«Ma tu che fai questa estate?» Loro cominciano da maggio. Un mese prima del mio compleanno. Quindi ho due cose per cui angosciarmi: sto invecchiando e il Mostro si avvicina. Cominciano da maggio e vanno avanti fino a fine giugno, poi i primi di luglio, metà luglio, venti luglio, venticinque, ventisette, primi di agosto, poi finalmente partono e ti lasciano stare.
Il problema è che poi ritornano.
A settembre li vedi tornare. «Ma tu che hai fatto questa estate?»
Tu non hai fatto niente. Non hai fatto niente se non aspettare che finisse, e ti illudi che sia finita quando li vedi tornare. Pensi: okay sono tornati ma è almeno finita. E invece no. Perché il Mostro ti perseguita fino a fine settembre. E poi c’è l’Indian Summer, le ottobrate romane. Il Mostro agita la coda. Loro hanno ancora i piedi scoperti. Riconosci il colore dell’estate sullo smalto delle ragazze. Si prendono gli «ultimi scampoli di sole». Rimane sempre qualche scampolo. Scontato ma ancora buono.
«L’estate prossima devi venire anche tu» ti dicono. Come no. Dal loro tono di voce capisci che quella attuale è finalmente lontana. Si sono rinfilati delle scarpe decenti, hanno esaurito gli scampoli. In fondo agli occhi solo la saudade dell’autunno. Vedi quello sguardo e sei felice.
Arriva novembre: i morti a ridarti la vita.
«Ma che problema c’hai con l’estate?»
Non ho nessun problema, vorrei dire. In effetti, non ho nessun problema. Il problema sono loro.
Ma forse ho un problema e il mio problema ha una storia (c’entrano anche le scarpe).
Ultimi giorni di scuola in quinta elementare. Poco prima degli esami. Fa caldissimo e io mi ammalo. Febbre reumatica. Le articolazioni bloccate per una settimana. Poi un mese di infermità a letto sotto cortisone e iniezioni di penicillina. Ho una famiglia di ipocondriaci. Tripudio generale nello scoprire che c’è una malata vera. Non è una malattia grave ma rognosa. Mio padre fa delle sue associazioni mentali del tipo: «reumatismi = no umidità». Decide che non posso più sudare. È agosto ma bisogna scongiurare che io sudi. Internet non esiste ancora. Non ho nessuno strumento valido per verificare che mio padre non mi racconti cazzate. Quindi se lui si è messo in testa che non posso sudare, io mi sforzo tantissimo di non sudare. Sto a letto immobile e cerco di non sudare.
«Ma leggiti un libro» mi dice mia madre. La mia famiglia di ipocondriaci e letterati non si dà pace che in quinta elementare mi limiti a leggere Topolino. Ci provano con I Ragazzi della via Pal. Non funziona. Tre uomini in barca, neanche. Il piccolo principe. Niente. Ritorno a Topolino. Mio fratello decide di immolarsi alla causa. La mattina va a giocare a tennis, torna tutto sudato tanto per farmi rosicare, e poi mi legge La fattoria degli animali. Io seguo la storia degli animaletti, mio fratello sta lì che mi chiarisce il sottotesto metaforico. Mi spiega la storia del Comunismo. Dell’URSS. Arriva alla Perestroika. Mi dice che la Perestroika è la voglia che ha in fronte Gorbaciov. Io ci credo fino in seconda media, quando lo scriverò su un tema e verrò presa per il culo solo dalla professoressa di Italiano (i miei compagni di classe non capiscono proprio l’ironia della cosa). A proposito di compagni di classe, quelli della quinta elementare hanno fatto il loro esame e sono partiti per le vacanze. Il mio grande amore del tempo, S.B. viene a trovarmi a casa con sua madre. Io ho la faccia enorme, gonfia per il cortisone. (Non ho praticamente foto della mia infanzia, ma quel periodo di deformazione facciale è ampiamente documentato). Mio padre ha un’idea eccezionale: avvolgermi un rotolo di carta Scottex sotto la maglietta contro la minaccia del sudore. S.B. e sua madre osservano le protuberanze spugnose sotto il cotone della maglietta e non fanno commenti. Non hanno il coraggio di chiedermi cosa ci faccio avvolta nella carta Scottex. Io non apro bocca. S.B. neanche. È questa la fine platonica del nostro grande amore.
Continua a leggere REUMA su Epigrammi Estivi, il primo eBook pubblicato da DUDE.
Scarica la tua copia gratuitamente: