci serve, perché comunque non metteremmo il marchio sul prodotto. Vendendo questi prodotti all’interno di un circuito non serve il marchio biologico, i produttori che stanno all’interno di questo circuito rispondono già, tutti, a delle regole in quel senso.
Persone ed associazioni che hanno deciso di metterci la faccia più che il marchio. È una questione non solo di gastronomia, ma sociale ed etica, di riavvicinamento alla terra ed ai suoi prodotti, così come al modo di venderli e consumarli. L’associazione terra/Terra ha scelto quindi l’autocertificazione, perché essa svincola il produttore biologico (non certificato) dalle speculazioni dell’agro-business, restituendogli la responsabilità del proprio lavoro. La qualità di un prodotto è (e dovrebbe essere) espressione della qualità della vita e dell’ambiente in cui viene generato. Ho voluto essere un po’ puntiglioso e mi sono chiesto: ok, è tutto bello ed anche buono, ma forse è il caso di parlare con una esperta di cucina. Ho chiesto a mia madre visto che lei ogni volta che va al mercato va via carica come una sherpa e che di cucina, fidatevi, se ne intende.

Ma’! Mi spieghi perché preferisci comprare questi prodotti e quali differenze ci sono con quelli di un supermercato convenzionalmente inteso?

MAMMA: Io compro da loro perché so come lavorano. Conosco alcuni di loro ed ho visitato alcune loro fattorie. Ho visto di persona e, soprattutto, ho assaggiato. C’è da dire che la qualità degli ortaggi è ottima, decisamente superiore. Nel senso che sono dei prodotti colti e portati al mercato, quindi durano di più! Non come quelli che compri nei supermercati, che li metti in frigorifero e subito, se non vengono consumati alla svelta, marciscono. Questi hanno una durata molto più lunga anche in frigo; e poi il sapore. Un sapore completamente diverso, ovvero quello delle cose di una volta, delle cose che hanno il loro sapore originale e non che non sanno di niente. Noi a volte compriamo e mangiamo cose insapore, come la frutta. Ovviamente non si trova sempre tutto, perché loro chiaramente seguono il ciclo naturale dei prodotti… si trovano i prodotti di stagione quindi, ma anche altri prodotti alimentari che non seguono i cicli, come i formaggi o le uova fresche, il vino, per questi prodotti posso dire la stessa cosa. La differenza io la vedo e la capisco.

E se lo dice lei, io mi fido.
Concluso l’ennesimo incontro con l’ennesimo tintinnio di bicchieri, non mi resta che aspettare il prossimo mese per il ripetersi di questa tradizione. Dopo una capatina digestiva in sala da tè (una delle più belle di tutta Roma a mio avviso) è ora di andare via davvero.
Foto di Giulia Bassoli

Mattia Coluccia
Mattia è un “romano de Roma”, ma ha origini salentine che rivendica sempre. Essendo un classe 1985, si porta appresso tutti gli acronimi generazionali dagli anni 90 in su. Non contento della laurea, prende anche un master in Scienze del Turismo, convinto di fare della sua passione un mestiere. Si sbaglia.
Tutto nella sua vita ha doppi sensi e doppie valenze, convive con la duplicità delle cose. Scrive per delle riviste e fa un sacco di altre cose che gli pesa il culo elencare. Se fosse per lui, viaggiare è l’unica cosa che farebbe. Ama i libri, il mare, e le birre artigianali.
Segui Dude Mag, dai!
Dude Mag è un progetto promosso da Dude