Capitan Quasar e il colosseo della Regina Kronikthalia
Sul finire dei suoi primi dieci anni, qui compiamo una piccola rivoluzione, abbandonando il nostro formato classico – quello del magazine culturale a cadenza vagamente quotidiana – per presentare ogni mese un solo saggio e un solo racconto. Da queste pagine 24 autori ogni anno proporranno il loro filtro sul reale, manipolando inevitabilmente la personalità di Dude mag: ed è una cosa che ci rende enormemente curiosi.
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Capitan Quasar e il colosseo della Regina Kronikthalia

Materiale d’importazione – Narrativa straniera inedita selezionata da DUDE.

Lo stadio enorme era colmo di alieni di ogni forma, dimensione e odore. Erano tutti lì per un solo motivo: vedere l’Uomo dalla Terra morire.

Capitan Bartholomew Quasar, d’altronde, non aveva intenzione di farli tornare a casa contenti. Pur avendo di fronte un gatto grosso come una casa, si manteneva in posizione da combattimento: gambe allargate, busto in avanti, braccia alzate coi muscoli in allerta. Era già sopravvissuto all’attacco di non uno ma due bestiocorni xenodiani – creature feroci, con corpi da rettili coperti di artigli affilati come rasoi. Quasar portava sulla divisa le cicatrici della baruffa: strappata sul davanti a rivelare il petto abbronzato, macchiata del suo stesso sangue e di quello delle creature. Le aveva attirate al centro del colosseo, per poi abbassarsi proprio al momento giusto. I bestiocorni si erano schiantati testa contro testa, fracassandosi quei crani stranamente fragili, e ora giacevano dov’erano caduti per non rialzarsi mai più.

Il gatto enorme, però, era tutto un altro discorso: possente e morbidissimo. Quasar guardava la creatura negli occhi senza vacillare un momento ? fino a quando il mostro non tossì un colossale batuffolo di pelo. Emanava un tanfo così fetido che Quasar gridò «Schifo!» e indietreggiò barcollando con una mano sul naso, implorando la regina seduta sul palco tra i servitori. «Come si può pensare che combatta, in queste condizioni?».

La Regina Kronikthalia non lo trovò divertente. Né lo aveva trovato divertente prima, quando aveva cercato di sedurla. Anziché prendere le sue avances per quello che significavano in qualunque altro punto della galassia – cioè che Quasar voleva qualcosa in cambio: in genere, componenti per il reattore della sua astronave – la regina aveva creduto che fossero un modo per convincerla a deporgli le uova nel cranio. È un onore, aveva dichiarato la regina, perplessa che Quasar non la vedesse allo stesso modo. Aveva anzi provato a scappare, sparando nel frattempo a due guardie.

La regina si degnò di guardarlo, adesso. «Combatterai sino a che avremo visto la tua vera virtù».

«La mia che?» Quasar riprese fiato. «Ho ucciso due bestiocorni. Che altro vuoi da me?»

«Il tuo sangue!» gridò l’uomo alla destra di lei – che non era un uomo ma uno xenodiano, come lei: una specie di umanoidi alti, allampanati, che somigliavano a mantidi in posizione eretta. «Pagherai la tua insolenza!»

Capitan Quasar assunse la sua posa preferita: il Cosmonauta Sicuro di Sé. Un giorno gli avrebbero fatto una statua, lo sapeva. Probabilmente non su questo pianeta, ma da qualche altra parte di sicuro.

«Come avrei potuto portare il giusto rispetto? Voleva depormi le uova in testa, santo cielo!»

«Qualunque maschio xenodiano sarebbe onorato di portare a termine la mia covata!» ruggì la regina.

«Beh, appunto. Sono umano. E sono il capitano di uno splendido incrociatore spaziale, il Magnitudine Effervescente – mai sentito?» Gli xenodiani lo guardarono torvi. «Darei la vita per ciascun membro del mio equipaggio. Il bene dei più e tutto il resto. Ma essere mangiato vivo dai tuoi piccoli mentre mi fanno esplodere la testa? No grazie.»

Gli xenodiani brontolavano tra loro, mandibole di chitina emettevano click-clack che il traduttore nel colletto di Quasar non riusciva a decifrare.

«Capitano?» fece la voce del primo ufficiale nel comunicatore, anch’esso cucito nel colletto. «Stiamo monitorando la sua situazione…»

Avrebbe preferito che non lo facessero. Il capitano di una nave non può farsi un giro per conto suo, ogni tanto, per divertirsi un po’?

«Qui è tutto sotto controllo, Comandante Wan», la rassicurò. «Ha ottenuto quei componenti per il reattore, nel villaggio?»

«Sissignore. In cambio di certi alimenti esotici.»

Quasar trattenne un sorriso. «Razioni di proteine?»

«Il popolo della Regina Kronikthalia muore di fame, Capitano.»

Quasar appuntò il suo sguardo eroico sulla monarca xenodiana assisa in trono.

Contraendo la mandibola fino a far tremare il muscolo, compilò una lista mentale delle cose da fare. Per primo, avrebbe battuto questo micio gigante vomitatore di batuffoli. Poi sarebbe scappato dall’arena, più o meno incolume. Infine, avrebbe fatto atterrare una capsula di trasporto con qualche tonnellata di alimenti esotici dal Magnitudine in orbita. Poi avrebbe chiuso la pratica. Magari fatto una lunga doccia sonica nel suo alloggio, seguita da un pisolino.

Se solo tutto fosse andato secondo i piani.

Per primo, il gatto gli piombò sopra, soffocandolo nella sua abbondante pelliccia mentre sbatteva via i cadaveri dei bestiocorni come giocattoli. Immobilizzato al suolo, Quasar rantolava coi polmoni compressi.

«Signore, cos’era quello?» chiese Wan.

«Lei, lo sa?» riuscì a dire lui.

«Della sua gente? Immagino che non le importi, signore.»

«Lo vedremo.»

A mali estremi, estremi rimedi. Col suo ultimo respiro, mise le labbra sulla pancia della creatura e fece una pernacchia. Il micio mostruoso balzò in aria con gli occhi sgranati, le quattro zampe stese. La creatura non si era mai sentita così infangata. Quasar rotolò via, precipitandosi verso la Regina.

«Prendetelo!», ordinò ai soldati nell’arena.

«Aspetta un minuto!» Quasar sputacchiò del pelo dalla bocca. Il felino ora se ne stava distante, teneva il broncio in un angolo. «Vostra Altezza, forse possiamo raggiungere un accordo.»

«Non vedo come», disse la regina disgustata. «E pensare che anche solo per un momento ti ho considerato degno di covare la mia prole.»

Quasar si schiarì la gola. «I sudditi affamati tendono a deporre i loro sovrani. Io posso evitarlo. Se mi lasci andare.»

Lei prese in considerazione l’offerta. «Sterminerai i parassiti per me?»

«Che? No. Gli darò da mangiare.»

«Com’è virtuoso, da parte tua, Uomo dalla Terra. Oh, benissimo.» Sospirò, facendo un cenno ai suoi soldati. Lo lanciarono di testa fuori dai cancelli dell’arena.

Rotolando nella polvere, attivò il comunicatore nel colletto.

«Capitano, è ancora vivo» disse il Comandante Wan.

«Mandi giù una capsula di trasporto carica di pacchi di proteine. Imposti le coordinate del villaggio.»

Un fragore sordo fece tremare il suolo sotto di lui. Si girò e si accorse di non essere l’unico ad essere stato cacciato dall’arena. Il micio gigante faceva le fusa, guardandolo con acuto interesse.

«A ripensarci», disse Quasar. «Imposti le coordinate di qui.»

Materiale d’importazione è una rubrica curata e tradotta da Daniele Zinni.

Illustrazione di Fabio Pistoia.

Ringraziamo Every Day Fiction per la collaborazione. Potete leggere qui la versione originale.

Milo James Fowler
È insegnante di giorno e scrittore di speculative fiction di notte. Quando non corregge compiti, immagina come potrebbe essere il mondo in una dozzina di realtà alternative. Il suo romanzo Captain Bartholomew Quasar and the Space-Time Displacement Conundrum sta per essere pubblicato su Every Day Novels, e le altre disavventure del suo Capitan Quasar si possono trovare qui: http://goo.gl/wKCcba
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