Borghesi e inetti per antonomasia, i personaggi dello scrittore triestino si mimetizzerebbero benissimo tra di noi oggi, nonostante un secolo di mezzo. Abbonamento a Sky, monovolume, un autoscatto a bassa risoluzione come immagine profilo e il gioco è fatto.
«Esso è apatico in apparenza, giacché la sua maggior vita la trova nella sua mente e in se stesso. A poco a poco gli venne l’idea di divenire uno scrittore. Oh! Poter diventare un uomo famoso per lui era la maggior speranza.» Così appunta nel proprio diario Elio Schmitz, diario divenuto poi preziosissima fonte da cui cogliere momenti d’intimità del giovane fratello Ettore, noto con lo pseudonimo di Italo Svevo, di cui ricorrono gli ottantacinque anni dalla morte.
Ettore nasce il 19 dicembre 1861 nell’allora austriaca Trieste in un’abbiente famiglia di origini ebraiche. Da subito la sua formazione viene dirottata sugli studi commerciali sotto l’influenza dell’attività paterna e dell’ambiente in cui era immerso. Il ventenne Ettore non trascura però gli interessi letterari, orientati soprattutto sui classici tedeschi. Allo stesso periodo risalgono le prime collaborazioni con L’indipendente, giornale di Trieste di impronta socialista, i primi racconti brevi e abbozzi di romanzo. È nel 1892 che vede la luce l’opera prima, Una vita, passata inosservata e a partire dalla quale l’autore non abbandonerà più il nome di Italo Svevo, scelto accuratamente per marcare non solo la doppia indole commerciante-scrittore, ma anche la convivenza in sé di una duplice origine culturale, negli anni in cui l’irredentismo avrebbe poi spostato la sua terra tra i confini italiani.
violi
Persi entrambi i genitori, si sposa nel 1896 con Letizia Veneziani da cui avrà una figlia. Dopo aver lavorato per quasi vent’anni come impiegato in una filiale bancaria, si trasferisce nell’azienda del suocero, questi fortemente critico nei confronti delle amenità letterarie di Svevo, il quale scottato del recidivo fallimento del suo secondo romanzo Senilità (1898) decide di abbandonare forzatamente la scrittura. Il silenzio, spesso doloroso, spesso clandestinamente interrotto, viene riempito con numerosi viaggi di lavoro all’estero e con degli sconclusionati esercizi di violino, palliativo a cui non parve mai applicarsi sul serio.
Con il senno di poi, a leggere il forte trasudare autobiografico dei personaggi di Svevo, le loro contraddizioni, l’incoerenza, l’incapacità di mantenere qualsivoglia tipo di fioretto, è facile rendersi conto di quanto la lontananza dal sogno di raggiungere il fatidico successo con un romanzo fosse goffa e fittizia, a tratti persino ridicola.
Nel giro di pochissimo tempo due incontri cruciali sovvertiranno ogni destino: Svevo entra in contatto con la psicoanalisi grazie ai racconti entusiastici del cognato a quei tempi paziente di “un certo” Sigmund Freud, e instaura un forte legame di amicizia con l’allora pressoché sconosciuto James Joyce, il quale non capita proprio a tutti come insegnante di inglese. Il peso specifico di queste influenze è a dir poco rilevante: tempo di salvare la pelle dalla grande guerra e nel 1919 inizia a scrivere La coscienza di Zeno che vedrà la luce quattro anni dopo, i malpensanti dicono che per la pubblicazione si sia voluta attendere la morte del suocero tanto avverso all’Ettore scrittore. In effetti l’impatto con il pubblico non sembra poi così diverso da quelli precedenti e sarà solo grazie all’intervento di Joyce, che lo fa conoscere in Francia dove a quei tempi risiedeva, a cambiare le cose. Le recensioni favorevoli d’oltralpe e – va detto – le contemporanee lodi ricevute da Montale, portano al tanto anelato successo nel 1925.
Ettore Schmitz muore in un incidente stradale nel settembre 1928. La prosa di Svevo è stata spesso criticata per la sua semplicità e per le notevoli sbavature causate da un dialetto invadente come quello triestino, affermazioni senz’altro vere, tant’è che i suoi romanzi necessitavano spesso di massicci interventi di correzione e non spiccano certo per un’elevata complessità compositiva. Cavilli questi, che passano immediatamente in secondo piano in vista delle tematiche che più di tutto anticipano largamente aspetti tutt’oggi centrali: oltre alla già citata psicoanalisi, ora schernita ora studiata con interesse, l’adulterio, la gelosia, il lavoro, vengono tutti esposti in una chiave moderna. Svevo è a tutti gli effetti un borghese che rischia di sfigurare ben poco se immerso nel nostro millennio. Si rabbatterebbe nella sua azienda in crisi tra una scappatella e l’altra, l’appuntamento dallo psicologo, il pranzo domenicale in famiglia. Ecco probabilmente avrebbe un iPad, nonostante uno scarso interesse per la politica seguirebbe tutte le puntate di Ballarò e di Piazza Pulita, mandando perché no, anche qualche tweet ipercritico. Insomma un borghese buono, tutto sommato innocuo, di quelli che per coronare il proprio hobby si rivolgono a una casa editrice a pagamento di cui è pieno oggigiorno, pur di veder pubblicata la propria opera. Questo è fuori dubbio perché anche lo Svevo autentico dovette farsi carico delle spese dei propri romanzi.
Il cavallo di battaglia dell’uomo inetto, colonna portante in tutte le opere, consente di affermare che Svevo abbia creato un unico personaggio nella sua produzione, che si chiami Zeno Cosini o Alfonso Nitti o Emilio Brentani, tutte le strade portano al loro creatore, il cui merito più grande è stato quello di saper trasportare al meglio gli aspetti autobiografici rendendo gli scenari quotidiani e gli avvenimenti macroscopici amalgamati e armoniosi tra loro. Sia chiaro che Svevo non era certo uno sprovveduto dilettante che si limitava a trascrivere le proprie avventure, i rimandi a Schopenhauer e Nietzsche sono infiniti, ma anche Darwin e lo stesso Freud rafforzano uno scheletro di studi e di influenze culturali legate al proprio tempo non indifferenti.
È impossibile non relegare il romanziere triestino tra gli esponenti di spicco della letteratura europea dello scorso secolo. Più che mai per quel che riguarda la nostra cara penisola, da troppo tempo lontana da sfarzi e splendori culturali, fare maggiore riferimento alle vecchie glorie potrebbe essere motivo di risveglio.
Edoardo Vitale è anche su twitter @edoardovitale_ e sul suo blog www.concimalatesta.it